Questo appuntamento di Italy&Videogames sarà dedicato a The Great Palermo, prendendomi la libertà di estendere quell’idea di “Italia” che solitamente tratto al cibo tipico del capoluogo siciliano. Come dite? L’Italia è anche, se non sopratutto cibo? No, non sono d’accordo; nonostante sia assolutamente convinto che il cibo rappresenti uno dei capisaldi – cardine e colonna – della nostra bellissima penisola, l’enogastronomia è solo uno degli innumerevoli spicchi che vanno a comporre la struttura “culturale” del Belpaese.
Il cibo, certo, ricopre un ruolo importante nella nostra società (provate a documentarvi su quante siano le tipicità enogastronomiche italiane, in procinto o già dichiarate, Patrimonio UNESCO – Dietra Mediterranea su tutte, ne rimarrete stupiti), ma questi non può essere assolutamente in alcun modo scisso dalla storia, dalla letteratura, dalla struttura antropica italiana. E allora, visto che siam prossimi al Natale e alle sue relative “magnate“, non perdiamo altro tempo in sofisticati pamphlet dall’amaro gusto accademico-baronale e passiamo tosto ad illustrare alcune delle caratteristiche tecniche di quello che anche Italy for Movies e IVIPRO definiscono un gioco strutturato quale fosse “Una storia di cibo e trasformazione”.
Prodotto e Sviluppato dalla We Are Müesli nel 2016 quale fosse una visual novel, The Great Palermo è una avventura interattiva che ha per core la cultura del cibo nella città siciliana. Attraverso Gaetano – il protagonista del gioco – avremo l’opportunità di scoprire alcuni dei monumenti e delle tipicità gastronomiche della capitale della Trinacria… alcune anche insospettabili.
Il gioco, devo ammetterlo, colpisce ed affascina subito per il suo peculiare aspetto grafico. Personalmente l’ho trovato molto gradevole, complice la peculiare e colorata scelta della grafico-artistica (fatta di sobrie e raffinate stilizzazioni di monumenti, cibi e panorami), impreziosita da una invidiabile conoscenza degli autori dello street food palermitano, oltre che da una “narrazione” in grado di snocciolare segreti, tradizioni e i costumi di una città da sempre luogo di incontro di popoli e culture (arabi, normanni, spagnoli per citarne i più recenti, romani, fenici, greci per tornare indietro di qualche millennio).
Molto interessante anche l’idea di associare ogni leccornia in cui ci imbatteremo ad un luogo d’interesse culturale della città. Ci troveremo, quindi a scoprire quale sia la genesi della Frutta Martorana (conosciuta anche pasta reale) presso la Chiesa della Martorana, nata perché le monache del monastero, per sostituire i frutti raccolti dal loro giardino, ne crearono di nuovi con farina di mandorle e zucchero cosi da abbellire il monastero per la visita del papa dell’epoca. Ed ancora: il pane con le panelle – un impasto di farina di ceci, acqua e cotta, forse già consumata in epoca romana imperiale – associato alla chiesa arabo-normanna di San Giovanni degli Eremiti; il dolce fritto Iris – nome ideato dal cavaliere del lavoro e pasticcere palermitano Antonio Lo Verso che preparò questo dolce in occasione della prima dell’opera Iris (Pietro Mascagni, 1901) – che assaggeremo presso il chiosco Ribaudo, nei pressi del Teatro Massimo collegato, quest’ultimo, alle Sfinci di San Giuseppe (dolce dedicato al Santo degli Umili ma con molta probabilità dalle origini più antiche, comparendo la sua ricetta già nella Bibbia e nel Corano); la grattatella “assaporabile” nei pressi dei Quattro Canti – crocevia cittadino della Palermo d’età moderna – che si ottiene aggiungendo frutta fresca, succhi o simili a del ghiaccio grattato via da un blocco più grande; il pane con la milza – nato nel medioevo quando gli ebrei palermitani erano impegnati nella macellazione della carne e, non potendo venire retribuiti per precetto religioso, trattenevano quale ricompensa le interiora utilizzate come farcitura insieme a pane e formaggio – è “mangiabile” presso la discesa Caracciolo che conduce al famoso mercato cittadino della Vucciria (ritratto anche da Guttuso) dove, caso mai non fossimo riusciti ad apprezzare tale “prelibatezza”ci disseteremo (o puliremo la bocca) con un bel bicchierone di vino e gazzosa. Se poi preferiamo qualcosa di più sofisticato possiamo provare il polpo della spiaggia di Sferracavallo o i babbaluci (lumache) del Santuario di Santa Rosalia, protettrice della città.
Se vi è venuta fame, o se anche solo vi ho incuriosito, fiondatevi immediatamente a trovare un modo di procurarvi questo tanto peculiare, quanto gradevole titolo e godetevi il piacere di scoprire passo dopo passo-morso dopo morso due delle più belle anime della città di Palermo: il cibo e la cultura.
Bon Appétit!