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Speciali

Sezione Aurea – Mirror’s Edge e la declinazione di un concetto

Se leggete il nome DICE (Digital Illusion Creative Entertainment) non credo vi verrà in mente il nome di Mirror’s Edge, bensì quello ben più blasonato dell’unica saga di sparatutto in prima persona in grado di rivaleggiare con Call Of Duty per volume di vendite e produzione sontuosa: Battlefield.

Nel corso di questa puntata di Sezione Aurea però andiamo a parlare di come un gioco d’azione/simulatore di Parkour sia riuscito a farsi notare durante una precisa era videoludica e a rimanere indimenticato grazie ad un saggio utilizzo del comparto visivo; non parliamo puramente di grafica (bella anche quella, volendo dare essa un giudizio sbrigativo) ma parliamo di colorazione, dettagli visivi, art-style, e di graphic design.

Come nella scorsa puntata andremo a parlare di quando gli sviluppatori nel tentativo di far scomparire gli HUD a schermo danno vita a comparti tecnico  artistici degni di tal nota, in grado di dare tutte le informazioni del caso in un singolo colpo d’occhio riuscendo anche nel non scontato compito di rimanere gradevoli.

Signori e signori, andiamo ad osservare oggi un po’ più da vicino Mirror’s Edge

Studio della società.

Avviando per una prima volta il titolo e iniziando immediatamente una partita, tolte le cutscenes animate, si entra immediatamente a far parte di un mondo esteticamente  particolare sin dalla prima occhiata.

Dagli screenshot del titolo si stagliano immediatamente prepotenti alcuni dei punti forti della produzione: architetture tanto maestose quanto futuristiche, una colorazione netta (priva dei grigiastri tanto famosi della settima generazione di console) che si impegnerà nell’interfacciare l’ambiente con il giocatore ed uno splendido minimalismo attuato in praticamente ogni ambito del videogioco.

L’identità visiva di Mirror’s Edge è composta di pochi elementi, tutti estremamente funzionali tra di loro e tutti in accordo con il setting socio-politico del titolo.

Il mondo di Mirror’s Edge non prevede la libera circolazione delle informazioni, che devono prima essere vagliate da chi di dovere per poter viaggiare; controinformare all’interno del titolo DICE significa correre illegalmente sui tetti degli edifici e negli androni dei palazzi, significa utilizzare il tetto della metropolitana come mezzo di trasporto e usare le impalcature delle costruzioni come trampolini di lancio per una nuova destinazione.

Il gameplay del titolo prende l’impianto di uno sparatutto in prima persona e lo spoglia di proiettili, mirini e hud vari; enfasi totale viene data al movimento della protagonista e all’ambiente in cui essa si muove; l’hud viene sostituito dai colori  degli oggetti a schermo chiamando il tutto runner vision come a voler parlare di intuito dato dall’esperienza della corsa.

““Il gioco chiede al giocatore quanta libertà personale è disposto a sacrificare in cambio di una vita tranquilla; non stiamo parlando di un semplice alterco tra una ragazza e la dittatura militare. Crediamo che il fulcro del titolo sia più sottile di così”. – Owen Brian (Senior Producer DICE)

Già una citazione del genere fa intuire il leitmotiv dietro cui sono state costruite tutte le varie componenti che poi sono andate a sublimare nell’identità visiva del titolo; sulla base di questo concetto poi ciò che si vede all’interno del titolo ha iniziato a costruirsi praticamente da solo.

Studio dell’edificio.

La nostra protagonista nel corso del gioco si muoverà all’interno di edifici altissimi ed estremamente moderni, tutti quanti accomunati da un meraviglioso stile architettonico che sembra uscito direttamente da un prequel del Wipeout designizzato da Republic Of Designers.

Questo stile viene generalizzato utilizzando le etichette Architettura Hi-Tech o Stile Internazionale; abbiamo a che fare con edifici slanciati, minimalistici, con ampio utilizzo di vetro all’interno delle loro composizioni. Forse la più cangiante tra tutte quante le definizioni possibili per lo stile architettonico preponderante all’interno di Mirror’s Edge è interpretato dallo stile Neo Futurista.

Il neo futurismo è uno stile che ben si applica a tantissime tipologie di edifici e più in generale di prodotti; uno stile altamente creativo che cerca di abbattere continuamente i confini imposti dalle strutture tradizionali; l’estetica neo-futurista, nel suo tentativo di abbattere il pessimismo, prende spunto da ciò che gli autori creativi di metà ventesimo secolo immaginavano nel mondo della fantascienza, senza dimenticare però il suo scopo di avanguardia.

Per fare questo il neo-futurismo si ritrova a combattere limitazioni e imposizioni, si ritrova a attorcigliare edifici, a complicare piani di costruzione, ad utilizzare materiali speciali. Al giorno d’oggi esistono molti grandi esempi di edifici in stile neo-futurista, molti realizzati dalla compianta architetta Zaha Hadid (morta nel 2016), come il London Acquatics Centre o il Riverside Museum di Glasgow.

Difficile non trovare paralleli tra tutti ciò e la pianificazione della città all’interno di Mirror’s Edge, un luogo creato per essere perfetto, caratterizzato da cementi, materiali ed edifici che puntano sempre verso una certa armonia ed un certo senso di progresso. Nonostante il gioco possa essere visto come una specie di racing game ad ostacoli è ambientato all’interno di un macro luogo che ispira tranquillità, grazie anche al sapientissimo utilizzo dei colori e delle geometrie.

DICE, nel progettare l’utopica città di Mirror’s Edge, ha comunque deciso di non strafare e di rimanere sul possibile; a differenza di quello che succederà con il successivo capitolo della saga qui l’architettura mantiene comunque un aspetto fattibile, facendo assurgere a massimo successo edilizio l’edificio conosciuto come Elitra (The Shard nella versione inglese del titolo), alto circa 550 metri (come il grattacielo Newyorkese One World Trade Center).

Studio dell’occhio.

Qualsiasi costruzione architettonica, senza una giusta colorazione, perde di mordente; in Mirror’s Edge il problema è risolto evitando in modo sistematico le scale di grigio e puntando su colori saturi, con una forte luminosità, puntando a caratterizzare rapidamente il colpo d’occhio delle ambientazioni del gioco.

Seguendo le basi della cromatologia (lo studio degli effetti psicologici dei colori) i designer di DICE hanno avuto la brillante idea di far predominare dei colori specifici in base alla situazione di gioco, in modo da sedimentare immediatamente l’atmosfera di un dato frangente e in modo da rimarcare nuovamente l’importanza di ciò che si vede all’interno del titolo.

Per questo motivo ci ritroviamo all’interno di edifici dalle colorazioni consistenti, ove un tono cardine viene coniugato e spalmato a seconda dell’illuminazione all’interno delle geometrie complesse del titolo; a dare manforte all’Unreal Engine 3 per quanto riguarda questo settore DICE stessa ha chiesto aiuto a Illuminate Labs, società specializzata nell’ambito che ha lavorato nel corso della sua vita anche a titolini come God Of War III o Gran Turismo.

La palette di colore si mantiene sul minimale: un rosso vibrante a voler segnalare i luoghi di interesse (e qui torniamo dopo) e il pericolo, un verde sanitario a voler segnalare la tranquillità e la sicurezza, un bluastro scuro a segnalare luoghi da esplorare; tutto ciò mischiato sempre con dei bianchi molto accesi e con dei neri quasi assenti.

In tale modo l’intero mondo di gioco risulta una tavolozza molto realistica che è in grado con un paio di occhiate di stabilirsi in modo permanente all’interno della mente di chi gioca; un successo incredibile che non è stato più realizzato con la stessa maestria stilistica all’interno del mondo dei tripla A videoludici.

Studio delle azioni.

Come ultimo punto andiamo ad osservare come DICE, attraverso la runner vision, è riuscita a rimuovere l’HUD dal titolo senza far disperdere il giocatore all’interno delle sue ambientazioni ma creando un flusso, un percorso, semplicemente utilizzando le differenti colorazioni dell’ambientazione.

Cos’è la runner vision, in primis?
Nel titolo i Runner, ovvero i corridori che vanno in giro scambiando i plichi con le informazioni, hanno sviluppato un certo istinto che dice loro cosa possono usare per le acrobazie e cosa no: la runner vision, in tal senso, evidenzia attraverso l’utilizzo dei colori (prevalentemente il Rosso) gli oggetti con cui è possibile utilizzare le proprie abilità di movimento e quale è il tragitto preferenziale da seguire all’interno di un dato schema per raggiungere la fine di un livello.

Ad esempio, già nei primi livelli è possibile notare immediatamente come gli oggetti con cui poi saremo destinati ad interagire siano marchiati di rosso, siano essi tubi, pezzi di tavola a mo’ di trampolino o scatoloni accatastati; in questo modo il level design riesce a indirizzare il giocatore lungo il corso del livello senza farlo districare in piccoli labirinti urbani secondo un flusso indistinto di azioni di movimento.

Nel gioco il concetto di flusso viene ripetuto molto spesso ed è perfettamente incastrato nel gameplay; le indicazioni sono sempre ambientali grazie al loro essere basate sui colori o sulle frecce presenti in modo perfettamente coerente all’interno degli uffici/edifici; quando così non è ci si ritrova ad avere a che fare con dei puzzle ambientali che vanno risolti salto dopo salto, esattamente come nei buoni e vecchi Prince Of Persia.

Cosa significa correre sul borso dello specchio?

Mirror’s Edge è riuscito, ben dieci anni fa, a mostrare attraverso un saggio utilizzo delle leggi cognitive descritte nella psicologia della forma come si può creare un videogioco in grado di far sinergizzare colori, forme, architettura, futuro, letteratura e paura.

Un videogioco dalle apparenze delicate ma solide, animato da una delle migliori (ad avviso di chi scrive) direzioni artistiche degli ultimi anni; quest’ultima è riuscita nel difficile compito di dare il giusto risalto al funzionalismo dell’architettura che alla pura bellezza estetica della grafica tridimensionale.

A questo andrebbe accompagnato poi tutto un discorso che tocca la musica presente nel gioco, tutta elettronica ambientale quasi evanescente per sostanza: nomi come Solar Fields, Paul Van Dyk e molti altri si sono avvicendati nella realizzazione di una colonna sonora che riesce nel sonorizzare il futuro distopico del titolo.

Tutto ciò, purtroppo, non si è ripetuto con la stessa efficacia nel reboot/sequel chiamato Mirror’s Edge Catalyst del 2015, ma questo è (purtroppo) materiale per un’altra puntata.

Da Sezione Aurea è tutto, tenete gli occhi aperti.

This post was published on 22 Novembre 2018 16:56

Graziano Salini

Perennemente alla ricerca di legami tra argomenti distanti tra loro, con una certa predilezione per musica e videogiochi. Faccio il possibile per fare in modo che ci siano meno errori di concetto possibili sugli articoli di Player.it, grande fan degli errori grammaticali invece, quelli fanno sempre ridere. Quando non sto amministrando questo sito lavoro mi occupo di spiegare cose difficili in maniere semplici su altri siti, su tematiche molto meno allegre dei videogiochi.

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