Con l’uscita di Ace Combat 7, a 12 anni dal sesto capitolo e a quasi 8 dal dimenticabile tentativo di far rivivere la serie sotto una luce più realistica e inspirata ai modern shooters chiamato Assault Horizon, ci siamo sentiti in dovere di celebrare questa saga di culto che non ha mai ricevuto l’amore che gli spettasse. In particolar modo, andremo a parlare della terza entry, ovvero Ace Combat 3: Electrosphere, una gemma e uno dei punti più alti toccati dalla prima PlayStation che, come vedremo verso la fine dell’articolo, è tuttora poco conosciuta in occidente.
Se vi siete persi gli articoli precedenti dedicati al retrogaming potrete ritrovarli comodamente tutti a questo link. Troverete Final Fantasy, Resident Evil, Silent Hill e molte altre chicche raccolte solo per voi!
Era il lontano 1995 quando dagli studi nipponici di Bandai Namco (all’epoca ancora solo Namco) prendeva il volo su PlayStation 1 una delle serie di culto della storia dei videogiochi, l’unica capace di coniugare la magia del volo con il divertimento delle battaglie in pieno stile arcade: Ace Combat. Il primo capitolo, noto in occidente con il nome di Air Combat e solo dal secondo capitolo cambiato nel nome originale, non era certo un capolavoro ma tra i suoi difetti tecnici e, nonostante la ripetitività di alcune missioni e la totale assenza di trama, poneva la fondamenta per un seguito destinato ad essere qualcosa di più se ben impacchettato e limato, grazie ad un gameplay coinvolgente e una notevole varietà di missioni per essere un titolo uscito così presto su PS1.
È il 1999 nella vita reale, ma il 2040 a Strangereal. Strangereal è un universo parallelo, del tutto simile al nostro, con una differenza sostanziale: la Terra non è la stessa, la sua storia e la sua conformazione notevolmente alterati.
Ci troviamo nel continente di Usean e sta per scatenarsi l’ennesimo confitto globale. Ad Usean non esistono più governi nazionali ed è sotto il totale controllo di corporazioni multinazionali, le maggiori delle quali sono Neucom Incorporated e General Resource Limited. Noi siamo Nemo, pilota dell’Universal Peace Enforcement Organization (UPEO), e avremo inizialmente il compito di arginare il più possibile il conflitto scoppiato tra le due corporazioni, iniziata da Neucom nei confronti di General Resource: è l’inizio della Intercorporate War. Non saranno solo queste le fazioni in gioco, ma dovremo anche confrontarci con una organizzazione terroristica dal nome di Ouroboros il cui obiettivo è favorire il progresso tecnologico dell’umanità eliminando ogni elemento perverso e non necessario che lo possa ostacolare, come ad esempio i loro desideri.
Nel corso del gioco Nemo avrà la possibilità di decidere da che parte del conflitto schierarsi. Continuare a lottare per la pace globale a fianco di UPEO, supportare una delle due corporazioni in guerra tra loro, o forse lottare per un nuovo ordine globale e trasferire l’intera umanità in un universo digitale chiamato Elettrosfera a fianco dei terroristi di Ouroboros? Queste saranno le scelte che potremo effettuare nel corso del gioco, dando quindi luogo a 5 finali differenti, cosa che rende Ace Combat 3 un unicum nella saga Namco.
Una storia che, per quanto complicata, sembra comunque abbastanza “tradizionale”, è destinata a diventare sempre più complessa e sci-fi man mano che ci addentriamo nel gioco. La trama, narrata da un mix di finti telegiornali intenti a narrare giorno per giorno lo svolgersi della vita e del conflitto a Strangereal e attraverso le interazioni tra i vari co-piloti e il silente Nemo, assume via via connotati sempre più cyberpunk e i richiami ad opera d’animazione giapponese di genere come Ghost in the Shell e Neon Genesi Evangelion diventano sempre più apparenti.
Se inizialmente le missioni risulteranno abbastanza standard, tra inseguimenti adrenalinici tra cielo e terra, voli rasoterra tra grattacieli di grandi metropoli e slalom tra lunghi ed interminabili canyon per sfuggire ad una cortina di missili anti-aereo, più in là nel gioco i confini tra reale e digitale verranno annullati completamente. Ci troveremo quindi a bordo di un ibrido tra un aereo da combattimento e uno shuttle a dover annientare satelliti non ben identificati fuori dall’atmosfera, e concluderemo la nostra simulazione con un inseguimento all’interno di un’area completamente digitalizzata, la sopracitata Elettrosfera.
Il tema del rapporto tra uomo e tecnologia, tra umano e digitale, è un tema molto caro anche a Mamoru Oshii, regista di Ghost in the Shell, alla quale opera Ace Combat trae chiara ispirazione. Cos’è infatti Nemo se non altro che un guscio che interagisce con gli umani ma in maniera molto limitata, e capace con le proprie decisioni di influenzare il destino dell’intera umanità? La conclusione, tuttavia, è diametralmente opposta rispetto all’opera di Oshii, in quanto l’AI verrà semplicemente gettata via, mostrandosi dunque completamente assoggettata all’umanità. Un accenno alle modificazioni corporee più chiaro, invece, è presente nel personaggio di Rena, pilota prodigio, al quale sono state alterate con una operazione le terminazioni nervose per renderla più adatta al volo.
Rena è anche il link con un’altra opera: il suo ossessivo legame con un aereo, l’X-49 Night Raven, formidabile e che solo lei dopo l’operazione sarà in grado di pilotare, risulta molto simile a quella sviluppata da Asuka e Shinji in Evangelion e sarà costretta a staccarsene, per poi salirci a bordo una ultima volta, ingannata da false promesse di un membro dell’Ouroboros. La tragica fine dell’eroina maledetta, chiamata così dai media di Strangereal a causa della malattia che non le permette di affrontare la luce del sole, avverrà quindi all’interno dell’aereo da cui era ossessionata per mano di Nemo, l’ex fidato alleato, e mostrata attraverso un AMV in stile anime con chiari rimandi al capolavoro di Anno. Non solo: un ulteriore chiaro rimando a Evangelion è rappresentato dall’Elettrosfera stessa che rimanda alle transizioni psichedeliche delle ultime puntate, nonché al celebre finale di 2001 Odissea Nello Spazio.
Questa scena è forse il rimando più diretto a NGE:
A questo punto qualcuno di voi si alzerà e mi bloccherà dicendomi: io Ace Combat 3 ce l’ho, l’ho giocato! Il protagonista non ha nessun nome! Non ci sono scelte da fare, c’è un solo finale! Trama? Filmati d’animazione? Conversazioni tra piloti? Ma cosa ti sei fumato? Non ho visto nulla di tutto questo!
Eccoci quindi arrivati al motivo per cui Ace Combat 3 non ha avuto il successo che avrebbe dovuto ottenere. Probabilmente a causa delle scarse vendite in sol levante del gioco, Namco ha sostanzialmente tranciato a metà la localizzazione del gioco, riducendo i dischi di gioco da 2 a 1, le missioni da 52 a 36 e eliminando ogni parvenza di trama e biforcazioni, con l’esclusione di piccoli riferimenti qua e là di poco conto ad inizio missione. Per quanto siano rimaste le missioni più creative come quella nello spazio e una colonna sonora elettronica simile a quella che possiamo trovare in Wipeout di tutto rispetto, di certo si tratta di una esperienza nettamente inferiore a quella originale dell’opera.
Fortunatamente è possibile anche per chi non conosce il giapponese di vivere Ace Combat 3 nel modo in cui è stato pensato grazie ai ragazzi del Project Nemo, che si sono occupati di una patch di traduzione (da affiancare ad un blocco di testo) per permettere a chiunque di apprezzare uno dei capolavori sopiti dell’era PlayStation 1. Non sarà il modo ottimale ma, a meno che siate fluenti in giapponese, è l’unico modo per potervi tuffare nell’Intercorporate War.
This post was published on 1 Febbraio 2019 12:00
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