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Speciali

Mortal Kombat: il Re dei picchiaduro ultraviolenti

Continua la nostra rubrica settimanale #venerdìoldies dedicata al retrogame.

Se vi siete persi gli articoli precedenti dedicati al retrogaming potrete ritrovarli comodamente tutti a questo link. Troverete Final Fantasy, Resident Evil, Silent Hill e molte altre chicche raccolte solo per voi!

MORTAL KOMBAT: IL PICCHIADURO ESTREMO

Nel 1992, quando dicevi “picchiaduro” la risposta era solamente una: Street Fighter 2. Uscito l’anno prima, seguito del fortunato primo capitolo del 1987, aveva rubato subito la scena con i suoi carismatici protagonisti e i suoi scontri frenetici e colorati. Quell’anno però, successe qualcosa. Un nemico, venuto direttamente dall’Outworld, era pronto ad insidiarne la fama, prendendosi l’amore di milioni di giocatori in tutto il mondo. Quel rivale, che ridefinì il concetto di violenza nei videogiochi, era destinato a divenire una delle saghe più popolari di sempre. Quel gioco, si chiamava Mortal Kombat.

I mitici protagonisti del primo Mortal Kombat

La magia di una trama ben pensata

La storia alla base di Mortal Kombat era sicuramente intrigante. Ogni generazione di guerrieri, sulla Terra, si svolge un torneo di arti marziali tra una selezione di combattenti a difesa del nostro mondo e le truppe dello stregone Shang Tsung. Se lo stregone riuscirà a vincere il decimo Mortal Kombat consecutivo, il pianetà cadrà nelle mani dell’imperatore dell’Outworld Shao Kahn. Nel primo capitolo, il protettore della terra Raiden, dio del fulmine, sceglie la sua squadra di combattenti per affrontare il temibile torneo. Liu Kang il guerriero monaco, Johnny Cage, la stella del cinema, Sonia Blade, l’agente speciale, Kano il criminale e i ninja Sub Zero e Scorpion, rispettivamente maestri del ghiaccio e del fuoco.

Una volta scelto il proprio combattente bisognava affrontare prima sei incontri contro gli altri personaggi, poi il “mirror match” contro se stessi. Una lotta dura? Non proprio visto che si passava poi agli Endurance Match, (un micidiale uno contro due senza recupero di salute) prima dello scontro con lo spietato Goro, principe con sangue di Drago e quattro braccia. Fortissimo in tutti i sensi, anche se un po’ macchinoso nei movimenti. Solo alla fine del torneo avremmo affrontato Shang Tsung, in grado di assumere le sembianze di ogni altro lottatore, con relative mosse e combo, e cercare di finire un gioco tutt’altro che facile.

Goro, ma quanto era difficile da mandare al tappeto?

Una grafica all’avanguardia

La bellezza di Mortal Kombat però, più che nella sua storia, era nelle innovazioni che portò con sé. Prima di tutto quella grafica. Fino ad allora infatti, nessun titolo era riuscito a coniugare il dettaglio digitalizzato di attori in carne ed ossa con la fluidità e la velocità necessarie per competere con il frenetico Street Fighter. Mortal Kombat diede alla luce un prodotto graficamente maturo, con personaggi straordinariamente dettagliati per l’epoca e movimenti assolutamente fluidi e godibili.

La quasi totale mancanza di rallentamenti, anche nelle fasi più concitate di gioco, faceva il paio con l’introduzione di alcuni elementi assolutamente rivoluzionari per quei tempi. Il primo, l’uso di una violenza estrema e mai censurata. Sangue, colpi proibiti, colpi bassi (vero Cage?) e uppercut devastanti. Il tutto culminava con l’introduzione, a fine match, dell’iconica scritta “Finish him” che ci spingeva a chiudere il match con un cruento colpo in grado di smembrare il nostro avversario. Parliamo delle leggendarie Fatality!

Le fatality erano qualcosa di veramente spettacolare

Il manuale con le mosse

L’altro punto focale del successo di Mortal Kombat era la complessità del suo gameplay. I pulsanti infatti erano ben cinque. Due per i pugni, due per i calci e uno per le parate. Come se non bastasse, ogni combattente aveva una sua lista di colpi speciali e combo estremamente dettagliata e lunga. Gli attacchi dipendevano quindi dagli spostamenti in orizzontale e verticale, intervallati da uno o più dei quattro tasti d’attacco.

Il tempismo era una componente fondamentale di questi attacchi, e permetteva di fare danni veramente esagerati. L’altra grande novità introdotta da Mortal Kombat era la possibilità di parare o evitare praticamente qualsiasi tipo di attacco. Mentre nel rivale Street Fighter una combo particolarmente ben assestata portava alle famose “stelline” sopra la testa del rivale e dava vita a chiusure nell’angolo dello schermo con frenetiche ripetizioni di tasti impossibili da evitare, in MK era sempre possibile uscire, replicare o evitare una tecnica. L’unico colpo davvero imparabile erano i calci volanti portati da una determinata distanza, in grado di colpire la CPU al volto ogni volta, battendola con perfect su perfect.

La mossa congelante di Sub Zero. Bellissima.

Oh no, ho rotto un altro joypad

Purtroppo padroneggiare alla perfezione tutti i personaggi non era cosa semplice e ognuno finiva per scegliere il proprio “eroe”. Il rischio di affidarsi alla pressione caotica e frenetica di tutti tasti era sempre nell’aria ma, nel tempo, ha prodotto più joystick rotti che vittorie finali. Ogni tanto, in piedi davanti al cabinato della sala giochi, matidi di sudore durante un combattimento contro Kano, Sonya o il Raiden di turno, tutti ci siamo girati verso i nostri amici chiedendo quello che solo a Goro era stato concesso, quattro braccia per premere più pulsati contemporaneamente.

La verità è che in Mortal Kombat non servivano quattro mani, ma molta testa, padronanza, applicazione e memoria. Lanciare il famoso “Come here” di Scorpion, al quale seguiva l’immancabile uppecut o le tecniche congelanti di Sub-Zero era una goduria senza pari. Non ce ne vogliano i protagonisti di SFII, ma il sangue e la violenza di MK erano davvero di un altro pianeta.

 

La fatality di Rayden

Come here!

Anno domini 2017. Dal 1992 sono passati 25 anni, 25. Siamo diventati ingegneri, chimici, professionisti, mariti, padri. Suona il campanello, i tuoi amici entrano a casa tua, non più quella di mamma e papà. Una pizza, una birra, poi però scatta il momento Mortal Kombat. Perché nonostante siano passati 25 anni, darsi delle gran botte virtuali è sempre divertente come allora. Far scoppiare la testa dei tuoi amici digitali, spezzare arti, colpire a tradimento, incendiare, scuoiare, mutilare è un divertimento che non è spiegabile a parole.

Una partita a Mortal Kombat è come una seduta dal terapista: ti sfoga, ti rilassa e rivela la vera natura delle persone. C’è chi ama attendere, aspettare il momento giusto per farti scoprire e attaccarti. Chi gioca solo da lontano e con colpi speciali, chi da vicino e ripetere sempre gli stessi attacchi. Chi ama la tecnica e chi la foga. Mortal Kombat, da quasi venticinque anni, accontenta tutti e fa rosicare tutti, perché tanto prima o poi perdi, o incassi continuamente lo stesso colpo e vorresti picchiare davvero la gente. In quelle due ore, noi nostalgici, siamo grati alla Midway di aver creduto e creato un prodotto cosi politicamente scorretto, divertente e violento che dopo tanti anni ci è rimasto ancora nel cuore.

 

This post was published on 22 Dicembre 2017 14:00

Mauro Zini

Collaboratore presso Lineadiretta.it e Player.it. Appassionato di libri, cinema, serie Tv e videogiochi. Nerd da quando non era di moda esserlo. Coach di basket e istruttore di minibasket accreditato presso la FIP.

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