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Il cuore mi pulsa ritmicamente nelle tempie, come se queste fossero giganteschi tamburi percossi da un titano.
Sento il sangue che cerca di liberarsi dalla morsa delle arterie, inutilmente.
Non riuscendoci, si vendica martellando dietro gli occhi dolenti, rombando nelle orecchie semi-ghiacciate e scavando il proprio percorso fino alle più remote profondità della mia psiche.
Vengo sballottato come un guscio di noce in preda alla furia di Nettuno.
Apro gli occhi lentamente: tutto è sfocato, vedo solo una patina bianca e abbagliante. Un po’ alla volta la mia vista riprendono a funzionare, riluttante.
Scuoto la testa. Intorno a me trovo uno sparuto gruppetto di disgraziati, che devono sentirsi sballottati e infelici quasi quanto me. Il tizio alla mia destra mi fissa, cupo e imbavagliato; dinanzi a lui c’è un figuro piuttosto losco, con i polsi legati tra loro, e anche saldamente. Di fronte a me vedo un viso più amichevole, che deve aver notato il mio sguardo, perché mi dice, con un sorriso sghembo:
Ehi, tu! Ti sei svegliato, finalmente.
Stavi cercando di attraversare il confine con il Lazio, non è vero?
Alzo lo sguardo: sono circondato da brulle montagne, a loro volta incoronate di nubi pesanti, gravide di pioggia e grandine.
Un vago profumo di carne arrostita, di formaggio alla griglia e di pane fragrante, appena sfornato, s’insinua malignamente nelle mie narici, ricordandomi che non mangio da giorni.
Il vento crudele ulula tra le cime scabre, nude, vestite soltanto di qualche filo d’erba secca e riarsa.
In lontananza odo il belato di un gregge, i fischi pigri di un pastore, a cui fanno da controcanto i solerti latrati di un cane.
Un pallido raggio di sole, chissà come, si fa strada a fatica tra le nubi pesanti, e colpisce la superficie increspata di un lago cristallino, avvinghiato nell’abbraccio di due colline che sembrano volersi gettare l’una sull’altra, come due amanti in preda al delirio di Venere.
Il ruggito del vento viene soggiogato, per un momento, da un voce possente, profonda, baritonale.
Il mio stomaco, messo a dura prova dai sussulti del carro scoperto su cui –a quanto pare– sono seduto, viene serrato all’istante in una gelida morsa, prima ancora che io ne capisca il motivo.
Quando comprendo che quella è la voce di un drago, i miei capelli bruni e ondulati si rizzano quasi dolorosamente sulla nuca e su tutto il cuoio capelluto, imitando i peli delle mie braccia intirizzite, sferzate dalle folate ghiacciate.
{Il seguente materiale è fanmade}