I franchise: tanto comuni quanto la modalitá battle royale nei videogiochi. Spesso non sono ristretti ad un solo media, ma esplorano una vasta gamma di piattaforme, per raccontare un’unica, grande storia. L’esempio da manuale è Matrix: il primo film ha generato non solo i due seguiti, ma merchandise, la serie animata Animatrix, fumetti e diversi videogiochi. I videogiochi basati su film, noti come tie-in, non hanno certamente la fama di essere buoni giochi: pensate all’infame tie-in di E.T, considerato il peggior videogioco della storia.
Un po’ meno spesso invece è un gioco l’opera originale, dalla quale viene tratto altro materiale. Qui l’esempio da manuale è Assassin’s Creed. Il videogioco ha generato innumerevoli seguiti, libri, fumetti, action figures e, ovviamente, un film. Anche i film tie-in non hanno però una buona fama: oltre al mal ricevuto Assassin’s Creed, basti pensare a trasposizioni come Prince Of Persia, Street Fighter, o al famigerato film di Super Mario.
Il caso più raro invece è quello in cui, dopo la trasformazione da videogioco a film, a qualcuno viene l’idea di creare un tie-in di tale film: giochi, basati su film, basati su giochi. In quali aspetti cambia il gioco “originale” da quello “tie-in”? Potrebbe la combinazione di “film tie-in” e “giochi tie-in” essere la ricetta per il disastro?
Ma prima di tutto, esiste un prodotto simile?
Ben più di uno. Uno dei precursori di questa categoria è Street Fighter: The Movie. No, non il film, ma il gioco basato sul film del 1994 con Jean-Claude Van Damme. L’idea di questo gioco è quella di riproporre un picchiaduro 2D usando come personaggi il limitato cast del film (usando la particolare tecnica, resa famosa dal rivale Mortal Kombat, di usare come frame di animazioni dei personaggi, foto di attori in carne ed ossa). Sarebbe potuto essere un semplice reskin di Street Fighter II, ma è risultato un gioco graficamente mediocre, molto legnoso e molto poco divertente.
Un esempio molto più recente invece è l’ultimo capitolo della saga di Ratchet and Clank, gioco basato sull’omonimo film, reboot del primo gioco. Questo gioco è molto autoironico, e confessa nella prima scena di sapere di essere un gioco tratto da un film, e ci scherza su. Vorrebbe che ridessimo con lui, mentre invece dal punto di vista di narrazione, strapperà molto difficilmente una risata (o forse sono io che sono cresciuto, chi lo sa 😉 ). Dal punto di vista di gameplay però rimane intatto, e porta sullo schermo una versione rimodernata delle meccaniche del primo gioco.
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L’esempio più interessante è forse SpyHunter: Nowhere to Run. Questo gioco è basato su un film con protagonista Dwayne “The Rock” Johnson, che però è stato cancellato nel 2006. Quel film sarebbe stato un tie-in del gioco SpyHunter (scritto tutto attaccato) del 2001, remake del gioco Spy Hunter (staccato) del 1983. Infine, questo gioco sarebbe dovuto essere un gioco basato … sul brand di James Bond.
Urge un’infografica:
E con questo trip, gli esempi puri di giochi “ludocinematici” (nome inventatissimo) sono finiti. Possiamo un pochino tirare la definizione, ed estenderla ai giochi analogici: esiste per esempio The Lego Movie: Videogame, basato sul film The Lego Movie, basato sul brand dei più famosi mattoncini colorati del mondo. Se vogliamo essere invece più permissivi dal lato film, forse potremmo inserire in questa categoria anche Pokémon Giallo, essendo il gioco basato sulla serie animata di Pokémon (basata, ovviamente, sui famosissimi giochi). Infine, la saga di Tomb Raider si avvicina al genere, che alterna giochi e film basati su giochi. Non c’è un vero e proprio caso di film che ha generato un gioco, ma è possibile che i film di Angelina Jolie abbiano influenzato i capitoli videoludici appena successivi.
Ok, qualcuno ce n’è. Come sono?
Tutti i giochi di questa categoria presentano una sistematica differenza rispetto alla loro opera prima. Essa nasce dall’intrinseca differenza tra i media film e videogioco: la densità narrativa.
Con densità narrativa si intende quanto il prodotto sia, appunto, “denso di narrazione”, in opposizione a quanti altri elementi ci sono. Un gioco come Minecraft non è denso narrativamente, dato che il cuore del gioco (minare e craftare) compone praticamente l’interezza del gioco. Heavy Rain, d’altro canto, è molto narrativamente denso: se togli la storia dal prodotto, quello che rimane è una macchina per pachinko. Attenzione, la densità narrativa non c’entra nulla con quanto bella o coinvolgente sia la trama: in questa categoria, Final Fantasy VI è alla pari con Pokémon Blu.
Fortunatamente, lo studioso di Game Studies e capo dipartimento del Center for Computer Games Research, Espen Aarseth, ci viene in aiuto e ci fornisce un modello per definire, per un determinato gioco, quanto sia narrativamente denso.
Si analizzano 4 variabili: Mondo, Oggetti, Agenti ed Eventi. Per ognuna, si identifica a che “livello narrativo” si pongono in un determinato gioco, seguendo lo schema (per esempio: la variabile “oggetti” in Pokémon é classificata come “usabile”, perché nel gioco non si possono modificare, creare o inventare oggetti. Minecraft d’altrocanto si pone molto più in basso, avendo un apposito sistema di oggetti creabili). Identificate le quattro variabili, si traccia una linea che passa per tutti i valori. L’area sottesa (o, quanto é alta la linea mediamente) indica quanto la narrazione è importante nel gioco in questione.
Con questo strumento possiamo classificare tutti i giochi e le loro controparti ludocinematiche, e notare che in (quasi) tutte le istanze, il secondo è più narrativamente denso. Per tanti potrebbe essere un punto a favore di questa categoria, ma ricordo che la qualità della narrazione non è presa in considerazione. Prendiamo l’eccezione, il caso di Ratchet & Clank: il livello narrativo è equivalente nelle due versioni del gioco, ma ci sono pesanti modifiche che, se possiamo dire, banalizzano personaggi ed intrecci.
Se perciò la ludocinematizzazione innalza il livello narrativo (a discapito della densità ludica, il suo opposto), ma utilizza una narrazione che mediamente non brilla di luce propria, otteniamo sistematicamente un gioco con minor – o ugual – gameplay, ed un comparto narrativo più invadente e spesso peggiore.
Quindi la transizione gioco, film, gioco è sempre peggiorativa?
A quanto pare, per ora, questa transizione è stata usata in modo molto ingenuo. Il percorso da videogioco a film sembra essere molto trasformativo, in quanto il media riduce a zero l’interattività videoludica. Quando invece si torna al videogioco, si cerca di copiare il gameplay originale ed aggiungere gli elementi narrativi dello step intermedio. Sembrerebbero esserci quindi tre soluzioni al problema.
- Fare dei film buoni, e nel passaggio da film a gioco, non implementare troppo gameplay. Potrebbe uscire un buon prodotto narrativo! (ma a questo punto, un film è la piattaforma migliore…)
- Ignorare il lato narrativo del film: fare dei giochi con meno narrazione possibile e concentrarsi a fare un buon gameplay (ma a questo punto esiste il gioco originale!)
- Evitare di fare questo tipo di giochi dato che sono, nel migliore dei casi, molto scialbi per natura.