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Speciali

[La tana dell’Orso] TES III: Morrowind e H. P. Lovecraft

Dopo la pausa per la notte più orrorifica dell’anno, siamo alfin giunti all’appuntamento numero nove con la rubrica della Tana dell’Orso; nove come le dita dei piedi di Nine-Toes, che qualcuno ricorderà dai lontani giorni di Morrowind: oggi, per l’appunto, parleremo proprio della saga di The Elder Scrolls, e analizzeremo i tentacoli parzialmente nascosti che legano Morrowind e Lovecraft.

Nove, Nine-Toes di Morrowind, Morrowind, Lovecraft. Questo è il tipo di tenue legame logico che tiene in piedi la baracca; i salti (logici) nel buio sono un po’ la colazione dei campioni, qui nella Tana: il rifugio tranquillo, caldo (ma non troppo!) e privo di giocatori molesti dai nomi improbabili, che saltellano in giro, si piazzano sopra gli NPC con cui devi interagire, e magari spammano richieste di duello proprio mentre sei a un punto di svolta della trama.

Sì, non fatelo. Vi brucio le cuffie.

Morrowind e Lovecraft: un amore annunciato

Un arcipelago di isole remote: una terra circondata dalle acque, in cui non mancano acquitrini salmastri, vulcani, funghi giganti, antiche popolazioni svanite nel nulla o degenerate nell’ombra di sé stesse. La lista degli elementi lovecraftiani che caratterizzano l’atmosfera di TES 3: Morrowind potrebbe andare avanti per ore, ma per questa volta ci limiteremo a esaminare soltanto i tratti salienti presenti nel terzo capitolo della saga.

Va detto che alcune delle pennellate che compongono lo sfondo concettuale non soltanto di Morrowind, ma dell’intera saga di The Elder Scrolls, sembrano strappate di peso al Ciclo dei Sogni di Lovecraft, forse appena meno famoso del celeberrimo Ciclo di Cthulhu. Naturalmente mi riferisco soltanto alle sensazioni scaturite dal gioco e dalla sua atmosfera: l’essenza letteraria del Solitario di Providence non è l’aspetto più semplice da catturare in un videogame del 2002, insomma.

Dagoth Ur, un dio morto ma sognante

Bene, bene, bene: cos’abbiamo qui? Una figura semi-divina che, toccata dal potere e dal cuore di un dio morto, torna alla vita -più che altro alla non-morte– e inizia a espandere il proprio dominio tramite aliti pestilenziali portati sulle ali del vento, scaturiti dalle fauci di un antico vulcano. Questa pestilenza, inoltre, provoca nelle sue vittime l’insorgere della follia e di comportamenti aggressivi, oltre alla nascita di escrescenze cancerose, ma stabilisce anche un contatto onirico con Dagoth Ur.

Ok, ma chi è Dagoth Ur? Nasce come Voryn Dagoth, ed è un membro dell’antica stirpe dei Chimer, condannata a degenerare negli odierni Dunmer per aver osato sfidare la divinità sbagliata. E infatti Voryn Dagoth è coinvolto proprio nella vicenda che strapperà la pelle dorata a quelli che, da quel momento in poi, verranno chiamati Elfi Oscuri.

Per farla breve, a un certo punto Voryn Dagoth viene ucciso, o così sembrerebbe: il breve contatto con le spoglie di una defunta divinità, in realtà, lo ha reso più o meno immortale ed estremamente potente. In sostanza è un dio morto che attende sognando, e proprio nei sogni trova i propri cultisti folli, deformi e dalle spiccate tendenze omicide, che serviranno per i suoi nefandi piani di vendetta divina.

Vi ricorda qualcuno?

Per non parlare del nome, poi! Dagoth, il nome della sua Casata, è un chiaro rimando al Dagon che, se da una parte è il dio mesopotamico e semitico della fertilità e del raccolto, che ha sembianze decisamente ittiche e che verrà assorbito nel pantheon greco come Tritone, figlio di Poseidone, dall’altra è anche il titanico, antico e mostruoso essere che compare nell’omonimo racconto, Dagon, che H.P. Lovecraft scrive nel 1917.

I cultisti della Sesta Casa

Aaah, quanto ci piace la roba inquietante. Creepy.

Una delle stirpi nobiliari di Morrowind, che poi è anche la principale fazione antagonista del gioco [Spoiler! Di un gioco del 2002! Denunzia-querelah!], è proprio la Casata Dagoth. Man mano che proseguiamo nel gioco, addentrandoci nelle quest che riguardano direttamente la casata ed esplorando i possedimenti dei Dagoth, scopriamo che questa famiglia non è dedita soltanto al contrabbando e alla schiavitù.

L’accogliente Sancta Sanctorum della Sesta Casa

È dentro la caverna di Ilunibi, la prima base Dagoth visitata nel gioco, che facciamo conoscenza con il primo strato di segreti della casata: tra suggestive candele rosse, strane figure smarrite in un sogno senza fine, troviamo anche gli Schiavi delle Ceneri. Gli Ash Slave sono privi di occhi. Niente di realmente strano, direte voi.

Questi simpatici personaggi, però, sussurrano anche frasi che tradurrei come «Le sedie. I tavoli. Tutti confusi. Udiamo le parole, e dobbiamo pronunciarle. Le prendiamo e le sistemiamo, ma non si acquietano ancora. […] Tutto è sbagliato. Ogni cosa non è in ordine. Questo è troppo in alto. Questo è tra i piedi. Dobbiamo disporle bene.»

Secondo la maggior parte delle teorie che circolano in merito, tra cui questa, le parole udite dagli Ash Slave non sono quelle del mobilio della Casata, ma provengono dal folle, morto e sognante dio che si fa chiamare Dagoth Ur. Ad ogni modo non sono parole tipiche di qualcuno del tutto sano di mente, no? E questo è niente.

Un Ash Slave a sinistra, un Ash Zombie a destra

Addentrandosi ancora nelle viscere di Ilunibi, incontriamo quelli che, in retrospettiva, potrebbero essere gli ulteriori stadi di evoluzione / involuzione dei cultisti: gli Zombie di Cenere, che hanno una voragine al posto degli occhi e del naso. Il loro cranio sembra vuoto, esploso dall’interno, ma questo non impedisce agli Ash Zombie di pronunciare parole ancora più interessanti: «Dove sei, Signore? Non possiamo sentirti… Parlaci! Per favore!» e ancora «Cosa sei tu? Dov’è questo posto? Sono così stanco, lasciami dormire!»

Andando oltre possiamo finalmente incontrare gli Ash Ghoul, cioè i Ghoul delle Ceneri: al posto della cavità dei cugini zombie, i ghoul hanno una proboscide. Le frasi che ripetono includono:

  • «Egli non verrà da voi, Lord Nerevar. Siete voi che dovete chiedere il suo perdono. Andate da lui, sotto la Montagna Rossa, inginocchiatevi al suo cospetto, ed egli avrà pietà di voi.»
  • «L’anima di Dagoth Gares è tra noi. Tu hai spezzato il suo corpo, ma il suo spirito è con noi nei nostri sogni lucidi.»
  • «Hai scelto di combattere Dagoth Ur. Piangiamo la tua perdita, ma non ti risparmieremo. Hai rifiutato la dolcezza dell’amicizia di Lord Dagoth: ora conoscerai l’asprezza della sua furia!»
Un Ash Ghoul a sinistra, un Ash Vampire a destra

Qui incontriamo anche il santuario della Casata Dagoth, con un altare molto, molto particolare: dalla statua avvolta da uno strano fumo alle campane dissonanti, dall’opprimente luce rossa ai monoliti disposti tutto attorno, fino ai suoni alieni che si odono appena nei dintorni dell’altare.

E come dimenticare le altre creature che troviamo sul nostro cammino, come i Vampiri delle Ceneri e i Dormienti Ascesi? Vediamo questi ultimi più in dettaglio: meritano, credetemi.

I Dormienti Ascesi, o Ascended Sleepers

Tutti i cultisti della Sesta Casa sono inquietanti, ma gli Ascended Sleepers toccano vette mai sfiorate prima da mente umana.
Se gli Zombie hanno una voragine al posto del viso, e nei Ghoul una proboscide spunta da questa voragine sanguinolenta, i Dormienti Ascesi sono dei veri e propri abomini.

Come appaiono i Dormienti Ascesi? Un cranio enorme e disumano, tentacoli al posto della faccia, smunta pelle bluastra, lunghe vesti porpora.

Ascended Sleeper. Immagine di Chilkat

E ci regalano conversazioni che minano il nostro essere e la nostra visione antropocentrica del mondo, in un modo squisitamente lovecraftiano:

  • «Cosa stai facendo? Non ne hai idea. Povera bestia. Lotti e combatti, e non capisci nulla.»
  • «Un insetto. Erbaccia. Un frammento di polvere. Indaffarato, indaffarato, indaffarato.»
  • «Pensi che le tue azioni abbiano un significato? Pensi che se mi uccidi, io muoia? Soltanto sogno e veglia, ancora e ancora, un’apparizione dopo l’altra, nulla di reale. Quello che fai qui non ha significato. Ma perché sprechiamo il fiato con te?»

Tutto è un sogno. Nulla ha senso. Nulla resta morto. “Nella sua dimora a R’lyeh nella Cittadella il morto Cthulhu Dagoth Ur attende sognando“.

A me ricordano parecchio anche i Seeker che vediamo nel DLC Dragonborn di The Elder Scrolls V: Skyrim; per la precisione li incontriamo nell’altrettanto lovecraftiano, almeno nell’aspetto, piano di Apocrypha, casa del tentacolare Hermaeus Mora. Analizzeremo meglio questo pezzetto di Oblivion in una delle prossime uscite della rubrica della Tana dell’Orso. Promesso!

La Costa Amara: redneck e cultisti

Un classico della letteratura del Solitario di Providence: villaggi di superstiziosi pescatori, paludi, contrabbandieri, popolazioni retrograde e regredite, cultisti e un’atmosfera cupa, salmastra, con un leggero sentore di putrefazione. Mi riferisco alla ridente cittadina di Innsmouth, che abbiamo conosciuto in The shadow over Innsmouth (tradotta in italiano come La maschera di Innsmouth)?

No, sto parlando della Costa Amara dell’isola di Vvardenfell, nel punto più vicino alla parte continentale di Morrowind: The Bitter Coast.
Paludi salmastre, putridi acquitrini, pioggia penetrante, nebbie opprimenti, oscure caverne, strani funghi e bestie marine dotate di freddi tentacoli. E i cultisti più o meno nascosti.

Rovine daedriche… non euclidee

Nel corso del gioco incontriamo alcune rovine daedriche che hanno un non so che di non euclideo.
Per chi non conoscesse l’ambientazione, ricordiamo che i Daedra sono una sorta di spiriti divini  del Caos, in sostanza; alcuni, impropriamente, li considerano demoni.

Le linee contorte di queste rovine, ma anche le guglie, le superfici viscide e nere o verdastre, gli interni labirintici e apparentemente senza senso, nonché i limacciosi sotterranei, possono ricordare a qualcuno «la città-cadavere, da incubo, chiamata R’lyeh.»

L’orrore onirico che rende folli

In sintesi tutto questo terzo capitolo della saga di TES è permeato dal tema della follia instillata dall’incapacità di comprendere le forze esterne che, indifferenti alle sorti dei mortali, influenzano la realtà di tutto l’universo. I sogni, inoltre, giocano un ruolo fondamentale in Morrowind: mettono in comunicazione i cultisti –e le vittime della pestilenza– con Dagoth Ur, e permettono a quest’ultimo di influenzare e di controllare le proprie pedine che una volta erano umane.

A proposito di pazzia, di orrori e di cose che non dovrebbero esistere: in Tel Vos, fungoso castello della Casata Telvanni, troviamo alcune pagine del diario di Beram, il capomastro che si occupa dei lavori di scavo che hanno avuto luogo sotto il castello stesso, e che risultano essere stati misteriosamente -quanto improvvisamente- interrotti. In quelle righe si parte da una situazione apparentemente normale e perfettamente logica, ma poi si incontrano alcune strane radici che crescono anche attraverso le pareti, nonché degli strani brontolii sotterranei, e una roccia che, stranamente, cede soltanto in una direzione. [Ripeto “strani” non per carenze lessicali, ma perché Lovecraft la adoperava di frequente, con un preciso significato.]

A questa discesa nel sottosuolo si accompagna anche una discesa nella pazzia e nell’orrore, che si conclude con una fuga non più possibile, cadaveri smembrati e spalmati sulle pareti, urla che nessuno può udire, e le ultime parole che possiamo leggere nel Diario di Beram sono «Lui è qui!»

In conclusione: giocate Morrowind

The Elder Scrolls 3: Morrowind è un gioco che va esplorato, toccato, gustato pienamente.
Le sfumature, i riferimenti e le sfaccettature sono tante, e spero che quello che ho scritto vi aiuti a coglierne di nuove, se conoscete già il gioco, o che vi invogli a provarlo, se non l’avete già fatto.

Un’ultima cosa, e la scrivo qui, tanto ormai avrete già letto tutto il pezzo -o si spera che lo abbiate fatto-, e quindi non potete tornare indietro: il numero nove che ho scritto in cima a questo articolo, per quanto mi riguarda, si riferisce anche ai Nove Divini. Nove, incluso Talos. E che vadano pure all’inferno i Thalmor, il White-Gold Concordat e tutto l’Aldmeri Dominion!
Ma avremo modo di cantare insieme l’Era dell’Oppressione in una delle prossime uscite di questa rubrica, cari figli di Skyrim e gentaglia che intona l’Era dell’Aggressione.

Come sempre, l’appuntamento con la Tana dell’Orso è per Mercoledì prossimo.

This post was published on 7 Novembre 2018 15:52

Pierluigi Michetti

Pierluigi è un abruzzese di 33 anni, cittadino d'Europa e appassionato non soltanto di tutto ciò che sia vagamente fantasy, ma anche di mitologia, rievocazione storica e rasatura tradizionale. Cresciuto a pane, olio d'oliva, videogame di ruolo, letteratura fantasy, lezioni di pianoforte ed heavy metal, studia Scienze Politiche, prima, Pubblicità e Marketing, poi, e a metà della storia si ritrova a fare il copywriter e il redattore. Dopo aver adorato D&D 3.5, Sine Requie, Il Richiamo di Cthulhu e altri titoli meno celebri, si ritrova quasi per caso a sfogliare il PHB e la DMG di D&D 5E, e lì viene risucchiato in un vortice dimensionale senza via di scampo. Dopo aver giocato il Guerriero / Chierico per una dozzina d'anni, attualmente si diverte con un Barbaro in una campagna, fa il DM in una seconda, e gioca (male) un Warlock Legale-Malvagio in una terza, sempre con lo stesso gruppo. In tenera età, armato di un Amiga Commodore 64 e un SEGA Master System II Plus, inizia a esplorare il multiverso videoludico; la vera passione, però, sboccia soltanto con l'arrivo di un Pentium 1 133 MHz. I titoli amati, in ordine sparso: da Age of Empires a Earthsiege 2, da Earth 2140 a Carmageddon, e poi SimCity, SimCopter, i simulatori di volo, Populous, Black & White, Monkey Island, Wolfenstein, BloodRayne, Planescape: Torment, i Baldur's Gate (inclusi i Dark Alliance), Dark Forces, senza dimenticare Ultima Online, World of Warcraft, i due Knights of the Old Republic (giocati più volte di quel che il pudore mi consente di ammettere), Star Wars the Old Republic, i vari Max Payne, i Vampire the Masquerade: Redemption e Bloodlines, Kingdom Come: Deliverance e naturalmente la saga di The Witcher, quella di Dragon Age, i vari The Elder Scrolls (incluso l'Online) e soprattutto quella di Mass Effect, di cui è perdutamente innamorato. Dopo una primissima adolescenza trascorsa in compagnia dei romanzi di Tom Clancy e Bukowski, spicca il volo con gli autori canonici, tra cui Tolkien, G. R. R. Martin, J. K. Rowling, Weis - Hickman, Terry Pratchett, Stephen King, Gemmell, Howard e -in parte- Terry Brooks; attualmente adora la prosa di H. P. Lovecraft ma non tanto la sua poesia, divora Luk'janenko, Sapkowski, Karpyshyn, Zahn e tutto l'Universo Espanso di Star Wars.

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