Il numero undici mi ha sempre fatto pensare alla dualità, alla simmetria e a Giano Bifronte. Ecco perché, nell’undicesimo appuntamento con la rubrica della Tana dell’Orso, parleremo di… no, non di Giano Bifronte, ma dei collegamenti tra Lovecraft e Oblivion!
Cosa credevate, che avrei scritto un altro pezzo sulla mitologia romana?
Va bene, lo metto in lista per le prossime settimane, ma ora torniamo alla saga di The Elder Scrolls e all’influenza esercitata su di essa dal Solitario di Providence.
E ho scritto saga perché, dopo aver dedicato un’intera puntata a TES III: Morrowind, in questo articolo tratteremo insieme Oblivion e Daggerfall.
Un passo avanti, uno indietro.
Simmetricamente.
I legami tra Lovecraft e Oblivion
Bethesda non ha mai fatto mistero di aver attinto a piene mani dai Miti di Cthulhu e dalle opere di H.P. Lovecraft; semplicemente alcuni titoli presentano influenze più evidenti rispetto ad altri, e se non li abbiamo già visti insieme allora li tratteremo nelle prossime uscite di questa rubrica, dedicata ai giocatori per cui il multiplayer è gradevole quanto un Nightgaunt che raspa alla finestra.
Partiamo da TES IV: Oblivion, attraversiamo tutto il Viale dei Ricordi, facciamo il giro panoramico e ci vediamo in zona TES II: Daggerfall tra circa un quarto d’ora. Ok, si parte.
Indizio n. 1: Un’ombra su Hackdirt
Procediamo per indizi, da bravi investigatori dell’occulto quali siamo.
Una delle quest di Oblivion si chiama A shadow over Hackdirt: un riferimento talmente palese da risultare quasi doloroso, come se fosse lì, vestito da Cultista, a picchiarci sul grugno con un tentacolo verdastro e putrescente.
Ok, abbiamo colto tutti il collegamento, ma devo ugualmente spiegarlo per motivi contrattuali: si tratta di un’ovvia citazione di The shadow over Innsmouth, una delle opere di Lovecraft più conosciute in assoluto.
Di cosa parla questa codesta quest, allora?
Immaginate un villaggio isolato, sperduto tra i boschi; una comunità mineraria, i cui abitanti sono più che sospettosi verso i forestieri: direi proprio ostili.
Ebbene, è precisamente in questo villaggio, dal suggestivo quanto evocativo nome di Hackdirt (traducibile come Spaccaterra), che veniamo spediti per conto di una mercante rettiliana Argoniana: la missione consiste nell’indagare sulla scomparsa della figlia di questa mercante, di cui si sono perse le tracce -guarda caso- mentre si recava nella ridente cittadina mineraria di Hackdirt.
Hackdirt è Innsmouth, senza il mare
Per chi non avesse letto The Shadow over Innsmouth, riepilogo brevemente l’ambientazione della storia: il protagonista visita uno strano villaggio isolato, sperduto sulla costa del New England, e vi trova una comunità di pescatori, i cui ripugnanti abitanti sono più che sospettosi verso i forestieri: direi proprio ostili. Suona familiare, eh?
Scorriamo rapidamente le pagine, e arriviamo all’agghiacciante scoperta: la popolazione del villaggio è composta da ibridi uomo-pesce, seguaci del culto dell’antico dio Dagon, che alla lunga evolvono (o regrediscono) allo stato anfibio: i Deep Ones. Ma ci aspetta una seconda scoperta, ancora più orribile, che non intendo spoilerare in questa sede.
Torniamo a Lovecraft e Oblivion.
L’ostilità e l’assoluta chiusura degli Hackdirtiani (o Hackdirtesi?) non ci aiutano minimamente nella ricerca della stereotipata damsel in distress, e a quel punto –da bravi investigatori / avventurieri– non ci resta che connetterci all’equivalente medieval-fantasy di Internet: la locanda del luogo, che come tutte le locande che si rispettino è un ricetto di pulci, zecche, pettegolezzi, malattie veneree, cibo scadente e alcolici di dubbia provenienza.
Quatti quatti sgattaioleremo nella stanza occupata dall’argoniana fanciulla scomparsa, e scopriremo che il mobilio è stato ispezionato forse con eccessivo zelo, ma troveremo anche il diario della lucertolina ragazza. Sembra quasi di essere in una sessione del Richiamo di Cthulhu!
Le caverne di Hackdirt
Con questo diario iniziamo a svelare i primissimi passi che ci condurranno nel fondo oscuro, puzzolente e strano (nell’accezione lovecraftiana) della vicenda.
«In che senso oscuro e puzzolente?», vi starete chiedendo.
Beh, un inaspettato aiutante ci indirizzerà alle caverne sotto la città, guardate dagli Hackdirt Brethren che, in sostanza, sono omaccioni dotati di braghe, ignoranza e cattive intenzioni, ma di sicuro sprovvisti delle più elementari infrastrutture igieniche e sanitarie che noi ormai diamo per scontate.
E poi hanno occhi molto più grandi del consueto, esattamente come gli ittici cittadini della Innsmouth lovecraftiana.
Esplorando queste caverne troveremo la fanciulla imprigionata, la liberemo e ricondurremo così all’ovile la pecorella smarrita. Una pecorella con le scaglie.
«Un lieto fine, addirittura? Cosa c’è d’inquietante, strano, lovecraftiano?»
La Bibbia dei Deep Ones
Sì, un attimo, ora vi racconto. Un po’ di pazienza! Inizio ad avere una certa età.
Dicevamo: nella chiesa del villaggio possiamo trovare una strana Bibbia; indaghiamo un po’ e veniamo a sapere che questa è, in realtà, la Bibbia degli Abitatori del Profondo (o Deep Ones), donata al fondatore del villaggio del capo della loro Chiesa.
I vostri sensi da indagatore dell’occulto sono già in fermento, vero? E fanno bene.
Gli Abitatori del Profondo sono delle creature inventate proprio da H.P. Lovecraft, e fanno il loro debutto in La maschera di Innsmouth (cioè The shadow over Innsmouth, per l’appunto).
Sfogliando un po’ questa Bibbia, notiamo che il font usato è parecchio strano: si tratta di caratteri daedrici, cioè legati agli esseri divini del Piano di Oblivion che -spesso impropriamente- vengono considerati demoni.
«Tutto qui?»
Ah, ormai dovreste conoscere questa mia rubrica.
Se avete dato un’occhiata alla nostra pre-recensione di Call of Cthulhu, tuffatevi nel mistero dell’interpretazione di oscuri testi arcaici, criptati, cifrati, letti al rovescio in una notte senza luna.
Cosa contiene in realtà quella Bibbia?
Quali segreti celano quei glifi incomprensibili?
È forse il famigerato Necronomicon del pazzo poeta arabo Abdul Alhazred?
No.
Si tratta, in sostanza, di un testo apparentemente copia-incollato dal web, e poi parzialmente cifrato.
«E quindi? Finisce tutto così?!»
Non vi preoccupate, miei cari lettori.
Hackdirt e la teoria degli Sload
Esplorando le caverne sotto la cittadina di Hackdirt, ci imbattiamo in un’ampia sala naturale sotterranea, con un tunnel crollato.
Avvicinandoci piano piano ai detriti e alle rocce che bloccano il passaggio, e tendendo l’orecchio, possiamo udire il tonfo di passi pesanti, insieme a una sorta di ruggito ovattato.
C’è qualcosa, lì sotto.
Il testo della Bibbia di Hackdirt, una volta tradotto e decifrato, riguarda una newsletter di La Ranetoj, la Società di Esperanto di Stoccolma, il che ci fornisce due indizi in merito:
- La Ranetoj significa “piccole rane“;
- il testo è identico a quello contenuto in un libro che troviamo in Morrowind, in Oblivion e anche in Skyrim: N’Gasta! Kvata! Kvakis!
“Piccole rane” può essere un flebile collegamento agli Sload, che sono creature anfibie presenti nella saga di The Elder Scrolls, vagamente simili a un mix tra una rana e una lumaca e che, oltretutto allevano una sorta di mini-drago-rana come animale domestico.
Il libro N’Gasta! Kvata! Kvakis! può essere più interessante: no, non c’entra nulla con lo storico Klaatu, Barada, Nikto! di Ultimatum alla Terra, ma è un riferimento a N’Gasta, un potente necromante Sload che incontriamo in The Elder Scrolls Adventures: Redguard, pubblicato nel 1998.
Attenzione, però: se ne parla anche in TES III: Morrowind, quando Artisa Arelas, pellegrina Dunmer in Vivec City, ci rivela che N’Gasta ha una torre anche a Vvanderfell, giustappunto nella provincia di Morrowind!
Hackdirt e la teoria dei Daedra
Come già detto, il carattere con cui è scritta la Bibbia di Hackdirt è palesemente daedrico, e questo ci porta a un’altra teoria, che fa concorrenza a quella degli Sload: ci sono vampiri ad Hackdirt. Quali prove abbiamo?
Premetto che a due passi da Hackdirt c’è un altare di Molag Bal, il Principe Daedrico della dominazione e della schiavitù, e ricordiamo anche che i vampiri, nella lore di The Elder Scrolls, sono stati creati proprio da Molag Bal.
Se parliamo con il personaggio che ci aiuta durante la quest per salvare la fanciulla Argoniana, veniamo a sapere che gli abitanti di Hackdirt, in un lontano passato, hanno stretto un patto con delle entità chiamate Deep Ones: ricchezza in cambio di sangue, o di sacrifici.
I viaggiatori che entravano in città sparivano misteriosamente, e alla lunga l’Imperatore si è stancato della situazione e ha ordinato alla Legione Imperiale di radere al suolo e bruciare il villaggio. Hackdirt, infatti, pur essendo stata in seguito ricostruita, mostra ancora i segni della distruzione e del fuoco.
Nelle caverne sotto la cittadina, inoltre, vediamo varie ossa che non sembrano di animali: probabilmente quella sarebbe stata la fine della figlia della mercante, se non l’avessimo salvata.
Il capo del culto di Hackdirt, Etira Moslin, normalmente è uno degli NPC nei cui confronti abbiamo la peggior reputazione. Ma se contraiamo il vampirismo, la reputazione aumenta automaticamente al 100%, cioè il massimo!
Oltre a questo, i Brethren vivono sottoterra, sono resistenti al freddo ma vulnerabili al fuoco, precisamente come i vampiri che popolano The Elder Scrolls, e non amano la luce del sole.
Hackdirt e i Grandi Antichi
C’è una terza via, naturalmente, e cioè che si tratti semplicemente di un easter egg: un semplice tributo alle opere di Lovecraft, in cui stiamo facendo del sano over-reading e over-thinking.
È degno di nota, comunque, il fatto che i pochi accenni e le scarse descrizioni che abbiamo dei Deep Ones, almeno all’interno della saga di TES, possono far pensare ai Lurker e ai Seeker di Skyrim: accade lo stesso nel caso degli Ascended Sleeper di Morrowind, come abbiamo già visto.
E se i Deep Ones fossero davvero dei Lurker? Anche i versi che percepiamo appena nelle caverne di Hackdirt sono simili a quelli dei Lurker di Skyrim: Dawnguard che incontriamo nel reame di Apocrypha. Allora dovremmo coinvolgere anche il padrone di casa: Hermaeus Mora, il Principe Daedrico della conoscenza, della memoria e della preveggenza.
I caratteri daedrici della Bibbia dei Deep Ones avrebbero un senso, allora: se c’è un Principe Daedrico che ama i libri è proprio il vecchio Hermaeus, che oltretutto è il Daedra dall’aspetto più lovecraftiano e tentacolare della saga.
Indizio n. 2: gli Hist
In Oblivion c’è un altro elemento riconducibile all’influenza lovecraftiana: gli Hist, che ritroviamo anche in altri capitoli della saga di The Elder Scrolls.
Gli Hist sono, in breve, degli antichi alberi senzienti, presenti sul mondo già molto tempo prima della nascita delle altre Razze: secondo alcuni sono la specie più antica di Nirn.
Queste entità hanno una coscienza collettiva: le loro menti sono collegate tra loro, usano l’acqua come una banca dati e possono influire sulla vita e sui sogni degli Argoniani che, in un certo senso, le venerano.
Gli Hist possono anche spostarsi tra i piani di esistenza, non percepiscono il tempo come una dimensione lineare, possono influenzare mentalmente e fisicamente gli esseri viventi che ingeriscono la loro linfa, e sono tra le creature più aliene, misteriose e incomprensibili della saga.
Percepisco una vaga vibrazione lovecraftiana. Voi no?
Indizio n. 3: Oblivion
Tra il 1920 e il 1921, un certo Ward Phillips pubblica un poema in prosa dal titolo peculiare: Ex Oblivione.
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Chi era W. Phillips? Nient’altri che il vecchio H.P. Lovecraft che, a quanto pare, si era immerso profondamente nelle gelide acque del filosofo Arthur Schopenhauer: l’oblio, il nulla, è da preferirsi alla vita.
There is nothing better than oblivion, since in oblivion there is no wish unfulfilled.
In questo poema in prosa viviamo, in prima persona, quelli che sembrano essere gli ultimi sogni di un uomo morente.
All’interno uno di questi il protagonista s’imbatte in un cancello di bronzo fissato a un muro coperto di rampicanti, e inizia a chiedersi cosa ci sia dall’altra parte.
In un altro sogno, invece, l’uomo visita la città onirica di Zakarion, in cui trova –leggete con attenzione– un antico papiro scritto da antichi saggi che esistono soltanto in quel mondo di sogno. Il papiro descrive cosa c’è al di là del cancello di bronzo: immani meraviglie, secondo alcuni, o incredibili orrori, secondo altri.
Su quest’antica pergamena, inoltre, il protagonista legge di una droga che spalancherà il cancello; naturalmente la notte seguente il nostro personaggio eroe assume questa sostanza e va a sbirciare oltre la bronzea barriera: lì scoprirà la delizia di trovarsi libero dal dolore del mondo reale, e la sorpresa -a lui gradita- che oltre il cancello lo aspetta soltanto un vuoto infinito.
Nel finale il protagonista -cito- torna a dissolversi nel natio infinito dell’oblio di cristallo, da cui il demone Vita l’ha evocato per una breve e desolata ora.
Oblio. Demone. Evocato per un certo periodo di tempo.
Ora, non ditemi che questa breve sinossi non vi ha fatto pensare alla saga di The Elder Scrolls (in italiano Le antiche pergamene, appunto) in generale, e a TES IV: Oblivion in particolare, suvvia!
L’influenza di Lovecraft in Daggerfall
Mi sono già dilungato abbastanza, ma non posso non accennare brevemente all’influenza lovecraftiana in TES II – Daggerfall.
Nel racconto The Shadow Out of Time di Lovecraft incontriamo la Grande Razza di Yith: creature onniscienti o quasi, dedite alle conoscenze segrete e arcane, nonché all’esplorazione del passato, del presente, del futuro e soprattutto delle menti degli esseri viventi di altri pianeti.
Le menti catturate dalla Grande Razza, inoltre, possono collaborare con i loro rapitori onniscienti, e in cambio hanno la possibilità esplorare le enormi biblioteche di Yith. In Australia è presente una di queste antiche ed enormi biblioteche: la Città Perduta di Pnakotus.
È da lì che provengono i Manoscritti Pnakotici: un volume leggendario che contiene una cronaca dettagliata della storia della Grande Razza e delle strabilianti conoscenze accumulate nel corso di eoni.
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Hermaeus Mora in Daggerfall
Se avete giocato Skyrim, avete già capito a cosa mi riferisco: di nuovo Hermaeus Mora.
Da una parte, come ho scritto in precedenza, Hermaeus Mora è spiccatamente lovecraftiano nell’aspetto: un grottesco ammasso di tentacoli, con al centro un enorme occhio con due pupille, circondato da occhi secondari che compaiono e scompaiono continuamente.
Il suo regno dall’architettura decisamente non euclidea è Apocrypha, la versione firmata Bethesda della città di R’lyeh, ricoperta da acque verdastre e piena zeppa di libri, volumi, rotoli e pergamene grondanti conoscenze proibite e segreti inenarrabili.
Dall’altra, però, con Harmaeus Mora si può parlare, contrattare e stringere patti: tutta un’altra storia rispetto agli incomprensibili, indifferenti, arcani e strani orrori che ci ha donato il Solitario di Providence.
Le differenze tra Lovecraft e The Elder Scrolls
In conclusione, come abbiamo visto più volte nel corso di questo articolo, la saga di The Elder Scrolls è molto lovecraftiana nell’estetica, nelle atmosfere e in molte delle storie che ci ripropone in una pregevole forma videoludica.
Il concetto di base, però, non è presente forse in nessuno dei titoli di TES: le opere di Lovecraft sono intrise di orrore esistenziale, di paura dell’ignoto (ma anche di fascinazione per quest’ultimo), e soprattutto di un senso di impotenza e insignificanza dinanzi alle entità primordiali e divine che potrebbero elevare o annientare l’umanità senza nemmeno accorgersene.
Nella saga di The Elder Scrolls, invece, Nirn (il mondo) è il centro di Aurbis, l’universo, così come i mortali sono al centro delle storie narrate. Certo, ci sono esseri divini potentissimi, e alcuni di questi sono notevolmente ostili ai mortali, ma nessuno è totalmente indifferente nei loro confronti come le divinità lovecraftiane.
Per Lovecraft, come già sappiamo, l’ignoranza umana è una benedizione, uno scudo che ci protegge dalla pazzia che squasserebbe le nostre menti, se sollevassimo anche solo per un istante il velo che, forse pietosamente, nasconde la verità ai nostri occhi mortali: la civiltà umana è priva d’importanza.
L’universo esiste soltanto perché Azathoth, il supremo essere divino, cieco e idiota, lo sta sognando mentre dorme cullato dalla musica dissonante suonata dai flauti della sua corte blasfema: se mai dovesse svegliarsi, la realtà cesserebbe di esistere all’istante.
Agente, servo, figlio e messaggero di Azathoth, non meno temibile del padre, è il Caos Strisciante che prende il nome di Nyarlathotep.
«E su tutto, in questo ripugnante cimitero dell’universo, si ode un sordo e pazzesco rullìo di tamburi, un sottile e monotono lamento di flauti blasfemi che giungono da stanze inconcepibili, senza luce, di là dal Tempo; la detestabile cacofonia al cui ritmo danzano lenti, goffi e assurdi, i giganteschi, tenebrosi ultimi dèi. Le cieche, mute, stolide abominazioni la cui anima è Nyarlathotep.»
– H. P. Lovecraft.
Terminiamo con questa nota.
L’appuntamento con la Tana dell’Orso, come sempre, è per Mercoledì prossimo.