La Tana dell’Orso torna con l’appuntamento numero 24, dopo una breve pausa dovuta a lavori di ristrutturazione; sì, anche la Tana va rinnovata, ogni tanto.
Ebbene, dopo un lungo percorso siamo alfin giunti a un parziale traguardo: God of War II, dove si congiungono molte delle trame scaturite dai fili che costituiscono i prequel della serie. Ok, non scriverò mai più metafore tessili, promesso.
Il nostro generale spartano ne ha fatta, di strada! Ovviamente si tratta della sanguinosa via che unisce la Titanomachia, cioè l’antichissimo scontro fra le entità primordiali del nostro mondo, alla caduta dell’Olimpo, cioè l’equivalente greco del Ragnarok norreno. Ricapitoliamo un attimo:
e ora il pelato di Sparta si prepara a prendere posizione nella guerra fredda fra i Titani e gli Olimpici.
Detto questo, va premesso che GoW 2 è stato sviluppato da SCE Studios Santa Monica per PlayStation 2, ed è stato pubblicato nella Primavera del 2007.
Abbiamo inquadrato le coordinate spazio-temporali? Perfetto, iniziamo il nostro viaggio all’interno del rapporto tra God of War 2 e la mitologia greca e, parzialmente, romana.
Come abbiamo già potuto dedurre in Betrayal, Kratos e i suoi spartani stanno assediando Rodi, così da espandere il dominio di Sparta alle altre città-stato greche. D’altronde quale esercito mortale potrebbe resistere alle truppe comandate da quello che, letteralmente, è il dio della guerra?
Il successore di Ares, però, ce l’ha a morte con i suoi divini colleghi: per i suoi servigi ha ottenuto soltanto una dannunziana vittoria mutilata, nel senso che gli dèi lo hanno perdonato, ma non hanno rimosso le dolorose visioni che tormentano lo spartano.
Si tratta degli strascichi degli orrori commessi quando Kratos era al servizio di Ares, che includono lo sterminio della propria famiglia in un raptus berserk.
Nonostante gli avvertimenti di Atena, che come abbiamo visto nei capitoli precedenti si sente in colpa (e a ragion veduta) per il tormento patito da Kratos, il cocciuto spartano si getta ancora una volta da una rupe dall’Olimpo, e si precipita a flettere i propri divini muscoli durante l’assedio di Rodi.
Kratos si trasforma in una versione gigante di sé stesso, proprio com’era abitudine di Ares, forse per costringere il nemico alla resa e ispirare la sua nuova famiglia, cioè i propri uomini.
Il momento di compensazione fallica, però viene interrotto. Un’aquila piomba dal cielo sul Fantasma di Sparta, gli sottrae parte dei poteri divini e li trasferisce sull’enorme statua che difende il porto della città: il Titano di Braavos il Colosso di Rodi.
Questa enorme statua del dio Helios (il Sole) è realmente esistita, ed era una delle sette meraviglie dell’antichità; era alta 32 metri, e venne distrutta da un terremoto nel 226 avanti Cristo.
Qui Kratos mostra tutto lo splendore dei suoi 8 in Saggezza e Intelligenza (ma d’altronde avrà 30 in Forza e Costituzione): incolpa immediatamente Atena di questo tradimento. Se avesse studiato un po’, saprebbe che l’aquila è uno degli svariati animali in cui è solito trasformarsi Zeus, il padre degli dèi dell’Olimpo e genitore dello stesso Kratos, come abbiamo scoperto precedentemente.
L’aquila, insomma, toglie gli sviluppatori dall’imbarazzo di trovare un modo per farci giocare un Kratos gigante: il nostro protagonista torna a dimensioni mortali, e si fa strada tra i… Rodesi? Rodiani? Roditori? No, Rodiesi.
Dicevamo, si fa strada tra i Rodiesi in modo piuttosto cruento, fino a catapultarsi sul Colosso. Letteralmente, con una catapulta. Oppure, per essere precisi, con una balista, visto che i proiettili sono un masso e poi Kratos stesso: sì, da secoli confondiamo catapulte e baliste, ma andiamo avanti.
Tra i consueti accecamenti, passaggi sottomarini, botte da orbi, stragi di mortali e ameni sventramenti & smembramenti, Kratos prosegue finché Zeus non ci fa recapitare Frostmourne la Spada dell’Olimpo, cioè la potente arma che sconfisse i Titani. Kratos è diffidente ma segue i consigli di papino, recupera la spada e riversa in essa tutto il potere divino che gli resta.
Grazie a essa riesce a penetrare nel Colosso e a distruggerne i delicati meccanismi interni, fino a fargli esplodere la capoccia. Kratos, a questo punto, mostra di nuovo l’8 in Saggezza: taunta gli dèi dell’Olimpo.
Come in ogni tragedia greca che si rispetti il Fato punisce immediatamente la sua hybris (superbia, tracotanza): la gigantesca mano del Colosso morente lo schiaccia al suolo, ferendolo e frantumandogli la fighissima armatura in stile Ares.
Il dio della guerra ora è di nuovo un mortale, è ferito, semi-nudo e incavolato nero e, quel che è peggio, è tutto questo davanti ai suoi uomini, che iniziano a farsi delle domande.
L’aquila torna in scena, e ora Kratos scopre quel che noi già sapevamo: il volatile non era nient’altri che Zeus, che lo imbruttisce e gli spiega che Atena si è rifiutata di sistemare i suoi pasticci. Zeus gli spiega che se è il Re dell’Olimpo ci sarà pure un motivo: Kratos fa il bullo per un’ultima volta, e Zeus risponde trapassandolo con la Spada dell’Olimpo.
Con un’ultima frase carica di spirito della tragedia greca, Kratos ci spiega uno dei concetti alla base del suo ateismo intriso d’odio: le scelte concesse dagli dèi sono futili, come gli stessi dèi dell’Olimpo. Zeus non la prende benissimo, one-shotta tutto l’esercito spartano e ribadisce che il morente Kratos non sarà mai il sovrano dell’Olimpo.
Con uno sbocco di sangue Kratos tira le cuoia, e Ade se lo pappa. O almeno ci prova. Dopo un flashback che, in sostanza, è un the road so far, scopriamo di chi è la voce che ci ha richiamati dall’oblio: è quella del Titano Gaia, ossia Gea.
Gaia / Gea è madre e moglie di Urano, madre e nonna dei Titani, dei Ciclopi, degli Ecatonchiri (ricordate il Briareo di Ascension?), dei Giganti, delle Erinni e di gran parte delle creature del mito greco, nonché sostanzialmente nonna e bisnonna di Zeus, Ade, Poseidone e di buona parte degli altri dèi dell’Olimpo. In sintesi Gea / Gaia, la Madre della Terra, è la bisnonna di Kratos, ma anche la sua trisavola.
La potenza dietro l’ascesa di Kratos si rivela, finalmente, e alle sue spalle compaiono anche gli altri Titani sopravvissuti alla Titanomachia. Abbiamo la conferma che l’intera vicenda non è nient’altro che uno scontro generazionale: una lotta interna alla famiglia primordiale che, potenzialmente, può distruggere o riforgiare nel fuoco il mondo intero.
I lettori più attenti ricorderanno che Gea era stata già menzionata da un altro titano, Thera, in God of War: Ghost of Sparta.
In sintesi aveva ragione Thanatos, la Morte in persona, che nello scontro finale in GoW: Ghost of Sparta ci aveva detto che i passi dello spartano sono guidati da antiche forze. A questo punto possiamo supporre con una certa sicurezza che si riferisse ai Titani in generale, e a Gea / Gaia in particolare.
Proprio Gea ci resuscita, e un fiammeggiante Pegaso diventa il nostro mezzo di trasporto d’elezione.
Dopo un pregevolissimo scontro aereo in stile dogfight, Kratos giunge nella Tana del Titano, dove scopriamo che costui non è altri che… uno dei figli di Gaia, Tifone, divinità primordiale della tempesta e, in quanto compagno di Echidna, padre di tutti i mostri. Tecnicamente non è un vero Titano, ma tant’è.
Nella Tana dell’Orso del Titano ci imbattiamo in Prometeo, nel pieno del supplizio a cui è stato condannato da Zeus: per aver sottratto il fuoco dagli Olimpici e averlo regalato ai mortali, come abbiamo già ricordato, è stato incatenato a una rupe a un dito del Titano, e durante il giorno un uccello gli divora le interiora, che si rigenerano durante la notte in un eterno ciclo di sofferenza e guarigione.
Kratos libera Prometeo, che però finisce ingoiato –ironia della sorte– proprio da quel fuoco che aveva sottratto agli dèi; lungo la strada accechiamo il Titano, che in teoria dovrebbe essere un nostro alleato ma in realtà ci odia a causa del nostro legame con Zeus, poi stacchiamo le teste di un po’ di Gorgoni, e infine assorbiamo parte della forza dei Titani proprio dalle ceneri del povero Prometeo.
Il Fantasma di Sparta, ora, porta addosso sia le ceneri dei propri cari, sia quelle del Titano Prometeo. Dunque, scartata l’ipotesi di allearsi con il figlio di Gea, Kratos prosegue il suo viaggio in groppa alla versione heavy metal di Pegaso, alla volta dell’Isola della Creazione su cui risiedono le tre Sorelle del Destino.
Dopo un’altra dogfight e l’ennesimo tuffo nel vuoto, Kratos atterra sull’isola delle tre sorelle, e Gea ci racconta della ciclicità della storia, che vale anche per la mitologia. La Madre ci narra della vicenda di Crono e Rea, di cui abbiamo parlato precedentemente.
Ci racconta anche di come Zeus venne tratto in salvo da un’aquila grazie a uno stratagemma escogitato da Rea, e ci mostra l’estremamente villoso petto di Crono, che abbiamo già incontrato all’interno della saga di God of War.
La cara bisnonna ci racconta di come si sia presa cura di Zeus, causando indirettamente la caduta dei Titani. Le colpe di Crono si riversarono anche sugli altri Titani: Zeus non si limitò ad attuare la propria vendetta su suo padre, ma uccise o imprigionò tutti i Titani, per buona misura. Kratos annuisce, con lo sguardo un po’ assente, e poi strappa la testa a qualche altra creatura del mito.
Il nostro cammino ci porta ora sui Destrieri del Tempo, sostanzialmente la bustarella con cui Crono ha tentato invano di corrompere le Sorelle del Destino.
Qui incontriamo un eroe greco con una barba degna di questo nome, e infatti poi Kratos abbandonerà il pizzetto spelacchiato in favore di una ben più eroica barba: Teseo, che serve e protegge quelle che, ora, vengono chiamate ufficialmente Parche. Nel mito greco sarebbero le Moire, ma ci accontentiamo anche del corrispettivo romano.
Se non ricordate il mito di Teseo e Arianna, vi rimando alla mia interpretazione della vicenda della Toreador Arikel, di Re Minosse e del Minotauro, come viene proposta in Vampire: the Masquerade.
Ad ogni modo Teseo ci sfotte, Kratos lo taunta, i due si picchiano, Kratos lo infilza e gli chiude –ripetutamente– la testa tra i battenti della stessa enorme porta a cui Teseo faceva la guardia. Oook.
Superato quest’ostacolo, riceviamo da Crono in persona il potere della sua Ira, e Kratos diventa sempre più Barbaro. Attiviamo il marchingegno divino che permette di liberare i titanici Destrieri, e così il nostro cammino prosegue in grande stile.
Nell’Atrio del Destino sconfiggiamo l’ennesimo Ciclope e, cammina cammina, c’imbattiamo in una nostra vecchia conoscenza, nonché la causa di tutte le disavventure di Kratos: proprio Alrik, il comandante dei Barbari dell’Est.
Botte da orbi tra i vorticanti spiriti dei barbari, in un combattimento che ricorda vagamente quello con il Lich King sulla sommità di Icecrown Citadel; Kratos guadagna un’altra tacca sulla cintura e un grosso martellone carico di barbarica ignoranza.
È il momento, ora, del Tempio di Euriale. Qui accoppiamo ancora un altro Ciclope, ma non prima di avergli strappato l’occhio; l’aspetto buffo è che qui il povero Ciclope viene usato come mount. Tra ciclopi, cerberi, grifoni, fauni e quant’altro, Kratos avrà sterminato tre quarti delle creature mitologica della Grecia antica. Forse è a causa sua che oggi non ne vediamo molte in giro?
Superato un fiume di sangue, sconfitto un altro guardiano primordiale e affrontato un altro combattimento funambolico come quelli di Betrayal, incontriamo ora Giasone: l’eroe degli Argonauti, famoso per l’impresa relativa al Vello d’Oro. Sia Giasone sia il Vello finiscono tra le fauci di un grosso Cerbero, ma riusciamo a recuperare almeno il Vello, che si rivela essere un bel pezzo d’armatura che rimanda al mittente gli attacchi nemici. Nice.
Così fortificati e preparati, affrontiamo Euriale, la Gorgone sorella di Medusa, a cui strappiamo la testa dal potere pietrificante. Così, tanto per conservare la tradizione iniziata da Perseo. Piroette, saltelli e genocidi, e arriviamo nella Sala di una prima delle Parche / Moire: Atropo.
Non riusciamo ancora a incontrare la Parca, ma c’imbattiamo in un altro celeberrimo personaggio del mito greco: proprio il Perseo che abbiamo appena ricordato, con tanto di scudo adornato dal volto di Medusa, un pregevole richiamo al mito greco in cui le cose vanno un po’ diversamente.
Come già molti altri prima di lui, Perseo compie un errore fatale: fa innervosire Kratos. Qui il personaggio di Perseo è piuttosto accurato rispetto alla mitologia: come l’eroe mitologico, infatti, il Perseo di God of War II riesce a rendersi invisibile (grazie all’elmo di Ade), ha uno scudo riflettente (donato da Atena), e ha un’arma affilatissima (una spada al posto del falcetto di Ermes, ma tant’è).
Tutto questo equipaggiamento non lo aiuta, e infatti assistiamo allo spin-off Percy Jackson e gli schiaffoni dello spartano. Ba-dum, tss. Sì, il Percy della saga cinematografica si ispira vagamente al Perseo del mito. In soldoni, comunque, Perseo le prende di brutto, e viene appeso a un gancio come un prosciutto mentre Kratos gli sottrae lo scudo incantato.
Un dettaglio per i lettori cinefili: la voce del Perseo di God of War II, almeno nella versione inglese, è la stessa del Perseo del film Scontro di Titani del 1981, cioè quella dell’attore statunitense Harry Hamlin.
Dopo aver posto Perseo a stagionare, Kratos prosegue, e poco più avanti strappiamo dalla carcassa di un bestio anche la Lancia del Destino. Sì, il nome si riferisce piuttosto ovviamente alla Lancia di Longino, cioè la celebre Lancea Longini che, secondo il Nuovo Testamento, trafisse il costato di Gesù crocifisso.
Troviamo spesso questo leggendario artefatto sia nei videogame sia nei giochi di ruolo: chi segue regolarmente la rubrica della Tana dell’Orso ricorderà, senz’altro, la fazione dei Lancea et Sanctum di Vampire: the Requiem, di cui abbiamo discusso abbondantemente in passato, e che ruota attorno proprio alla Lancia di Longino. Ma torniamo a noi.
Fly on your way like an eagle, fly as high as the Sun,
on your way, like an eagle, fly and touch the Sun!
Purtroppo per la colonna sonora di questo punto del gioco non è stato scelto l’omonimo pezzo degli Iron Maiden, ma credetemi: mi ha accompagnato incessantemente durante la scrittura di questo paragrafo dedicato al grande Icaro, figlio di quel Dedalo che progettò il Labirinto del Minotauro.
Già, perché è proprio lui quello che incontriamo a metà del ponte sospeso sul Grande Abisso sottostante. Con la sua consueta grazia e la gentilezza che lo contraddistingue, Kratos intima a Icaro di consegnargli le sue ali artificiali.
Prevedibilmente Icaro rifiuta, visto che intende raggiungere le Sorelle, dopo essere fuggito dall’Oltretomba, per cambiare il suo destino ed evitare di morire spiaccicato al suolo, come invece accade nel mito greco in cui la cera, il collante delle ali artificiali, si scioglie quando Icaro si avvicina troppo al Sole.
I due si accapigliano e precipitano nel vuoto, continuando a picchiarsi durante 50 secondi circa di caduta libera. Se la mia matematica non è arrugginita, e probabilmente lo è, in 50 secondi di caduta libera si percorrono 12 chilometri.
Durante la tranquilla discesa Kratos riesce ad afferrare le ali del malcapitato, e gliele strappa; Icaro continua a precipitare per altri 26 secondi, oltrepassando l’incredulo Titano Atlante –una nostra vecchia conoscenza– e sparendo oltre le nubi e le nebbie che, presumibilmente, segnano il passaggio nell’Oltretomba.
Queste nubi dovrebbero essere situate 28 chilometri più in basso rispetto al ponte sul Grande Abisso; niente di che, visto che nel 2014 il dottor Alan Eustace, ex Vice-President of Knowledge di Google, saltò da oltre 41 chilometri di quota.
Atlante, nipote di Urano e Gea, il Titano liberato nel contesto della congiura di Persefone sventata in Chains of Olympus, e che Kratos ha nuovamente incatenato alla Colonna del Mondo. È proprio lì che lo ritroviamo, con tutto il peso del mondo che grava ancora sulle sue possenti spalle, e comprensibilmente il Titano non la prende benissimo.
Dopo un’incomprensione iniziale, Atlante ci espone il suo punto di vista sulla Titanomachia: qui Zeus viene descritto come un maniaco del controllo, assetato di potere e determinato a spodestare il benevolo regno dei Titani. Ogni tanto anche in God of War gli scontri si risolvono senza combattere.
Ora Atlante, probabilmente imbeccato da Gaia / Gea, considera Kratos un alleato dei Titani, e quindi lo aiuta a tornare sul ponte sul Grande Abisso, sollevandolo con il palmo della propria titanica mano. Sì, esatto, un braccio di Atlante dovrebbe essere lungo circa 20 chilometri. Sia come sia, Kratos torna sul ponte, e la strada prosegue.
Tra una peripezia e l’altra, ci addentriamo sempre di più all’interno del gigantesco tempio delle Sorelle del Destino, che a quanto pare ha dimensioni fisiche pressoché infinite (un po’ come i campi di Holly & Benji).
Qui apprendiamo non soltanto che Sparta ormai è caduta, senza il suo dio della guerra privato, ma che è stato proprio Zeus in persona a scomodarsi per raderla al suolo!
Com’è ormai tradizione, Kratos dà di matto e non si accorge che, zitto zitto quatto quatto, alle sue spalle è emerso un enorme bestione tentacoloso: il Kraken. Certo, il nome kraken è attestato a partire dal Settecento ed è tipico dell’area Nord-Europea, ma direi che possiamo chiudere un occhio e considerarlo un più generico mostro marino.
Il dolce abbraccio del suddetto ci fa perdere i sensi, e abbiamo una visione che, per molti aspetti, ricorda una scena del film Il Gladiatore: tra le spighe di grano, però, stavolta emerge Lysandra, la defunta moglie dello spartano.
Presumibilmente è Gea / Gaia quella che ci parla per mezzo della visione di Lysandra, anche perché è lei che ci potenzia l’abilità Ira dei Titani con cui ci liberiamo dalla morsa del Kraken, prima di trasformarlo in sashimi.
Grazie alla sconfitta del Kraken, droppiamo Ashes of Al’ar Kratos riesce a raggiungere la fiammeggiante fenice fatta rinascere poco prima, e con le buone maniere la acquisiamo come mount epica.
Dopo un lungo cammino, alla fine siamo giunti al cospetto delle Sorelle del Destino: le Moire greche, le Parche romane, le Norne norrene e così via.
Partiamo dal Trono di Lachesi, un nome che significa letteralmente Destino; Lachesi è la Moira che misurava il filo della vita di ogni creatura, avvolgendolo attorno a un fuso. La Moira ci rivela che è stata lei a decidere l’esito della Titanomachia, in cui i Titani hanno perso contro gli Olimpici, e a permettere a Kratos di arrivare fino a quel punto.
Per tutta risposta Kratos assume la sua espressione pre-massacro e inizia a prendere a sberle Lachesi; nel corso del combattimento viene agguantato da Atropo, la Moira a cui spetta la responsabilità di recidere il filo della vita di ogni mortale.
Atropo spiega a Kratos che le Moire possono cambiare il passato a proprio piacimento, mettendo più che facilmente fine alla vita dell’ex dio della guerra. Lo spartano non si lascia intimidire, e pesta anche questa Moira; il colpo di grazia che recide il filo della vita di Atropo, però, viene sferrato per errore dalla stessa Lachesi. Kratos si limita a trapassare la testa di quest’ultima con le sue lame.
Più avanti, nella Camera del Telaio, troviamo l’ultima Moira: colei che tesse i fili della vita, Cloto. L’aspetto di questa Moira è molto diverso da quello delle altre due sorelle: queste ultime erano essenzialmente delle valchirie semi-nude, Cloto invece è una creatura insettoide enorme e mostruosa. Viene comunque infilzata malamente, e Kratos riesce nel suo intento.
Manipolando il proprio filo della vita, lo spartano riesce a tornare indietro nel tempo, fino a pochi istanti prima della sua morte; in barba a ogni paradosso temporale, il Kratos futuro placca Zeus, salvando il Kratos passato da morte certa. Zeus comprende immediatamente cos’è successo, e parte uno scontro in stile Dragon Ball.
Ah, siamo arrivati alla ciccia. Sull’Altare dell’Olimpo Zeus opta per il this isn’t even my final form: il Padre dell’Olimpo infatti decide che ne ha abbastanza, e si trasforma in un titano. Ironia della sorte.
La Spada dell’Olimpo però ha una certa esperienza nell’accoppare i Titani, e infatti Kratos sembra avere la meglio sul Padre. Sia suo, sia degli dèi dell’Olimpo. Proprio mentre il Fantasma di Sparta sta per sferrare il colpo di grazia, però, Atena si frappone tra Zeus e la Spada del Destino, con somma costernazione dello spartano.
Prima di spirare, la dèa della saggezza e della strategia (lei sì che ha 30 in Saggezza!) ci spiega che non si può abbattere Zeus senza condannare anche l’Olimpo, a prescindere dalle reali intenzioni di Kratos. Atena ci spiega anche che Zeus ha ucciso (o cercato di uccidere) il figlio per evitare di subire la sorte di suo padre, Crono.
Ritorna quindi il tema del parricidio primordiale: Urano evirato da suo figlio Crono, Crono abbattuto da suo figlio Zeus, e Zeus potenzialmente ucciso da suo figlio Kratos. È stata l’atavica paura di essere soppiantati, che il padre nutre nei confronti del figlio, a scatenare la Grande Guerra fra Titani e Olimpici: la Titanomachia.
Atena ci conferma che Zeus è il padre di Kratos, e lo spartano cade dal pero: già, lui non ha giocato i prequel prima di arrivare a God of War II, quindi non sa di essere figlio di Zeus. C’è da dire che nel corso di Ghost of Sparta avevamo già scoperto che, in realtà, anche il Becchino non era nient’altri che Zeus in persona.
Nel mito greco, come abbiamo già visto, Kratos è figlio del Titano Pallante ed è un alleato di Zeus. Qui è il contrario, insomma.
Zeus se la dà coraggiosamente a gambe, mentre la povera Atena esala il suo ultimo respiro. Kratos enuncia il suo manifesto programmatico, riassumibile in «Morte agli dèi dell’Olimpo!», e Gea / Gaia ci ricorda che ora abbiamo il potere di viaggiare nel tempo.
Il Fantasma di Sparta torna brevemente all’epoca della Titanomachia, agguanta il Titano Gaia / Gea e la porta con sé nel presente.
Proprio mentre Zeus arringa gli dèi olimpici superstiti, chiamandoli a mettere da parte le antiche ostilità per allearsi contro quell’arrogante di un mortale, Gea inizia a scalare il Monte Olimpo, portando in groppa un Kratos carico d’ignoranza e cattive intenzioni.
Negli ultimi fotogrammi vediamo che Gea e Kratos non sono soli: a loro si sono uniti gli altri Titani, prelevati anch’essi dall’epoca della Titanomachia. È la fine dell’Olimpo?
Per saperlo dovremo aspettare il capitolo conclusivo della parte greca della saga di God of War, di cui parleremo nelle prossime settimane, prima di passare ai titoli più recenti che vedono Kratos nelle fredde lande norrene.
Una curiosità: una volta completato God of War 2 in modalità Titano, potremo vestire gli eroici panni di Ercole, che in realtà è il nome romano attribuito al greco Eracle.
Questo personaggio sfrutterà tutta la sua potenza impugnando le spade di Kratos: la nostra forza sarà raddoppiata, mentre la nostra capacità difensiva sarà dimezzata. Eracle / Ercole tornerà anche in God of War III, e avrà qualcosa da ridire sul conto del nostro spartano.
A questo punto non ci resta che darci appuntamento, come sempre, per Mercoledì prossimo.
This post was published on 13 Marzo 2019 21:00
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