La Tana dell’Orso, la rubrica per giocatori asociali, appassionati del single player e indagatori dell’occulto, è arrivata al quattordicesimo appuntamento: stavolta le nostre Lame del Caos si conficcheranno a fondo nelle titaniche catene che vincolano saldamente God of War: Chains of Olympus e la mitologia greca.
Mentre salteremo qua e là tra gli elementi mitologici e i personaggi di spicco della saga di Kratos, l’eroe spartano più tamarro dopo Leonida I (quello di This. Is. Sparta!), rivedremo insieme i passi che hanno portato il celeberrimo pelato di Brazzers di Sparta al punto della storia con cui si apre l’altrettanto celebre God of War, pubblicato nel 2005.
Già, perché GoW: Chains of Olympus, uscito nel 2008, è il secondo prequel di God of War, dopo God of War: Ascension, pubblicato a sua volta nel 2013.
Riassumendo in breve, la trama di God of War finora si sviluppa così:
e per il momento ci fermiamo qua. Non ha senso anticipare la trama degli altri cinque capitoli della saga: rischieremmo di confonderci le idee!
D’altronde nessuno ha mai detto che la timeline più complessa sia quella di Guerre Stellari, no?
Ora che abbiamo individuato le coordinate spaziotemporali della storia, riassumiamo in breve gli eventi di questo secondo prequel della saga, così da poterci addentrare nell’esplorazione degli elementi di mitologia greca con maggior cognizione di causa.
Alla fine di Ascension, il nostro eroe è afflitto da terrificanti visioni del suo cruento passato; il desiderio di affrancarsi da esse lo porta, alla lunga, a mettersi al servizio degli dèi dell’Olimpo, come una sorta di assassino prezzolato.
Durante le avventure di Chains of Olympus, inoltre, nella mente di Kratos inizia a serpeggiare una certa insofferenza nei confronti dei suoi divini datori di lavoro: gli dèi dell’Olimpo, infatti, si affidano a lui e alle sue micidiali capacità senza però, di contro, aiutarlo nei suoi propositi di vendetta, e soprattutto senza liberarlo dalle visioni che attanagliano la sua mente.
Nel corso di questo capitolo Kratos mette un freno alle mire espansionistiche dei Persiani nei confronti della città greca di Attica; dopo aver –metaforicamente– decapitato questo particolare serpente persiano, e cioè dopo aver –piuttosto letteralmente– pestato il Re dei Persiani con una cassa piena d’oro e aver rimesso al suo posto il gigantesco Basilisco / drago, il nostro eroe è testimone di un portento: il Sole precipita dal cielo e si schianta al suolo, lasciando il mondo in balia delle tenebre.
Re Persiano: «Prendi il mio regno! Le mie donne! Il mio oro!»
Kratos: «Non voglio le tue ricchezze, ma prenderò la tua vita!»
Sfasciandoti sulla testa un baule pieno d’oro. Like a boss Kratos.
E chi se non il dio dei Sogni in persona, Morfeo, potrebbe approfittare di questa notte eterna? Così accade, infatti. Morfeo tenta un colpo di Stato di livello divino, approfittando della temporanea assenza del dio del Sole, Elio. No, non quell’Elio: stiamo parlando di Helios, senza le Storie Tese e senza le sopracciglia in grassetto.
Durante l’avventura scopriremo che Elio è stato rapito da Atlante, un importante Titano, cioè uno degli esseri primordiali di cui abbiamo parlato precedentemente.
Kratos deciderà di indagare, e per farlo dovrà scendere nell’Ade, l’Oltretomba sotterraneo su cui regna l’omonimo dio degli Inferi: Ade, appunto.
Avremo modo di guidare il carro celeste di Elio e di aggiungere al nostro già traboccante carniere niente meno che Caronte, figlio di Titani e famosissimo traghettatore infernale.
Investigando e sterminando, inoltre, troveremo il bandolo della matassa: il machiavellico piano, in realtà, è stato ordito da Persefone, moglie di Ade e anche Regina dell’Oltretomba (ma solo part-time), nonché figlia di Demetra e Zeus.
È stata proprio Persefone a liberare Atlante dalla sua iconica condanna, inflittagli da Zeus perché durante la Titanomachia (che abbiamo già ripassato insieme) si era alleato con Crono, padre di Zeus stesso: la pena per il Titano era quella di sorreggere sulle proprie spalle il peso dell’intero Mondo. Nel mito la vicenda è un po’ diversa, ma approfondiremo tra poco.
Ma perché Persefone l’ha liberato? Perché la Regina dell’Oltretomba intende attuare la propria vendetta contro Ade, che l’ha rapita strappandola al mondo dei vivi e alla madre Demetra, e contro gli dèi che hanno ignorato le sue richieste d’aiuto.
Non ci sarebbe granché da obiettare e Kratos potrebbe accettare l’offerta di Persefone, restando nei Campi Elisi insieme agli spiriti della propria famiglia, se il piano non prevedesse la distruzione della Terra. La consorte di Ade, infatti, intende utilizzare il potere di Elio per distruggere la Colonna grazie a cui Atlante sorregge il Mondo.
Kratos non ci sta, e decide di fare quello che gli riesce meglio: prende a ceffoni Persefone, poi agguanta Atlante per la collottola e lo incatena di nuovo alla Colonna del Mondo, e alla fine emerge vittorioso dagli Inferi, guidando il Carro Celeste di Elio.
Ma il finale di questo capitolo non può essere così lieto, a quanto pare: l’eroica impresa ha messo a dura prova il nostro eroe, che nell’ultima scena si ritrova a dire addio ai poteri guadagnati nel corso dell’avventura. D’altronde Chains of Olympus è un prequel, e il livello di potere di Kratos doveva tornare quello che vediamo all’inizio di God of War (2005).
È così che Kratos, dopo aver riportato la Luce sulla Terra liberando Elio, cede all’oscurità che gli assedia la mente e alle fatiche che gravano sul suo corpo pallido, e cade (o si getta) dal carro celeste, cosa che sarebbe uno dei possibili modi per porre fine alle proprie sofferenze.
La scena mi ha ricordato un po’ la fine di Icaro, che si avvicina troppo al Sole con le sue ali artificiali tenute insieme dalla cera, e precipita in mare.
Invece Atena ed Elio salvano Kratos appena un istante prima che questi si schianti al suolo, e il risultato è che ora il Fantasma di Sparta è privo degli artefatti divini e di gran parte dei poteri accumulati nel corso dei due prequel: fisicamente pronto e soprattutto nel giusto stato d’animo per l’intro di God of War (2005).
Sipario, buio, applausi.
Ora che abbiamo rinfrescato il ricordo della trama di questo gioco, passiamo ad analizzarne i caratteri mitologici salienti.
Come per tutto il resto della saga di Kratos, o almeno per quanto riguarda i capitoli visti finora, il rapporto tra la mitologia greca e God of War: Chains of Olympus è piuttosto solido e ben strutturato.
Il gioco pullula di creature mitologiche, di entità primordiali e di divinità del pantheon greco; alcuni adattamenti sono inevitabili e qualche imprecisione probabilmente è sfuggita al controllo delle Moire degli sviluppatori.
In Chains of Olympus vediamo Atena tra i principali alleati di Kratos: è proprio una statua della dèa, infatti, a svelare al Fantasma di Sparta non soltanto le circostanze della sparizione di Elio, ma anche l’abile colpo di mano di Morfeo; è sempre Atena a indirizzare i passi di Kratos verso il salvataggio di Elio, così da liberare gli altri dèi dalla stretta soporifera di Morfeo. Deus ex machina statua, sostanzialmente.
Nella mitologia greca Atena è la dèa della giustizia, della civiltà, della saggezza e dell’aspetto strategico della guerra, che si contrappone al lato brutale e violento impersonato da Ares. Ma non è tutto: la dèa, infatti, è anche la patrona delle imprese eroiche, nonché un’abituale aiutante degli eroi che compiono gesta degne di questo nome.
Insomma, Atena è stata degnamente rappresentata in Chains of Olympus.
Sempre all’interno del videogioco, Elio è il dio-titano del Sole e il Guardiano dei Giuramenti; anche nel mito greco è la personificazione del Sole, e in quanto tale è anche il dio che tutto vede: il testimone ideale per i giuramenti. Per gli antichi greci questa divinità solare solcava i cieli in un carro fiammeggiante, trainato da quattro focosi destrieri: Aeos, Pyrois, Aethon e Phlegon.
Come abbiamo già visto, anche in Chains of Olympus questo dio-sole ha un carro celeste trainato da destrieri di fiamma, in grado -se necessario- di attraversare qualunque barriera si opponga al loro percorso nel cielo. Finora due su due, caro Kratos! Bonus: nel gioco c’è anche Eos, la dèa dell’alba e sorella di Elio. Stiamo andando alla grande.
Passiamo a Morfeo, il plasmatore di sogni: nel mito è la divinità che permette di sognare altri esseri umani, ed è figlio del titano primordiale Nyx (la notte), quindi nipote del Caos e fratello di Ipno, il dio del sonno. In Chains of Olympus, invece, è figlio di Ipno (come lo era per i romani!) ed è un villain implicito: approfitta dell’occasione perfetta, creata dal piano di Persefone, per cercare di soggiogare gli altri dèi al proprio volere, addormentandoli e inviando nel mondo le creature oniriche che sono sotto il suo dominio.
Due su tre. 7+. Ma andiamo avanti.
Tra i protagonisti non possono mancare, naturalmente Persefone e Atlante, e inserirei tra questi anche Caronte. Ma sono stati resi decentemente in God of War: Chains of Olympus?
È molto interessante l’aspetto psicologico legato al risentimento di Persefone contro Ade. Prima di arrivare a questo, però, va ricordato che nel mito Persefone è figlia di Demetra, dèa della Terra, e moglie -non proprio felicissima- di Ade, il dio dell’Oltretomba che l’ha rapita e con un inganno l’ha costretta a restare negli Inferi, salvo poi arrivare a un accordo con l’infuriata madre Terra: ogni anno Persefone sarebbe rimasta sei mesi con il marito (Autunno e Inverno), e sei mesi con la madre (Primavera ed Estate).
Nel videogame la situazione è sostanzialmente la stessa, ma c’è un gustoso dettaglio che magari ai più sarà sfuggito: in uno dei filmati d Chains of Olympus, Persefone spicca un melograno dall’Albero Desolato.
Il melograno è proprio il frutto che Ade le aveva offerto e che lei ha accettato, sigillando così il proprio destino: chi mangia i frutti dell’Oltretomba, infatti, di solito è destinato a restare negli Inferi per l’eternità. Questo frutto, oltretutto, rappresenta la tentazione di Ade, e anche nel filmato sta a simboleggiare la tentazione dell’oblio nei Campi Elisi, offerta da Persefone a Kratos.
Restando ancora negli Inferi, parliamo un attimo di Caronte: il traghettatore di anime per antonomasia, presente anche nella dantesca Divina Commedia e nell’Eneide virgiliana oltre che nei miti greci e latini, viene descritto nella mitologia e nella letteratura come un vecchio canuto dagli occhi rossi, che con una lunga pertica spinge sul fiume Acheronte (o sullo Stige, nell’Eneide) la sua imbarcazione del colore della ruggine.
In Chains of Olympus l’imbarcazione è decisamente più grande, e la pertica diventa l’iconica falce della Morte, ma per il resto ci siamo.
Una curiosità: la pratica di seppellire i defunti con delle monete sugli occhi o in bocca, così che -secondo il folklore- possano pagare il traghettatore di anime, probabilmente ha origine proprio da Caronte. Ma non era diffusa soltanto tra i greci e i romani: la prassi era piuttosto conosciuta e utilizzata anche dai Galli, dai Celti, dagli Scandinavi, perfino in Medio-Oriente e addirittura anche dai Cristiani; basti pensare che persino Papa Pio IX è stato sepolto con l’Obolo di Caronte, nel 1878!
Uno degli attori principali del piano di Persefone è Atlante: un titano di seconda generazione che ha combattuto nella Titanomachia, ed è stato condannato da Zeus a tenere separati i propri genitori, Urano (il cielo) e Gea (la terra), e cioè coloro che hanno dato vita a tutti i Titani.
E proprio qui viene sempre fatta confusione: a differenza di quel che si crede comunemente, Atlante non sorregge il mondo, ma il cielo, Urano, per impedirgli di unirsi alla terra, Gea, e di procreare altri Titani. Anche nell’arte le statue di Atlante lo raffigurano mentre sorregge il mondo, e probabilmente questo ha contribuito non poco ad alimentare la confusione.
In Chains of Olympus vediamo che Atlante è un titano con quattro braccia, che era stato incatenato nel Tartaro ma in seguito è stato liberato da Persefone; nel finale Kratos lo acciuffa, lo incatena in cima alla Colonna del Mondo e lo usa in pratica per riparare la parte danneggiata dal potere di Elio, a causa del piano di Persefone. Ora Atlante sorregge il peso del Mondo, confermando l’errata interpretazione odierna del mito greco.
Tra i principali scenari che compaiono nel gioco, tre vanno assolutamente ricordati: i Campi Elisi, cioè l’equivalente classico del Paradiso; il Tartaro, il corrispettivo delle profondità dell’Inferno, e l’Olimpo, che possiamo paragonare all’Empireo, sede divina per eccellenza.
Nel mito greco e romano i Campi Elisi sono un luogo utopico e immutabile, in cui dimorano in perfetta armonia gli spiriti dei mortali puri e amati dagli dèi; secondo alcune interpretazioni, però, lì risiedono anche gli eroi morti in modo nobile, un po’ come il Valhalla / Valhǫll norreno.
In Chains of Olympus accade più o meno lo stesso, con una piccola aggiunta: chi entra nei Campi Elisi deve farlo disarmato, sia fisicamente sia psicologicamente: Kratos, infatti, abbandona i suoi poteri e le stesse Lame del Caos, ponendole in un certo senso ai piedi dell’Albero Desolato, prima di entrare nei Campi Elisi per rivedere sua figlia Calliope.
Il Tartaro del mito consiste nelle più oscure profondità degli Inferi: è la buia prigione in cui sono rinchiuse le varie entità primordiali sopravvissute alla Titanomachia, e il guardiano del Tartaro è il Centimane Briareo di cui abbiamo discusso in modo approfondito nell’appuntamento di questa rubrica dedicato a God of War: Ascension.
Kratos viene gettato nel Tartaro nel corso del primo incontro con Caronte; è lì che si scopre che Atlante, in sostanza, è stato fatto evadere da Persefone, ed è sempre nel Tartaro che Kratos trova il Guanto di Zeus, di cui parleremo più avanti. Per recuperare questo artefatto divino, però, serve la Chiave del Custode del Tartaro, che in Chains of Olympus è un umano, di cui vediamo soltanto le spoglie: probabilmente è stato proprio uno dei primi umani al servizio dell’Olimpo.
A proposito di Olimpo: nel mito questo monte, situato in Tessaglia, era in origine il trono del Titano Crono, e poi è diventato la sede dei Dodici Dèi dell’Olimpo, che vivevano in palazzi di cristallo arroccati sulla montagna stessa e costruiti dai Ciclopi. Nella saga di God of War l’Olimpo è costellato di costruzioni d’oro massiccio, ed è collegato al Mondo dei mortali tramite un Portale, che vediamo negli ultimi istanti del filmato di chiusura del gioco.
Abbiamo già assodato che Zeus incatenò i Titani nel Tartaro, sia nel mito sia in God of War; ma come ci riuscì, visto che i Titani erano, almeno sulla carta, molto più potenti?
Usò uno speciale artefatto forgiato da Efesto, chiamato Guanto di Zeus, in grado di frantumare qualsiasi materiale… perfino la carne e le ossa degli Immortali.
Tra gli altri artefatti degni di nota, ricordiamo lo Scudo del Sole e la Lancia di Tritone.
Il primo viene rinvenuto nel tempio di Elio: questo fiammeggiante scudo rotondo è in grado di riflettere non soltanto la luce del dio-Sole, ma anche gli attacchi degli avversari.
La Lancia che recuperiamo nelle caverne dell’Olimpo, invece, è una versione minore del più celebre Tridente di Poseidone; è infatti l’arma di Tritone, figlio del dio del mare, che ci permette di respirare sott’acqua senza problemi.
Il Re Persiano che Kratos picchia con un baule pieno d’oro è, con tutta probabilità, il celebre Serse; sì, proprio il dorato Serse del film 300.
Serse, infatti, combatté contro gli Spartani nel 480 a.C., e quindi è plausibile che si tratti proprio di lui; oltre a uno scudo, a un’enorme scimitarra e ad alcuni giavellotti, questo Re Persiano padroneggia anche le arti magiche legate al fuoco, e può scatenare un Efreet.
Ora, mentre il collegamento con il fuoco è piuttosto accurato, visto che i persiani seguivano la religione dello Zoroastrismo e il fuoco è uno dei simboli principali del culto zoroastriano, per l’Efreet il discorso è completamente diverso: questa creatura fiammeggiante è parte della mitologia araba e islamica e non di quella persiana, quindi non c’entra proprio tantissimo.
Tra le armi dell’esercito persiano, oltre a un’imponente flotta navale, c’è anche il Basilisco: un’enorme e vorace creatura sputafuoco, utilizzata dai persiani come una sorta di strumento d’assedio. Nel mito la figura del Basilisco muta, evolve, si trasforma in quella della Cockatrice (vi ricorda The Witcher 3, per caso?) e finisce per recitare in un film di Harry Potter.
In un primo momento credevo che il soffio di fuoco che vediamo in Chains of Olympus fosse un’invenzione degli autori; in realtà le ricerche effettuate per scrivere questo articolo mi hanno fatto ricredere: secondo alcune fonti letterarie, infatti, il soffio del Basilisco non è velenoso ma infuocato. Ovviamente restano ben fondati nel mito sia lo sguardo pietrificante sia il potentissimo veleno del Basilisco / Cockatrice, che in realtà sono due versioni della stessa chimera, secondo i bestiari medievali.
Allora possiamo accettare che Kratos faccia secco il Basilisco chiudendo a forza la bocca della creatura, proprio mentre questa sta per sparare una palla di fuoco.
Non esiste fuoco amico, insomma.
Nel corso dell’avventura troviamo anche ciclopi, gorgoni imparentate con Medusa, satiri, spiriti, arpie, psicopompi e minotauri: tutte creature ben conosciute nel mito greco.
Incontriamo però anche una sfinge; no, non è una svista: questa creatura mitica è entrata nella cultura greca attraverso gli scambi con l’Egitto. Per la prima volta viene incontrata nel mito di Edipo, scritto da Esiodo, e in quasi tutte le fonti è descritta come figlia di creature primordiali e pre-olimpiche.
Nelle prossime settimane proseguiremo insieme il nostro percorso all’interno della saga di Kratos, un cammino che per questa rubrica ho scelto di far partire dal prequel God of War: Ascension, per poi seguire l’ordine cronologico della trama e non quello di uscita dei vari titoli della saga, sviluppata dalla software house californiana SIE Santa Monica Studio.
Per saperne di più su questo secondo prequel della saga, vi rimando alla recensione di God of War: Chains of Olympus, che ho ripescato per voi nei meandri oscuri del Tartaro del nostro sito.
Se vi appassiona la mitologia greca, non dimenticate di aggiungere alla vostra lista la serie TV Netflix Kaos, di cui abbiamo già discusso abbondantemente in passato.
A questo punto non resta che darvi appuntamento a Mercoledì prossimo, quando la Tana dell’Orso tornerà a parlare della saga di Darksiders.
This post was published on 12 Dicembre 2018 21:55
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