Giovanni Pizzigoni, in arte GioPizzi. Doppiatore, oratore e fan del cinema. Ha un canale YouTube e gira l’Italia con il suo spettacolo “Poteva andare peggio”.
I topic principali dei suoi contenuti se non i doppiaggi, sono la politica, i costumi e la società e il cinema, trattati spesso in modo satirico. Raramente parla di videogiochi, quindi è proprio in ambito videoludico che ci piacerebbe intervistarlo.
Buona lettura!
GioPizzi, dal doppiaggio al vlog, senza mai abbandonare la satira
Giovanni, sebbene su Youtube non ne parli così spesso, hai lasciato intendere che ti piacciono i videogiochi. Quanto tempo dedichi a questa passione? Quanto sono importanti per te?
GioPizzi: E’ verissimo. Io sono certamente un casual gamer, un normalone, però come ogni buon millennial che si rispetti ho investito una buona parte del mio tempo libero (e non solo) nei videogiochi. Anche per il mio lavoro, devo comunque restare aggiornato su quello che è il videogame oggi. E a pensarci bene questa è una figata. Ovviamente non vuol dire che mi metto a giocare due ore al giorno su Fortnite, tutto è declinato ai miei gusti. Per esempio, so molto bene che appena uscirà il nuovo gioco della Paradox, Imperator, la quota dei miei video settimanali si dimezzerà.
Anche tu fan dei giochi della Paradox? Quali hai giocato? (Comunque se giochi i titoli della Paradox, difficilmente ti bollerei come “casual”.)
GioPizzi: Guarda, da ragazzino divorai tutti i giochi della Total War, sopratutto Rome, con il quale passai veramente intere estati, macellando germani e sottomettendo tribù elleniche. Poi, qualche anno fa, Steam mi disse “e va bene campione, perché non provi qualcosa di più complesso?” ed è lì che mi buttai su EU4. Mi si aprì un universo.
Poi HOI4, Stellaris e adesso appunto, attendo fremente Imperator. Ma il fatto è questo. Io credo che questi videogiochi di tipo strategico-gestionale a larga scala siano uno degli strumenti fondamentali per la comprensione delle meccaniche del mondo.
Molto banalmente, mi spiego. Nella stragrande maggioranza dell’educazione storica odierna, è molto difficile per i ragazzi riuscire a comprendere le complessissime dinamiche della storia di uno stato. Come nasce, come si difende, le influenze che riceve nel mondo, lo strapotere dei singoli, i pro e i contro di una dittatura, il peso della guerra. Mentre invece, metterli davanti a un contesto videoludico, con una serie di scelte, opzioni, vie da intraprendere, compromessi e complessissime situazioni da gestire, questi videogiochi possono farti capire moltissimo del mondo in cui vivi.
Per fare un esempio idiota, mi trovai in un video a spiegare l’importanza del rapporto di mutua difesa europea da minacce militari ed economiche esterne paragonandole al fatto che in EU4 non è possibile attaccare Mantova senza che tutto il Sacro Romano Impero venga a romperti le uova nel paniere.
Mi trovi del tutto d’accordo sull’aspetto pedagogico che il medium videoludico può avere, non solo sui giovani. Così come un film o un buon libro, i videogiochi possono portare a spunti di riflessione su determinati argomenti. Tolto il genere degli strategici/gestionali, ti è capitato di giocare titoli che ti hanno lasciato qualcosa, che sono andati oltre il mero aspetto ludico?
GioPizzi: Certo che si. Infatti principalmente quello che cerco in un videogioco è l’esperienza emotiva. Per questo motivo il mio videogioco preferito è senza ombra di dubbio “The Walking Dead” della TellTale. Che è un videogioco pieno di difetti grafici, bug, problemi di ogni sorta, ma di fatto è stato il primo videogioco a regalarmi delle emozioni agghiaccianti da ogni punto di vista. Prendersi cura di una persona che ti affida tutto, insegnarle a sopravvivere, fare delle scelte terribili di vita o di morte, tradire amici, rompere alleanze, fantastico. Anche ad alti livelli, intendiamoci.
Ho rigiocato moltissimo al capolavoro assoluto della Quantic Dream, Heavy Rain (mooolto meno gli altri) perché lì potevo veramente percepire il peso delle mie scelte e appunto, vagonate di emozioni. E poi ultimamente mi sto appassionando sempre di più all’ambiente semi-underground, che ho iniziato a frequentare con Papers Please, il super-cult. Incredibile come una meccanica così semplice, in un contesto così apparentemente banale come quello di un burocrate sia stato gestito così bene da poter regalare una atmosfera, una narrazione così intensa. Stessa cosa con This War of Mine.
Tutti splendidi titoli quelli che hai citato. Cambiando completamente argomento, parliamo di un aspetto che forse ha a che fare di più con il tuo personaggio su YouTube: il doppiatore. Hai qualche doppiaggio videoludico, magari anche non perfetto, ma a cui magari sei affezionato? Ti faccio un esempio, tra i miei preferiti c’è quello del primo Metal Gear Solid, non è perfetto, magari in alcuni punti anche trash. Tuttavia, rispetto allo standard di quei tempi era davvero ben fatto.
GioPizzi: Guarda, ti dirò, tra tutte le cose a cui faccio attenzione in un videogioco, il doppiaggio è una delle ultime. Non sto certo qui a fare il ganzo mezzo pirla dicendoti che “è meglio l’originale” o che per me l’inglese è una seconda lingua, ma per difetto professionale so bene come lavorano i doppiatori italiani, di conseguenza il doppiaggio italiano mi lascia abbastanza indifferente.
Tutt’altra storia sentire i voice actors originali. Visto il fatto che per forza di cose hanno un’enorme libertà interpretativa in più, proprio perché è sulle loro corde vocali che si incide il personaggio, riesco veramente a godermeli e a stupirmi. Proprio in The Walking Dead, per esempio, Lee è interpretato da Dave Fennoy, una bestia sacra del voice acting americano, sopratutto nei videogame. In quel videogioco ha veramente messo tutto sé stesso (anche perché ha amato il personaggio) ed effettivamente mi è rimasto a cuore.
Poi certo, se mi parli di Metal Gear, non posso che sciogliermi se penso al timbro vocale di David Hayter, graffiato, cattivo, ma comunque pulitissimo e confezionato allo stesso tempo. Adesso non credo abbiamo tempo per sviscerarlo, ma il doppiaggio italiano e il voice acting in inglese sono abissalmente differenti. Non parlo di qualità (non sempre), ma per come è fatto, sopratutto nei videogiochi, il doppiaggio limita e stringe. Per questo motivo se ne ho la possibilità metto il gioco in originale.
David Hayter è un mostro, davvero bravissimo e mi rattrista il fatto che non è stato incluso in Metal Gear Solid V.
Hai citato Heavy Rain di David Cage o il titolo della TellTale The Walking Dead, entrambi titoli caratterizati da una forte componente narrativa ma un gameplay abbastanza limitato. Molti criticano questi titoli dicendo che sono poco più che film interattivi, quasi privi di gameplay, troppo facili, troppo guidati, laddove il videogioco nasce come puro gameplay e la trama dev’essere solamente qualcosa d’accompagnamento. Tu cosa ne pensi di questa critica, fatta sopratutto dai giocatori di vecchia data?
GioPizzi: Si, è una divisione abbastanza sterile secondo me. Ci ho dedicato un intero episodio del mio podcast “Fritto Misto” su spreaker, approfittandone mentre parlavo di Bandersnatch. Il fatto è questo: i videogiochi ovviamente non sono nati tanto per raccontare una storia, ma appunto, per giocare, per regalare al giocatore un’esperienza divertente.
Però le cose cambiano, costantemente.
Che cosa intendiamo con “videogioco” oggi?
Un’insieme di pixel colorati o meno in cui vengono contati i punteggi delle nostre partite, oppure una ricchissima serie di esperienze possibili che intrecciano quasi ogni aspetto artistico rappresentabile? Mi spiego peggio. Il videogame è un prodotto del mercato e della società, quindi cambia con esso. Il videogioco non è un dogma, ma appunto, proprio grazie alla tecnologia, alla condivisione di materiali e risorse a livello globale, si sono moltiplicati enormemente gli sviluppatori dei videogiochi. Ma anche l’uso.
All’idea di videogioco non rimane quasi neanche il principio ludico del termine, proprio perché alcuni videogame non ne fanno assolutamente uso. Ma invece, trasformano il videogioco in un’esperienza. Mi viene in mente per esempio Dear Esther, della The Chinese Room. E’ un videogioco di un’ora di “camminata” in cui l’unica cosa che può fare il giocatore è vagare per un’isola, cercando riscoprire ricordi, immagini, pensieri, un percorso emotivo fantastico che raggiunge un climax intimo e spettacolare. Per carità, se la vivi nel modo sbagliato sei stronzo, ed è ovvio che ti rompi immediatamente.
Come quelli che spendono 12 euro per andare a vedere Avatar e passano tutto il film a lamentarsi di quanto tutto “è impossibile, daiiii!” Potevano vedere altro! Ed è questo il punto: avevano una scelta. E’ la scelta la cosa più bella di questo mondo. Non viviamo in un periodo in cui i videogiochi sono “trama o gameplay”, non sono neanche sicuro che sia mai esistito, però di fatto io posso scegliere tanto di prendermi il picchiaduro tamarro con i pompati orientali che prendono a cazzotti le belle fighe in sottoveste viola quanto prendermi il mattone polacco da 4 pixel alla Lucas Pope in cui mi schianta in una distopia totalitaria in chiave post-ermetica.
L’importante è la scelta per il contesto. E’ così che io scelgo i videogiochi. Voglio un’esperienza.
Ti ringrazio per il tempo concesso. Vuoi dire qualcosa ai nostri lettori di Player.it?
GioPizzi: Oh certo! Grazie a te carissimo per avermi dato la possibilità di esondare in argomenti che non mi competono anche su una rivista ufficiale di Player.it! E saluto tutti! Ah, se posso permettermi un consiglio per gli acquisti, so che molti di voi non hanno degnato Life is Strange perché sembra una cosa molto tumblr. Lo è, assolutamente, ma è una figata che scioglie. A presto e grazie mille!