Sezione aurea, disciplina, geometria, allineamento, precisione, senso del ritmo, pienezza, senso di vuoto, chiusura, apertura, pesantezza, leggerezza, caoticità, ordine.
Per quanto queste due righe sembrino completamente prive di senso esse sono soltanto una piccola parte di tutti quei termini con cui è possibile descrivere e caratterizzare la progettazione grafica di un qualcosa; nel nostro caso specifico andiamo a cercare di guardare le progettazione grafica all’interno del mondo dei videogiochi.
Cosa si intende per progettazione grafica?
La progettazione grafica, conosciuta altrimenti come graphic design, è l’insieme di regole e di ragionamenti che si sottendono alla realizzazione di un identità visiva. Nel mondo dei videogiochi questo lo troviamo praticamente dappertutto: menù, interfacce, costruzione delle gerarchie visive, utilizzo dei colori e così via.
Sezione Aurea è una rubrica di Player.it in cui andiamo a guardare la progettazione grafica all’interno dei nostri videogiochi preferiti, cercando di capire perché alle volte essa funziona e alle volte essa finisce per diventare una nota di demerito all’interno di un titolo.
Ogni puntata della rubrica sarà incentrata su uno specifico gioco e sulle sue qualità: belle o brutte che esse siano, cercando di analizzare e di motivare perché determinate cose funzionano e perché determinate cose non funzionano.
Buona lettura!
Il titolo di cui andremo a parlare oggi è Dead Space, primo capitolo di una trilogia action horror ambientata nello spazio che ha visto la luce durante la settima generazione di console.
Dead Space ci farà vestire i panni di Isaac Clarke, un ingegnere che si troverà a dover combattere contro delle infestazioni di necromorfi, inquietanti creature tra l’umano e l’alieno che fungeranno da antagonisti per il corso della trilogia.
La cosa che più ha fatto meritare a Dead Space l’ingresso all’interno di questa rubrica è da cercarsi nel come esso nasconde l’interfaccia di gioco all’interno delle meccaniche di gameplay utilizzando saggiamente il concept e la lore dietro il titolo per evitare di mostrare troppi menù in grado di spezzare bruscamente l’atmosfera.
Questo tipo di interfaccia utente (UI, user interface per i più studiati) si definisce come interfaccia diegetica, ovvero una tipologia di interfaccia che non spezza in alcun modo la sospensione dell’incredulità data dall’immersione videoludica.
Questo genere di interfaccia non è molto comune nel mondo dei videogiochi e trova in Dead Space uno dei suoi migliori epigoni all’interno dell’intera storia del medium.
Perché è così efficace?
Analizziamo insieme le motivazioni per cui l’interfaccia diegetica di Dead Space funziona in modo egregio.
Il periodo storico in cui ha visto la luce il progetto Dead Space era letteralmente affogato tra i colori meno saturi e peggiori grigi che il mondo ricordi; gli sparatutto in prima persona con ambientazione bellica, i third person shooter e mille altre tipologie di giochi finivano per condividere un uso del colore sempre impostato su tonalità slavate che finivano per caratterizzare atmosfere smorte, improntate al realismo ma incapaci di far vibrare lo schermo con colori saturi e luminosi.
Dead Space non si discosta minimamente da questa linea di pensiero e la abbraccia a pieno, dipingendo la USG come un grigissimo mostro di metallo orbinante. Così facendo il titolo si veste di un atmosfera realistica e plumbea, funzionale al genere videoludico di appartenenza senza dimenticare di aggiungere alla ricetta un piccolo colpo di genio: scegliere con attenzione i colori dedicati alle interfacce dedicate al gameplay.
Le armi, ad esempio, sono utensili di metallo con interfacce composte da schermi colorati. Questi sono pieni di verdi saturati, molto elettrici per luminosità e contengono le informazioni più essenziali attraverso l’uso di un bianco brillante, filtrato attraverso dei simil-pixel come nella migliore tradizione fantascientifica.
La stasi e l’energia vitale del nostro personaggio vengono misurate da alcune barre presenti sulla schiena del modello poligonale; le barre sono colorate attraverso un colore Blu neon molto saturo che risalta immediatamente all’occhio; in caso di bassa salute la barra corrispondente si colora di un rosso molto acceso che richiama immediatamente la situazione di pericolo.
L’utilizzo di colori saturi e accesi serve a rendere visibile, nel colpo d’occhio, le cose più importanti all’interno dell’interfaccia; ai colori spenti viene lasciato l’ingrato compito di dare atmosfera al titolo, togliendosi dagli occhi del giocatore con semplicità.
La diegesi di un opera ludica prevede il mantenimento della quarta parete che tiene separati videogiocatore e videogioco.
All’interno di Dead Space tale quarta parete viene mantenuta intatta da sistema di menù interni al mondo di gioco tanto semplice quanto elegante.
Essi vengono proiettati direttamente dall’armatura del nostro protagonista all’interno delle ambientazioni di gioco sfruttando la più classica delle tecnologie fantascientifiche: l’ologramma.
Questa tipologia di scelta ha però una forte implicazione ludica: navigare nei menù non provoca una pausa, osservare la mappa non prova una pausa, cercare aiuto all’interno del gioco non provoca una pausa. In Dead Space le azioni vengono ragionate in modo da rendere ancora più affilato il senso di tensione che permea l’avventura spaziale del nostro povero ingegnere.
In tal senso l’ambiente fantascientifico dell’opera viene sfruttato ampiamente per generare macchinari e ammenicoli futuristici che hanno lo scopo dei pensare a tutte quei compiti che nei normali videogiochi vengono relegati ai menù.
Macchinari energetici, enigmi ambientali, porte da aprire: tutto senza mai toccare un menù esterno a quelli presenti dentro la nave Ishimura o a quelli proiettati dalla tuta di Isaac.
L’avventura di Isaac Clarke è un buco nero dal quale si viene risucchiati anche grazie all’assenza di motivi per guardare fuori dallo schermo.
Una delle più grandi regole che ogni graphic designer deve imparare a metabolizzare è Less Is More dell’architetto tedesco Ludwig Mies van de Rohe.
Tale affermazione indica come, alle volte, un’ identità visiva possa essere caratterizzata da una quantità sparuta di elementi, senza dover per forza abbondare e cercare una complessità artefatta.
Questo discorso si adatta perfettamente al comparto visivo/tipografico di Dead Space dove vengono l’essenziale è sempre a portata di occhio e mai si piega ad un discorso di continua addizione visiva.
Sebbene l’utilizzo del colore sia stato già analizzato nel corso di questo scritto possiamo aggiungere una cosa molto importante: i colori usati sono pochi ma vengono saggiamente variati attraverso l’utilizzo attento di tre fattori: contrasti, saturazioni e luminosità.
È possibile invece fare un discorso diverso per come le strutture visive usate all’interno del gioco si ripetano continuamente senza annoiare, parliamo di menù, di interfacce dei macchinari, dei caratteri utilizzati all’interno di queste creino una forte identità nel titolo, identità che sostiene anche il gameplay.
Uno stile essenziale alimenta il senso di verosomiglianza del titolo, la verosomiglianza alimenta l’idea di star giocando a qualcosa di possibile, questa aumenta la paura e la tensione collegati al gameplay in una sinergia di rara potenza.
Dead Space ha avuto, in fase d’ideazione, un importante focus sulla progettazione visiva delle caratteristiche del titolo. Abbiamo visto, nel corso di questo breve scritto, come alcuni dei tipici stilemi del graphic design siano stati applicati in modo corretto all’impianto di gioco tirando fuori un esperienza che è stata più della somma delle sue parti.
Unire in modo intelligente le leggi della percezione al gameplay di un titolo non è roba da tutti i giorni, Visceral Games nel corso di questo titolo ha mostrato a tutti come ci si possa riuscire senza dover sacrificare nulla.
Il terrore passa per pochi colori, pochi elementi e tanta saggezza.
This post was published on 28 Ottobre 2018 14:11
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