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Speciali

Metal Gear Solid: The Twin Snakes, una ripartenza kitsch.

Partiamo dal background storico: con l’arrivo della generazione console a 128-bit Nintendo sceglie di far dedicare delle software house unicamente allo sviluppo di videogiochi su Nintendo Gamecube.

Una delle software house che verranno scelte da Konami è Silicon Knights, uno studio canadese famoso nel settore per aver lavorato sul primo capitolo della saga di Legacy Of Kain, il videogioco action isometrico conosciuto come Blood Omen: Legacy Of Kain.

Oggi però non siamo qui per parlare della splendida saga che riguarda i vampiri Raziel e Kain (ci sono dei venerdì oldies tutti belli per loro, come questo su Legacy Of Kain: Defiance o questo, questo, questo). Oggi parliamo dell’ultimo lavoro di Silicon Knights su Nintendo Gamecube, quello forse più commercialmente importante per loro: Metal Gear Solid: The Twin Snakes.

Metal Gear Solid: The M Twin Snakes ci riporta in una Shadow Moses più bella che mai.

Shigeru Miyamoto inizia a corteggiare Kojima nel 2003, dopo essersi accorto del successo folgorante che i suoi titoli avevano generato sulla console Sony; nel farlo gli offre l’idea di eseguire un remake del primo capitolo della saga di Metal Gear Solid come gli pare e piace; avrà tutta la forza lavoro che vuole ed avrà anche la possibilità di chiamare eventuali collaborati esterni a suo piacimento.

Kojima, da sempre appassionatissimo di cinema, decide di chiamare a raccolta Ryuhei Kitamura per fargli dirigere sotto una nuova luce molte delle cutscenes di gioco con uno stile tutto nuovo.

Il risultato di questo folle progetto di una Nintendo molto interessata alla sperimentazione è Metal Gear Solid: The Twin Snakes, il primo (e al momento unico) esempio di remaster sul primo capitolo della Metal Gear Solid Saga. I ragazzi di Silicon Knights, forti dell’esperienza acquisita sviluppando lo splendido Eternal Darkness: Requem Of Sanity si impegnano per ricostruire poligono per poligono l’affascinante isola di Shadow Moses nelle sue atmosfere gelide e nei suoi interni militareschi.

La ricostruzione grafica è l’aspetto più importante è più lampante di tutto il progetto di Nintendo, che a dispetto del suo percorso attuale, all’epoca era più attiva nel creare giochi più adulti per tematiche e presentazione. Il sangue è presente, anche più che nel gioco originale ed alcune scene (come il cadavere del presunto direttore della Darpa o il delirio di sangue di Gray Fox prima di raggiungere Otacon) guadagno notevole potenza visiva dalla conta poligonale.

L’upgrade grafico dona finalmente volti ed espressione ai personaggi prima ancorati ai modelli Playstation 1, con una qualità davvero interessante per l’epoca; certi dettagli come i capelli di Revolver Ocelot o l’effettiva somiglianza tra Solid Snake e Liquid Snake dimostra come riescono ad aggiungere sapore ad un titolo che di base vola su livelli altissimi.

Aggiornare la perfezione è possibile?

I livelli sono altissimi perché il gameplay, pur avendo perso quell’equilibrio tra lo stealth, l’action ed il puzzle game che caratterizzava il primo capitolo della saga, guadagna alcune mosse extra aggiunte a Metal Gear Solid 2: Sons Of Liberty e prontamente traslate sul Gamecube: arrivano i corrimano dove appendersi, arrivano i salti in rotolata, arrivano gli armadietti dove nascondere i cadaveri. Tutto superfluo ma tutto altrettanto interessante, specie per i giocatori interessati a sperimentare con queste nuove funzioni.

Come se non bastasse Kojima decide di far ripercorrere ai giocatori i propri passi in modo intelligente: il backtracking smisurato che esisteva nell’originale Metal Gear Solid (dove molti hanno imprecato moltissimo un calendario per riprendere un Lanciarazzi Nikita o un fucile di precisione PSG) viene limato in modo prepotente da Kojima che sceglie di rendere più facili le cose al giocatore; con l’esplorazione è possibile trovare gli oggetti necessari senza farsi le traversate oceaniche che caratterizzavano il titolo originale.

Questi accorgimenti non stravolgono di molto la formula e anzi, danno dei veri e proprio miglioramenti in ambito di mero gameplay: ci sono più scelte da fare, ci sono scorciatoie che rendono il gioco meno frustrante, ci sono idee interessanti che aggiornano il gameplay e lo attualizzano in relazione all’anno in cui è uscito.

Ma allora dove si trova il problema? Perché internet non ha incensato questo titolo come il capitolo da cui proviene?

Il motivo è molto semplice: le cutscenes.

La sceneggiatura del titolo segue praticamente il canovaccio del titolo originale senza alterare niente; la nuova traduzione realizzata per l’occasione modifica qualche frase senza minare realmente il funzionamento di una delle storie più interessanti mai realizzate per il medium videoludico, con il suo pastone di fantapolitica di cultura nipponica.

Il doppiaggio, con tanto di David Hayter che finisce per dimezzarsi lo stipendio al fine di portare a compimento il progetto, risolve i problemi di eco che caratterizzavano la versione originale del titolo.

Nonostante il doppiatore di Solid Snake riesca a convincere tutto il cast originale del titolo nel perseguire il progetto, alla fine della fiera, finirà per scontentare alcuni degli appassionati più integerrimi a causa di piccoli cambiamenti: nel ridoppiare si sono perse alcune finezze (come gli accenti di Naomi Hunter e Mei Ling) e ciò è stato addirittura reso canonico da Kojima con dei flashback presenti in Metal Gear Solid 4: Guns Of The Patriots.

Quando cinema e videogiochi si incontrano e le cose non vanno esattamente come dovrebbero: il caso Twin Snakes.

Il vero problema del titolo è legato alla scelta Kojimiana di far dirigere le cutscenes del gioco al regista Ryuhei Kitamura. 

Lo stile action sopra le righe di Kitamura finirà per riempire il titolo di momenti che, nel 2018, risulteranno come cringe: Snake che salta su dei missili lanciati dall’Hind D, Snake che evita un fiume di proiettili con movimenti usciti da una scena taglia di Matrix, Snake che incarna la fisicità degli eroi action che tanto andavano di moda negli anni duemila cozzando profondamente con un personaggio ancora molto ancora al lato umano della vicenda.

Nonostante l’utilizzo di un regista giapponese Metal Gear Solid: The Twin Snakes finisce per assomigliare un pelino di più ad un film di Micheal Bay che al John Carpenter del titolo originale.

Il cattivo gusto permea alcune delle cutscenes, anche quando il titolo cerca di abbattere la quarta parete in modo eclatante come durante la scena della tortura; l’inespressività dei primi modelli poligonali finisce per essere surclassata da qualcosa di graficamente esaltante ma utilizzato non nel modo migliore. Un diamante scheggiato da una scelta invecchiata male.


Metal Gear Solid: The Twin Snakes è uscito nel 2004 su Gamecube e non è stato più riproposto. L’unico modo per giocare una versione graficamente aggiornata delle avventure di Solid Snake nelle gelide terre dell’Alaska rimane confinato ad una console molto apprezzata senza epigoni sui dispositivi attuali.

This post was published on 26 Ottobre 2018 12:00

Graziano Salini

Perennemente alla ricerca di legami tra argomenti distanti tra loro, con una certa predilezione per musica e videogiochi. Faccio il possibile per fare in modo che ci siano meno errori di concetto possibili sugli articoli di Player.it, grande fan degli errori grammaticali invece, quelli fanno sempre ridere. Quando non sto amministrando questo sito lavoro mi occupo di spiegare cose difficili in maniere semplici su altri siti, su tematiche molto meno allegre dei videogiochi.

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