Come per la datazione B.C./A.C., allo stesso modo, nel mondo dei videogiochi, servirebbe una datazione Before Half-Life e After Half-Life. Semplicemente perché questo titolo ha rivoluzionato il modo di fare videogames e raccontare storie, ad un livello tale che può essere considerato un vero e proprio capostipite.
Passato abbastanza in sordina durante l’evento E3 del 1997 (è assurdo pensare come siano passati già venti anni da quello del 2017 che vi abbiamo raccontato qui), è arrivato sugli schermi dei nostri PC l’anno successivo, regalandoci una delle esperienze più coinvolgenti ed emozionanti mai provate fino ad allora. I motivi di tale successo proviamo a raccontarveli in questo pezzo amarcord.
Sono le 8:47 del mattino nel laboratorio sotterraneo di Black Mesa, nel Nuovo Messico. La navetta di trasporto automatico ci porta in giro per la struttura, mentre noi siamo liberi di guardarci attorno e di muoverci nel convoglio. In questa rivoluzionaria introduzione, con tanto di titoli di testa, c’è già tantissimo del successo che avrà questo titolo.
Nessun gioco prima di allora infatti, ci aveva regalato un tale senso di immersività, calandoci nei panni di una persona assolutamente normale, all’interno di una normale giornata lavorativa. Un’idea narrativa tanto semplice quanto efficace, ma destinata a cambiare per sempre il modo di scrivere videogiochi.
Il primo quarto d’ora di gioco scorre così. Tra operazioni quasi banali, senza azione o mostri a cui sparare. Dovremo infatti vestire la nostra tuta ambientale, diventata un vero e proprio must dei videogiochi, e procedere con le nostre mansioni, ovvero analizzare alcuni materiali di origine sconosciuta. Purtroppo il nostro esperiemento fallisce, a causa di una inaspettata cascata di risonanza che finirà con l’aprire uno squarcio dimensionale, dal quale usciranno mostri e una serie di guai senza fine.
Da questo momento in poi, armi in pugno, dovremo cercare di farci largo tra le macerie e i feriti, cercando di porre rimedio alla frittata appena fatta. Come se la situazione non fosse già abbastanza complicata, ecco arrivare “la cavalleria”. L’esercito degli Stati Uniti infatti piomberà sulla struttra per prestare soccorso, ma a modo loro. Come scopriremo ben presto infatti, invece di aiutare i ricercatori, cercheranno di ucciderli insieme agli alieni. Una vera e propria operazione di pulizia totale della struttra e di eliminazione di ogni testimone.
In mezzo a questo caos, facendo affidamento sul padre di tutte le armi e, assieme, di tutti gli strumenti utili della storia dei videogiochi, ovvero il piede di porco (giuro, non ne ho guardato più uno allo stesso modo) avrà inizio il nostro calvario. Una folle corsa verso il team Lambda, ubicato ovviamente dall’altro lato del sito di ricerca, ma unica speranza di chiudere lo squarcio e fermare l’invasione. Avremo così modo di passare negli ambienti e nei laboratori già visti nella lunga introduzione, creando un anello narrativo che nessun gioco era mai riuscito a creare prima.
Tra gli elementi più azzeccati di questo capolavoro chiamato Half-Life, spiccano le armi e gli alieni presenti nel gioco. Oltre al già citato piede di porco infatti, ci troveremo ad usare pistole Glock, fucili SPAS-12, mitragliatrici MP-5. Avremo dalla nostra anche letali balestre e lanciarazzi a guida laser. Fino a trovare, nelle fasi finali del gioco, armi ibride umano-aliene, ovvero la Hornetgunt, il cannone Tau o armi a raggi gluconici.
Un arsenale cosi fornito e ricco serve ovviamente ad affrontare una minaccia altrettanto imponenete. Davanti infatti ci si pareranno gli Headcrab (citazione di Alien?) piccoli simbionti in grado di spiccare salti molto lunghi e prendere il controllo del sistema nervoso delle vittime, trasformandole in zombie. I Vortigaunt, riconoscibili per le scosse che lanciano o i nauseanti Barnacle, ovvero dei carnivori attaccati al soffitto in grado di pescare carne fresca con la loro lingua. Gli Alien Grunt, la versione aliena dei nostri militari e tanti altri, fino ad arrivare al boss Nihilanth, il “cervello” dell’invasione.
Dal versante terrestre invece ci troveremo a combattere contro Marine, elicotteri, carri armati e ovviamente contro le difese automatiche della base. Insomma, una situazione di certo non rosea.
Il gioco, che ha avuto un successo del tutto inaspettato, diventando ben presto uno dei titoli più famosi e giocati di fine millennio, ha avuto anche tre espansioni uffciali. Queste storie aggiuntive ci hanno regalato il racconto degli stessi avvenimenti in cui era coinvolto Gordon Freeman, ma da punti di vista totalmente differenti.
Nel primo, Half-Life: opposing Force, viene raccontata la storia di Adrian Shephard, uno dei Marine inviati a Black Mesa per fare pulizia di alieni e testimoni scomodi (compreso lo stesso Gordon Freeman). Durante la missione dovremo combattare contro gli alieni e contro un corpo deviato dello stesso esercito per cui combattiamo, ovvero i Black Ops. Essi saranno riconoscibili per la loro tenuta da combattimento totalmente nera e cercheranno di attivare una testata nucleare per far scomparire l’intera base.
Nella seconda espansione, Half-Life: Blue Shift, vivremo gli eventi del D-Day a Black Mesa, attraverso gli occhi di una delle tante guardie incaricate di garantire la sicurezza della struttura. Una volta scoperto l’accaduto, dovremo semplicemente cercare di sopravvivere, scappando dalla struttura prima di essere uccisi. Questa espansione è stata oggetto di critiche perché non ha portato novità né in termini di storia né in termini di alieni o armi. L’ultima espansione è uscita unicamente per Playstation 2 e ha preso il nome di Half-Life: Decay. In questa avventura il gioco segue la storia attraverso gli occhi di due scienziate: Colette Green e Gina Cross.
Se proprio volessimo trovare un difetto ad Half-Life, e non è certo impresa semplice, potremmo dire che esso risiede nell’incompiutezza del titolo come saga. Dopo l’enorme successo del primo capitolo, infatti, la Valve, ha prodotto un seguito, Half-Life 2, (di cui vi racconteremo nel dettaglio in un prossimo futuro). Questo titolo fu rivoluzionario almeno tanto quanto il primo ma, più che per il gameplay, per l’enorme lavoro di ambientazione e scrittura. Senza dimenticare la cura e la raffinatezza dedicata ai personaggi.
Il tutto però si è fermato, lasciando il pubblico senza il terzo capitolo di una delle saghe più belle e riuscite di sempre. Uno stop senza motivo, di cui ancora oggi si parla, nella speranza che prima o poi qualcuno riunisca i fili di una narrazione che sembra aver preso alcune strade in apparenza scollegate (qualcuno ha detto Portal?). Il lato peggiore di Half-Life è che tutti gli appassionati, coloro che in quei dieci minuti di introduzione del 1998 si sono innamorati e fatti trasportare in un‘altra dimensione, aspettano da anni una degna conclusione.
This post was published on 1 Dicembre 2017 14:00
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