Ci sono videogiochi che, grazie ad una combinazione di vari fattori, stabiliscono dei nuovi standard per la propria categoria. Half Life ad esempio, come vi abbiamo raccontato in questo pezzo, ha riscritto le regole della narrazione negli fps. Baldur’s Gate, se possibile, è andato anche oltre. Baldur’s Gate, nel lontano 1998, ha scritto una pagina indelebile nella storia dei videogiochi, conciliando giochi di ruolo cartacei e videogiochi. Riuscendo nell’impresa di accontentare gli estremisti di entrambe le posizioni. Un titolo che ancora oggi, a distanza di 20 anni, resta un capolavoro indiscusso e ineguagliato. Oggi vi portiamo con noi nel magico mondo di Dungeons & Dragons.
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Dungeons & Dragons dalla carta agli schermi
I giochi di ruolo cartacei, per una certa generazione, hanno rappresentato un fenomeno di indescrivibile potenza e aggregazione. Riunirsi a casa di amici e dedicarsi a lunghe sessioni di gioco con carta e matita, dadi, mappe, righelli e quant’altro era (e per qualcuno è ancora) praticamente un rito sociale. Il Master creava storie ed eventi e i giocatori si immedesimavano in quelle storie, interpretando il loro personaggio. Il mondo dei videogiochi provò per molti anni a ricreare quelle atmosfere, a carpire il segreto di sessioni e racconti riproponendoli sugli schermi di quegli stessi appassionati. Mai nessun titolo centrò il bersaglio come la BioWare con il suo capolavoro: Baldur’s Gate.
La storia, in apparenza molto semplice, si snodava presto in intrecci e narrazioni di portata inaspettata, coinvolgendoci in un mondo che mai avremmo potuto sospettare così vasto. Nei panni di un giovane orfano allevato a Candlekeep dal potente mago Gorion, ci troveremo ben presto a fare i conti su strani avvenimenti riguardanti la Costa della Spada. La nostra avventura, iniziata con un omicidio, ci condurrà infatti tra miniere, caverne, accampamenti, grandi città, foreste, templi. Alla ricerca di verità e giustizia per una grave perdita subita, in una storia complessa e raffinata come poche altre nella storia dei videogiochi.
Il party, il vero protagonista
Sebbene la storia abbia un suo protagonista, come per ogni avventura di Dungeons & Dragons che si rispetti, a farla da padrone sarà il nostro party. Nessuna storia si può infatti affrontare da soli, specialmente in un mondo denso di pericoli come il Faerun. Accanto a noi potremo quindi accogliere altri personaggi (cinque, al massimo, oltre al protagonista) scegliendo tra abilità in combattimento, capacità tattiche, o carisma. Un buon party infatti è sempre un sapiente incastro di abilità diverse, in grado di modellarsi e adattarsi alle insidie che ci attendono nell’oscurità.
Nel formare la nostra squadra, come un Nick Fury impegnato ad assembrare gli Avengers, dovremo anche tenere conto dell’orientamento delle nostre azioni. I personaggi che incontraremo infatti, si divideranno in buoni, neutrali e malvagi. Adottare linee di condotta non in sintonia con l’orientamento dei personaggi ci porterà a perdere membri del party, o addirittura vedere alcuni di essi che si scontrano tra loro fino ad uccidersi.
L’enorme quantità di personaggi giocabili e la loro maniacale accuratezza è stato sicuramente uno dei punti focali del successo di Baldur’s Gate. Dall’amica d’infanzia Imoen, al ranger Minsc con il suo criceto. Dalla chierica tramutata in pietra Branwen, passando per il pessimista e cinico Xan, fino al malvagio, pazzo e schizzofrenico Xzar o al bardo misogino Eldoth che si unirà a noi solo le aiuteremo a “liberare” l’amata Skie. Questi sono solo alcuni dei personaggi che potremo utilizzare per portare a termine l’avventura.
Dei dialoghi memorabili e raffinatissimi
In una storia con così tanti protagonisti e relative storie, non poteva mancare una cura maniacale e mastodontica dei dialoghi e delle descrizioni. Questo titanico lavoro di scrittura e narrazione ha costituito l’elemento centrale di tutte le fortune di Baldur’s Gate. Mai nessun gioco prima di questo, (e pochissimi anche dopo), ha saputo coinvolgere gli appassionati nelle proprie trame con un uso cosi sapiente delle parole a discapito di effetti speciali e azione.
In un contesto videoludico molto diverso da quello dei giorni nostri, Baldur’s Gate era un prodotto che non doveva coinvolgere in un’azione frenetica e facilmente accessibile, ma appassionare passo dopo passo, racconto dopo racconto. Dovevamo essere spinti a continuare dalla sete di conoscenza e dalla curiosità, più che dal puro livellamento. Quando inizi ad amare il mondo in cui sei, quando lo senti vivere, cambiare e respirare intorno a te, improvvisamente ti ritrovi a provare le stesse identiche sensazioni della carta, del tavolo e dei dadi.
Baldur’s Gate ci ha lanciato contro l’incantesimo “Charme” (su qualcuno “Charme su mostri”) e come per magia ci siamo sentiti davvero dentro una sessione di Dungeons & Dragons. Rapiti dai suoi misteri, dagli intrighi, dai colpi di scena. Abbiamo amato ogni parola e ogni lunghezza, ben consapevoli che nel tempo tutta la magia si è persa alla ricerca di prodotti più semplici, per un pubblico via via più svogliato e meno fantasioso, sempre più bisognoso di essere portato per mano alla soluzione.
Una difficoltà tutt’altro che semplice, quando i giochi non erano per tutti
Proprio la sua intrinseca difficoltà è stata un’altra delle chiavi del successo di Baldur’s Gate. Ogni scontro, ogni mossa, andava pianificata con astuzia e intelligenza. Il meccanismo di combattimento era infatti quello classico di D&D, ovvero il roll di un dado a 20 facce (ah, il D20) con l’obiettivo di superare la classe armatura del nostro avversario. Una volta superata la CA, si calcolava il danno e si sottraeva dai punti ferita. Semplice? Non proprio.
Gli scontri infatti dipendevano da un bel po’ di fattori. Adeguatezza del party, capacità di organizzare e sfruttare ogni abilità nel momento e nel modo giusto. Morire non era affatto difficile e il gioco non era certo programmato per renderci la via verso la gloria facile. Il Master, se così vogliamo chiamarlo, era severo e spietato insieme e un tiro storto o un tiro fortunato poteva fare la differenza tra vincere e perdere miseramente uno scontro, causando la morte di tutto il party o la sua salvezza.
I salvataggi diventavano così, ben presto, i nostri migliori amici. Salvare spesso, per non rischiare di dover rigiocare lunghe parti di gioco. Affrontare gli scontri difficili più e più volte, capire quale nemico dover togliere per primo dal campo di battaglia, difendendo a nostra volta i nostri membri più deboli e bersagliati. Un gioco complesso, impegnativo e dannatamente appagante.
Un capolavoro ancora oggi
Storia, personaggi, ambientazione, difficoltà. Ecco le chiavi, nel loro incredibile e irripetibile mix, del successo di quel capolavoro che è stato Baldur’s Gate. La bellezza e il gusto di una sessione cartacea di D&D vissuta sullo schermo del nostro computer. La rabbia e la delusione per uno scontro perso a casua di un tiro salvezza fallito. La gioia nel battere in astuzia un potente mago contro di noi.
Emozioni, miste a ricordi. Di un tempo in cui gli effetti speciali li finivamo noi con la nostra immaginazione, nei quali ad un riga di testo sostituivamo un film mentale. Un’epoca nella quale i giochi non erano pensati per farci comprare oggetti o armi più potenti, nè per farci dimostrare che eravamo migliori di altri, in una spietata competizione virtuale. Un’epoca in cui i giochi non dovevano farci vincere per forza, ma dovevano impegnarci, farci imprecare, batterci, finché noi non battevamo loro. L’era che fu dei Baldur’s Gate e che non tornò mai più.