Sono molto affezionato alla serie Crash Bandicoot, ma mi sono ritrovato a notare di essere maggiormente legato a un capitolo completamente differente da quelli canonici, la trilogia su PS1, insomma. Il capitolo che ricordo più volentieri e a cui giocai con maggior piacere è Crash Bash, il primo a non essere sviluppato da Naughty Dog, ma da Eurocom. Non un classico platform, ma un party game… proprio io poi che non sono certo avvezzo ai party o al gioco multiplayer (quando il multiplayer era giocare con persone nella stessa stanza).
Crash Bash fu uno dei titoli che mi fece innamorare definitivamente del mondo dei videogiochi. Uscito il primo dicembre 2000 in Europa, ancora oggi dà almeno due piste alla maggior parte di party game in circolazione, genere che si è evoluto grazie alle funzionalità online.
Se vi siete persi gli articoli precedenti dedicati al retrogaming potrete ritrovarli comodamente tutti a questo link. Troverete Final Fantasy, Resident Evil, Silent Hill e molte altre chicche raccolte solo per voi!
Altro che l’Armageddon, la sfida tra bene e male descritta nel Nuovo Testamento (Apocalisse 16,16… che vi ho tirato fuori) in cui l’Onnipotente e Satana se le dovrebbero dare di santa ragione. La vera battaglia tra le forze del bene e quelle del male l’abbiamo vista su console, anzi, l’abbiamo giocata in prima persona! La storia di Crash Bash (o meglio, il pretesto “narrativo”) ha inizio proprio con Aku Aku e Uka Uka che decidono di imbastire un torneo per decretare definitivamente il vincitore. Vengono formate due squadre composte da quattro giocatori ciascuna: in quella dei buoni ci sono Crash, Coco, Tiny Tiger e Dingodile (quest’ultimi prestati da Uka Uka per non lasciare i buoni in inferiorità numerica. Almeno questo sforzo l’ha fatto), quella dei cattivi è composta da Neo Cortex, Nitrus Brio, Koala Kong e Rilla Roo.
Come si decideva la squadra vincente? Con una serie di minigiochi che potevano essere affrontati da soli, scegliendo un personaggio buono o cattivo, in coppia contro i due o i tre rimanenti controllati dall’IA o con un tutti contro tutti, tipo battle royale (beccati questa, Fortnite!).
All’epoca, mi sembrò davvero eccezionale la possibilità di giocare non nei panni di Crash, ma di un qualsiasi altro personaggio della serie. E chi scelsi io la prima volta che giocai? Crash… ammazza che originalità. Sono sempre stato leggermente ossessivo compulsivo, pure da piccolo, e così non riuscii ad abbandonare le vecchie abitudini. Era un videogioco della serie Crash Bandicoot, quindi, si doveva giocare con Crash, punto.
Il gameplay di Crash Bash era quello classico di un party game, con una serie di minigames da affrontare contro l’IA o altri giocatori reali. Alcuni di questi sono passati alla storia, come il flipperone (il minigioco Ballistix) che a confronto il flipper di Windows era roba da ospizio. Erano presenti cinque stanze di balzo, in ciascuna delle quali l’obiettivo era diventare il campione di ogni minigioco proposto per sbloccare il boss corrispondente (lode a Papu Papu) e, una volta battuto, passare alla stanza successiva.
I minigiochi si ripetevano in tutte le stanze, ma con regole e scenari differenti, in modo da creare una diversificazione tale da non offrire una sensazione di déjà-vu: obiettivo centrato in pieno, perché il divertimento non scemava mai e le ore passavano senza accorgersene. C’erano sette tipologie di minigames che adesso vado ad analizzare.
Non può esistere Crash senza rottura di casse. Il Crate Crush era proprio questo: una battaglia ignorantissima in cui il nostro obiettivo era esaurire la barra della salute degli avversari a colpi di casse. Allo stesso tempo andavano evitate quelle lanciate dagli altri, in una sorta di match a palla avvelenata. Sul campo erano disponibili anche le casse rosse TNT che ci mettevano il pepe… non vi dico dove, perché tenere una specie di granata in mano fino all’esplosione non è piacevole. Non mancavano ovviamente le casse verdi della nitro, da evitare senza se e senza ma. Negli scenari polari, Crate Crush diventava un inferno di ghiaccio a causa dello slittamento e di quel… maledetto… infame… abietto… e puccioso pinguino che roteava e roteava beccando sempre e solo noi. Un complotto vero e proprio.
Il Polar Push era il minigioco che più di tutti poteva far finire amicizie decennali. Un rodeo in sella a orsetti polari che a testate buttavano giù dall’arena gli avversari. E se il tuo amico si spostava all’ultimo istante facendoti cadere, partiva la vendetta trasversale nella vita reale. Vi rivelo un piccolo segreto di cui un po’ mi vergogno: da piccolo pensavo che quelli non fossero orsetti polari, ma caprette. Non so di che droga mi facessi, penso nessuna, o forse mi drogavano a mia insaputa. Poi feci 1+1 e mi resi conto che stessi vivendo in una meschina menzogna.
Il Pongo Pandemonium era uno spettacolo. L’obiettivo di questo minigioco era colorare le caselle di una scacchiera saltandoci sopra. Era possibile rubare quelle già colorate dagli avversari e, alla fine del tempo a disposizione, il vincitore era colui che aveva assegnato il proprio colore a più caselle. Questa era la sfida che trovavo più difficile da completare, con Koala Kong che mi fregava sempre.
Il Ballistix, come già accennato, era un flipper. I personaggi, a bordo di navicelle, spingevano le biglie con l’obiettivo di fare più goal nella porta degli avversari. Nelle situazioni più caotiche, potevano anche esserci decine di palle sul capo da gioco. Era necessario avere i sensi di ragno ed entrare nel mood di un portiere del subbuteo per riuscire ad azzerare il contatore degli altri contendenti.
Crash Dash ci riportava invece ai tempi in cui giocavamo con le piste da corsa e le macchinine della Playmobil. Molto spesso, non erano altro che ovali o cerchi in cui le nostre macchinine giravano a vuoto, cosicché vincere contro nostro fratello non era questione di abilità, ma di pura casualità. Ma noi eravamo bimbi, che ce frega.
C’erano poi Tank Wars, il minigioco che mi piaceva meno, e Medieval Mayhem, quello più ricco di soluzioni al suo interno. In un’ambientazione medievale, l’obiettivo non era fisso come negli altri casi, ma variava. In alcuni casi, si dovevano bucare dei palloncini stando su un ingranaggio rotante, in altri colpire un bersaglio mobile con le gemme.
Crash Bash l’ho riscoperto anche recentemente. Un paio di anni fa ho ricollegato la PS1 alla mia tv per mostrare questo titolo meraviglioso a mio nipote e fargli capire il valore dei videogiochi. Per tutto il tempo ci ho giocato io. Avevo 28 anni circa, quindi, mia madre non mi guardò benissimo mentre ridevo come uno scemo durante una sessione di Pongo Pandemonium.
Crash Bash però è un gioco senza indicazioni di età che ha saputo, e sa fare tuttora, definire e rinsaldare i canoni del gioco multiplayer in locale. Bambini contro bambini, adulti contro bambini, adulti contro adulti, non è importante. Non vergognatevi della vostra vita sregolata, anzi, se convincete un’amica a giocare con voi, forse riuscirete anche a pomiciare. No, questo forse è uno scenario fantascientifico, ma sognare non costa nulla.
Io continuerò a giocare a Crash Bash sfidando tutti gli sguardi truci. Perdoname, madre, por mi vida loca.
This post was published on 2 Novembre 2018 12:00
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