Siamo arrivati all’appuntamento numero dieci con la rubrica della Tana dell’Orso, e per celebrare questo traguardo parleremo di uno dei miei videogame preferiti di sempre.
Indossate la vostra armatura della Scuola dell’Orso (appunto) e preparatevi a fare un sacco di slav squat: sì, ci stiamo per addentrare nell’esplorazione della mitologia slava in The Witcher 3.
Devo premettere che la mitologia slava rappresenta, per gli appassionati, una delle sorgenti più succose e ricche a cui abbeverarsi. Peccato che sia mediamente sconosciuta ai più, sebbene buona parte del panorama mitologico slavo sia confluito, in versione annacquata ed edulcorata, nel nostro folklore e in molte delle nostre fiabe tradizionali. Avete presente i Fratelli Grimm? No? Bene.
Montate sul vostro fido Roach, dotato per l’occasione delle regolamentari tri poloski (le tre strisce bianche dell’Adidas): si parte.
Ora è il momento di passare alla ciccia. Passatemi l’espressione: non la scrivevo da parecchio, su!
La tradizione orale è il principale veicolo che ha portato la mitologia slava fino a noi; a differenza dei miti greci e, in misura minore, quelli norreni, il folklore slavo è stato fissato in forma scritta soltanto in pochissime occasioni, e solo dopo l’arrivo dell’influenza del Cristianesimo.
I cronachisti e i missionari cristiani, quindi, hanno registrato per la prima volta le leggende e i miti slavi, di frequente snaturandoli e adattandoli alla visione del mondo della Chiesa, e miscelando i temi pagani con quelli cristiani, come spesso accadeva.
Molti di questi miti, poi, sono stati rimaneggiati e reinterpretati in chiave nazionalistica durante l’Ottocento e il Novecento, inquinandoli ulteriormente e facendoli passare di nuovo dietro una lente concettuale diversa da quella originale.
Molto comuni sono state le contaminazioni dalla mitologia greca: tanto per fare un esempio, il dio slavo Svarog viene spesso identificato con Efesto, similitudine che potrebbe anche essere appropriata ma che è sicuramente limitante, e perfino con Elios e Urano.
In The Witcher 3, in sintesi, sono state recuperati concetti e tradizioni che hanno viaggiato nei secoli esclusivamente attraverso la narrazione orale, fino ai nostri PC e alle nostre console.
Nelle diverse localizzazioni di The Witcher 3, inoltre, traspare abbastanza chiaramente lo sforzo effettuato dai traduttori per rendere ogni nome e ogni toponimo, cioè il nome di un luogo, il più naturale possibile. E poi dicono che i videogame sono diseducativi.
Vediamo insieme qualche esempio degli elementi della mitologia slava incorporati nel gioco. Vi va? Si parte, e stavolta per davvero.
Conosciamo tutti la figura dello Strigo, presumo; ebbene, l’autore della saga, Andrzej Sapkowski, si è ispirato al Vědmák (wiedźmak in polacco) della mitologia slava.
Il Vědmák, termine che tra l’altro troviamo anche in EVE Online, non è altro che uno stregone, cioè il corrispettivo maschile di una strega. A differenza di quest’ultima, però, la connotazione del Vědmák può anche essere positiva: si tratta di una figura che può sia proteggere gli umani, sia affliggerli con pestilenze e maledizioni.
Un personaggio prettamente caotico, ora ostile ora amichevole, e spesso emarginato (ma temuto e rispettato, sotto sotto) a causa delle sue due anime: una umana, e una demoniaca. Poteri primevi e magia elementale e naturale scorrono nelle sue vene, rendendolo un avversario più che temibile. Non vi ricorda qualcuno?
Quando un Vědmák muore, lo si può far diventare -attraverso un rituale abbastanza splatter– un non-morto di natura positiva, che proteggerà la zona dai non-morti brutti & cattivi.
La cosa non vi ricorda un po’ le famigerate Prove dei Witcher? Certo, il concetto è stato modificato, ampliato e romanzato, ma non è poi un salto così ampio. Non credete?
Nel mito slavo c’è una figura che riveste un ruolo particolare: l’archetipo del cattivo della storia.
Koschei l’Immortale, questo è il suo nome, di solito è un uomo che rapisce la moglie o comunque una persona cara del protagonista.
Torniamo nella saga di The Witcher: c’è qualcuno che rapisce le persone care dell’eroe?
Ma certo! Eredin, alias il Re della Caccia Selvaggia, che rapisce Yennefer e per un certo periodo di tempo cattura perfino lo stesso eroe della storia, Geralt, nel tentativo di arrivare a Ciri e al potere del Sangue Antico.
Vi propongo un’altra interessante connessione, che però c’entra poco col mito slavo.
Dopo essere stato ferito quasi mortalmente in Rivia, tradito da un uomo che aveva risparmiato, Geralt viene teletrasportato da Ciri in un’isola magica: Avalon. Lì dovrà guarire e recuperare le forze, insieme a Yennefer, che poi però verrà rapita dalla Caccia Selvaggia, e il resto è storia.
Ebbene, sapete chi altri viene tradito, riceve una ferita mortale e poi si ritrova convalescente ad Avalon, pronto per tornare indietro dal Regno dei Morti per guidare il suo popolo contro gli invasori e i nemici? Re Artù.
Geralt, d’altronde, è riuscito –con qualche aiuto– a tornare dalle schiere della Caccia Salvaggia, che vengono considerate orde di fantasmi, per poi condurre la sua cricca nella lotta contro l’invasore Eredin… Fermatemi.
Ricordate le pietre runiche che costellavano le armi e l’armatura del vostro Geralt?
Sono divinità. Letteralmente. Qualcuno l’avrà già capito quando ho nominato il dio slavo Svarog, ma ad ogni modo ecco la lista completa:
Nell’espansione Hearts of Stone vengono aggiunte altre due rune, che influenzano la rigenerazione garantita dal cibo e che hanno molto poco a che fare con le divinità e la mitologia: Pyerog, nome che evoca i pierogi e cioè i ravioli ripieni dell’Europa dell’Est, e Tvarog, che sta a indicare il quark, un tipo di formaggio fresco a pasta molle.
Ah, che burloni quelli di CD Projekt Red!
Dove andate? Non abbiamo finito con le rune, i glifi e affini!
Mi riferisco alle scrittine carine e sbrilluccicose che vedete incise su alcune spade, e in modo particolare in quella raffigurata nel trailer di gioco.
Lo confesso, qui mi è venuto in aiuto il forum ufficiale di CD Projekt Red: in realtà non soltanto quei glifi sulle spade, ma anche le iscrizioni presenti su alcune armature, sono caratteri dell’Alfabeto Glagolitico: il più antico alfabeto slavo conosciuto, creato dai Santi Cirillo e Metodio. Da questo alfabeto, in seguito, deriverà il moderno alfabeto cirillico (appunto).
«Ma cosa significano?», vi starete chiedendo. Se avete seguito questa rubrica fin dall’inizio, e se avete letto anche la mia intricata, labirintica e cervellotica recensione criptata di Call of Cthulhu, saprete già quanto sia improbabile che io non sia andato a cercare di tradurle.
E infatti sulla spada del trailer, ad esempio, possiamo leggere nientemeno che un passaggio del Padre Nostro, piuttosto significativo ed evocativo nelle mani di uno Strigo: «e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori.»
Sinceramente, potendo scegliere, io ci avrei inciso questa: «Acciaio per gli umani, argento per i mostri, oro per lo Strigo.»
Secondo Andrzej Sapkowski, invece, l’originaria spada d’argento di Geralt riportava quest’iscrizione:
Dubhenn haem am glandeal, morch am fhean aiesin.
Traduzione: Il mio splendore squarcia le ombre, la mia luce disperde l’oscurità.
Questa, e mi limito per evitare spoiler, è anche una delle possibili varianti dell’iscrizione che troviamo sulla spada di Ciri, nel finale del gioco.
Anche i nomi dei luoghi e delle città sono ispirati a quelli della tradizione slava, non soltanto quelli delle persone e, come vedremo qui di seguito, quelli delle creature delle leggende.
Un esempio fra tutti: Novigrad, un nome tipicamente slavo, la cui etimologia dovrebbe far riferimento a qualcosa come Nuovo Castello.
In alternativa il riferimento potrebbe essere a una combinazione di Nov e Grod, Nuova Città, un po’ come la città reale di Novgorod. Insomma, avete capito.
Com’è immaginabile, il gioco è pieno di mostri creature della mitologia slava o europea in generale.
Vediamo insieme qualche esempio, senza dilungarci troppo. O forse no.
Brewess, Weavess e Whispess: tre bellissime donne, apparentemente, che vivono nella foresta e nascondono un orribile segreto.
No, non cucinano crack in un camper, ma in realtà sono streghe che si nutrono di umani e dominano quel bosco come se fosse il loro feudo, predicono il futuro e comunicano con il loro avatar umano, Nonna, tramite un arazzo incantato.
Qui il riferimento mitologico è duplice.
Da una parte abbiamo l’ovvio cenno a Baba Jaga: un essere sovrannaturale del mito slavo, una strega che vive nel bosco in un capanno che si regge su zampe di gallina (un lampante abusivismo edilizio!), e che appare spesso come un trio di sorelle deformi.
Dall’altra abbiamo le Norne scandinave, le Moire greche e le Parche romane: tre vecchiette un po’ deformi che tessono l’arazzo del destino degli uomini e che, a volte, possono elargire previsioni sul nostro futuro.
Quando ho iniziato a scrivere questo articolo, non mi sarei aspettato di ritrovare una creatura del folklore abruzzese in The Witcher 3.
Eppure l’Alp, una donna mostruosa, nuda ma vestita di scaglie, è un mostro che ignora i confini statali, a quanto pare.
Mentre in The Witcher 3 è sostanzialmente una sorta di vampiro sfigato, nel folklore l’Alp è molto più subdola: si siede sul torace delle sue vittime mentre queste dormono, togliendo loro il respiro e paralizzandole finché queste non si svegliano di soprassalto, in preda al terrore ma spesso incapaci di urlare o di muoversi, per qualche istante.
Gli abruzzesi e i marchigiani avranno riconosciuto una qualche variante che popola il proprio folklore locale: la nostra è la Pandafeche, che sostanzialmente è una metafora per un attacco di apnea o paralisi notturna. I sardi hanno l’Ammuntadore, e sicuramente ogni regione avrà la propria versione.
È interessante notare che nel folklore germanico queste creature vengano chiamate Nachtmahr, cioè Incubi, e prediligano vittime femminili.
Gli Incubi, in effetti, sono creature presenti anche nella mitologia romana e nel mito cristiano. Nel Malleus Maleficarum, scritto nel XV secolo da due frati domenicani tedeschi come un manuale per reprimere paganesimo e stregoneria in Germania, gli Incubi sono descritti come demoni maschili che insidiano sessualmente le donne dormienti, e cioè, in sostanza, la controparte maschile delle Succubi. Il che ci porta a…
Forse le creature mitologiche più conosciute in assoluto, grazie anche alla loro vistosa presenza in molti videogiochi, tra cui lo stesso World of Warcraft.
Il nostro Geralt può decidere di risolvere i pochi incontri con queste creature in modo pacifico, senza sguainare la spada. E mi sto sforzando di evitare battute poco appropriate.
Mentre in The Witcher 3 hanno un aspetto spiccatamente caprino nella metà inferiore del corpo, più da fauni o satiri che altro, nella mitologia romana e nel folklore medievale sono la versione femminile degli Incubi: bellissime donne di natura demoniaca, dalle notevoli doti amatorie, che sottraggono agli uomini le energie sessuali e vitali, fino a lasciarli completamente svuotati.
No, non è la versione femminile di uno Strigo! Lo sapete, finora non ci sono mai state Witcher di sesso femminile: un po’ il contrario del Bene Gesserit di Dune, insomma.
La Striga è una donna trasformata in mostro da una maledizione, come nel caso della principessa Adda la Bianca, figlia di Re Foltest.
Nel folklore slavo invece troviamo la strzyga, dal nome simile all’italiano strega e il cui corrispettivo maschile rumeno è strigoi (suona familiare, eh?): individui particolari, nati con due anime, due cuori e una seconda fila di denti.
Due anime, come il Vědmák – Strigo – Witcher. Ma non è nemmeno tutto: nella mitologia romana la strix, strige, era una sorta di vampiro: un uccello notturno che non soltanto era di cattivo auspicio, ma si nutriva anche di sangue e carne umana.
Non so voi, ma per quanto mi riguarda la cosa non mi aiuta a non confondere i termini.
Per me si tratta della creatura più mostruosa, più triste e più orrorifica dell’intera saga. Una creatura tragica, in realtà: grotteschi feti zombie, che si nutrono di donne incinte e di altri feti. In The Witcher 3 vengono creati quando un feto abortito non viene seppellito o non gli viene dato un nome.
Nella mitologia slava queste creature sono spiriti urlanti, chiamati drekavac, assimilabili in sintesi alle banshee che molti videogiocatori e giocatori di ruolo già conoscono.
Nel mito scandinavo sono molto meno splatter della versione della CD Projekt Red: si tratta sostanzialmente dei fantasmi degli infanti morti prima di ricevere un nome, che spesso non sono stati nemmeno seppelliti. Invece di comportarsi come i Botchlings del gioco, la versione mitologica si limita a saltare sulla schiena dei viaggiatori solitari, e a pretendere di essere portati in un cimitero per essere sepolti degnamente. Ma c’è un problema: più ci si avvicina a un cimitero, più il fantasma diventa pesante, e se non lo si riesce a seppellire… si viene uccisi dallo stesso.
Una delle creature mitologiche meglio rese nell’intera saga di The Witcher, a mio avviso.
I territoriali e mostruosi Leshen, guardiani di antiche e isolate foreste, che incitano tutta la natura a massacrare l’intruso o il malcapitato: rami, radici, corvi, lupi e pure i Puffi vi salteranno alla gola, se incorrerete nell’ira di un Leshen.
L’aspetto di queste creature è pesantemente influenzato da quello dei Wendigo canadesi e statunitensi: nella mitologia slava, in realtà, i leshy hanno l’aspetto di un boscaiolo; nel loro territorio sono alti quanto un albero, ma quando ne escono rimpiccioliscono fino alle dimensioni di un filo d’erba. Per le popolazioni slave i leshy sono guardiani della natura, e sono meno violenti di quelli di The Witcher 3: si limitano a far perdere i viaggiatori e a rapire i bambini.
Nell’espansione Blood and Wine, inoltre, possiamo fare la conoscenza di una variante dei Leshen: gli Spriggan, che riportano alla memoria gli omonimi della saga di The Elder Scrolls.
Una figura presente nel folklore e nel mito di gran parte dell’Europa, a causa di una tragedia che ha colpito tutto il nostro continente: la Peste Nera del XIV secolo.
Nel mito scandinavo, ad esempio, la figura della Pesta si aggira tra le fattorie, ed è un presagio di pestilenza. Ma non tutto è perduto: se la Pesta ha con sé un rastrello, i morti per la peste saranno pochi; se invece la creatura ha in mano una scopa, beh… «siete spacciati, portateli al lazzaretto!», parafrasando il brano Arrivano gli untori de Gli Atroci.
E in The Witcher 3? Troviamo una Fanciulla della Malattia nella tragica quest che ha luogo nella torre di Fyke Island: uno spettro femminile, ricoperto di croste e pustole, che precede un’orda di ratti infetti, e soffia nubi cariche di insetti non proprio salubri. Una rappresentazione piuttosto accurata, direi.
Molto simile, almeno nell’aspetto, alle pestifere sorelle che abbiamo appena visto, la Noonwraith è una creatura tipica della mitologia slava, che in sintesi è la personificazione dei colpi di calore subiti dai braccianti durante il duro lavoro nei campi nei caldi mesi estivi. Il nome polacco di questa creatura, Poludnica, si può tradurre come “Signora di Mezzogiorno“, e infatti in The Witcher 3 la Noonwraith compare soltanto in pieno giorno, con il suo aspetto spaventoso e un falcetto da contadino in mano.
Gli appassionati di musica classica avranno senz’altro riconosciuto l’ispirazione dietro La strega di mezzogiorno, poema sinfonico di Antonín Dvořák.
Dulcis in fundo, almeno per quanto riguarda le creature mitologiche in The Witcher 3.
La Caccia Selvaggia, o Wild Hunt, ci ha accompagnato in tutta la saga di The Witcher, fin dal primo capitolo: un’ora di cavalieri spettrali che sfreccia nei cieli notturni; guerrieri dell’oltretomba, pesantemente armati, forieri di sventura, gelo, guerra e morte. Almeno, così ci appaiono, finché non arriviamo a scoprire la verità su di loro.
Nel mito sono così? Fondamentalmente sì, e sono presenti nella mitologia europea (ma quant’è bello scrivere “mitologia europea“?) e nel folklore di gran parte dei Paesi del continente, con variazioni talmente piccole da suggerire un’unica fonte comune a tutte le tradizioni popolari.
La Caccia Selvaggia del mito consiste in un gruppo di cacciatori fantasma, per l’appunto, accompagnati da segugi spettrali; come in tutte le battute di caccia, naturalmente, l’armamento non è quello da guerra che vediamo nel gioco: questi fantasmi sono equipaggiati in modo più leggero, anche per poter cavalcare più rapidamente, e rapiscono chiunque li incontri per poi portare i malcapitati nel Mondo dei Morti.
Molte delle leggende in merito alla Caccia Selvaggia sono state codificate, nell’Ottocento, nientemeno che da Jacob Grimm: uno dei due Fratelli Grimm, famosi per le loro Fiabe del Focolare, che nel corso dei decenni si sono addolcite e alleggerite, fino a diventare in alcuni casi dei film della Disney.
La figura del Re della Caccia, inoltre, nel mito germanico è individuata nella persona di Wodan, che assume una veste più oscura rispetto al proprio corrispettivo norreno, Odino.
Quando si parla di questi argomenti, è importante sottolineare una differenza fondamentale tra la mitologia slava e quelle più vicine a noi: da una parte i miti europei e di buona parte del resto del mondo si basano sul contrasto tra ideologie, fazioni e civiltà diverse, ma soprattutto sul conflitto tra Bene e Male, sia in veste manichea (o bianco o nero) sia invece con mille sfumature di grigio, dall’altra invece i miti slavi e dell’Europa Orientale sono più intimi, e si concentrano maggiormente sui tratti e sulle sfaccettature dell’umanità del singolo individuo.
I conflitti tra ideologie contrastanti, definizione in cui rientra anche l’eterna lotta tra il Bene e il Male, nel mito slavo portano inevitabilmente alla distruzione generalizzata, e tendenzialmente sono relegate in un secondo piano, come dicevamo poc’anzi.
Un grande rilievo, invece, viene dato ai valori personali: ad esempio l’integrità e i conflitti interiori che essa ci porta, la gentilezza e le inaspettate ramificazioni di essa, e la compassione che, a volte, può portarci sorprendenti benefici o, come nel caso di Geralt, un forcone nello stomaco.
Provate, tanto per fare un esempio, a leggere i romanzi di Sergej Luk’janenko, che consiglio vivamente, o a guardare i film basati sulle sue opere: vi accorgerete immediatamente dell’intrinseca differenza con l’epica occidentale.
Troverete che I Guardiani della Notte, I Guardiani del Giorno, I Guardiani del Crepuscolo, Gli Ultimi Guardiani e gli altri titoli di quella che ora è diventata un’esalogia, sono profondamente diversi dai romanzi fantasy dell’Europa Occidentale: nella saga dei Guardiani le trame principali, quelle che cambiano il mondo, sono sostanzialmente sullo sfondo, mentre in primo piano abbiamo i conflitti interiori, i rapporti interpersonali e le contraddizioni personali dei protagonisti delle storie.
E se fate lo slav squat con i talloni sollevati, ho brutte notizie: siete spie occidentali.
Di recente abbiamo parlato della serie TV Netflix su The Witcher, da guardare mentre si sgranocchiano degli slavissimi semechki (semi di girasole), in cui Henry Cavill interpreterà Geralt di Rivia. Poco fa abbiamo anche ricordato i film ispirati all’esalogia di Luk’janenko, che torno a consigliarvi caldamente di guardare e di leggere, rispettivamente, e non necessariamente in quest’ordine.
Mi sento di suggerirvi, per l’ennesima volta, di guardare la serie TV American Gods, in cui troverete alcune delle pietre runiche divinità slave a cui abbiamo accennato in questo articolo.
Come sempre, a questo punto, non resta che darvi appuntamento alla settimana prossima, con una nuova puntata della Tana dell’Orso.
This post was published on 14 Novembre 2018 18:13
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