Recentemente mi è capitato di dover introdurre la quinta edizione di Dungeons & Dragons – edita finalmente in Italia nel nostro idioma da Asmodee – ad un gruppo di giocatori più o meno esperti riguardo il gioco di ruolo fantasy per eccellenza. Ho scelto l’ambientazione Eberron (la mia preferita in assoluto), e per la mia one shot avevo bisogno di un villain adeguato. Non ci ho pensato più di due secondi: un mind flayer.
Oltre ad essere uno dei mostri più affascinanti dello storico bestiario di D&D (insomma, è Cthulhu in versione stregone), immaginavo che il mind flayer facesse un bell’effetto per l’associazione con la seconda stagione di Stranger Things, lo show anni ’80 più ruffiano di Netflix. Il mostro, infatti, viene associato all’inquietante creatura che attanaglia i piccoli protagonisti della serie. Ci ho visto giusto, perché non appena hanno incontrato il mio villain sono tutti saltati sulla sedia, ed alcuni hanno immediatamente rievocato le vicende dello show dei fratelli Duffer.
Questo perché, oggi, Dungeons & Dragons (qui trovate la nostra guida al regolamento della quinta edizione) è un brand subito riconoscibile, da giocatori o ignari che siano. L’insinuarsi della cultura nerd all’interno degli scenari più pop ha fatto sì che tutti, oggi, sappiano più o meno identificare D&D e soci. Magari lo chiamano “gioco coi pupazzini”, ma bene o male hanno una mezza idea di cosa rappresentino quelle due lettere. In tempi ancora più recenti, Dungeons & Dragons ha fatto un nuovo salto di popolarità notevole ed è diventato ufficialmente un gioco interessante, da avere e provare, un prodotto di tendenza per così dire.
Una roba che se me l’avessero detta dieci anni fa, circa, avrei dovuto fare di certo un Tiro Salvezza su Volontà contro follia.
Stando alle dichiarazioni di Hasbro e Wizards of the Coast, aziende proprietarie del marchio, Dungeons & Dragons ha visto nel 2016 il suo anno più roseo di sempre in termini di profitti, ed il 2017 sembra avere le carte in tavola per superare tali previsioni. Il motivo principale di tanto rinnovato interesse nel gioco di ruolo classe 1974 è, strano a dirsi, la diffusione dello stesso tramite i cosiddetti “liveplay” o “actual play”, gli equivalenti analogici di ciò che noi videogiocatori conosciamo bene grazie a streamer e youtuber vari.
I dati più o meno precisi dell’efficacia di questo fenomeno ce li dà Nathan Stewart, senior director di Dungeons & Dragons: “Più della metà delle nuove persone che hanno iniziato a giocare alla quinta edizione si sono appassionate a D&D guardando le persone giocare online”. Per una parte di voi lettori, quelli avvezzi ai giochini elettronici, questa non è una novità. Il mercato è pieno di storie di prodotti che hanno raggiungo il successo soprattutto attraverso la sponsorizzazione (più o meno spontanea) dello streamer di turno, uno su tutti lo straripante fenomeno di PlayerUnknown’s Battlegrounds. Io stesso ho visto più volte gli streaming di cui Stewart parla, ma conoscerne l’effetto a livello commerciale è stato sorprendente.
Vi spiego. Vedere uno streamer che gioca ad Overwatch è un contenuto “reale”, in un certo senso. Si può seguire la celebrità in questione, il gioco e solo in modo collaterale la celebrità, si può tenere muto e godersi solamente il gameplay, meglio ancora se di qualcuno bravo. Insomma, lo streaming videoludico è un contenuto “palese”. Se ci si lamenta dei follower degli youtuber perché “guardano gente che gioca ad un videogioco”, per quanto riguarda i giocatori di D&D si “guarda gente che gioca”. D&D, infatti, non produce nulla a livello visivo, ed è coinvolgente solo se si partecipa attivamente, perché da fuori si vede letteralmente gente che parla del nulla. Qui, però, entra in gioco la differenza fondamentale nei contenuti video di questo tipo.
Ci sono dei contenuti che potremmo definire “staged” per i più avvezzi al mondo dello spettacolo. Ovvero giocate magari genuine, ma montate ad arte e con una regia curata, musiche, ed atmosfera da farle diventare praticamente una web-serie. Aggiungete a questo che il master ed i giocatori sono doppiatori e/o attori professionisti ed otterrete, tra i tanti, un prodotto come Critical Role.
Tra questi bei faccioni sorridenti di insospettabili (ma neanche tanto) nerd ci sono McCree, Jaina, Knuckles, Blanka ed Ellie di The Last of Us, le loro voci almeno. Giocatori che, contrariamente alla gente “normale”, quando recita un personaggio in D&D lo fa davvero. Sono i protagonisti principali di Critical Role, un progetto di Geek & Sundry, progetto editoriale di Felicia Day dedicato al gaming e alla cultura pop in ogni sua forma.
Semplicemente, Critical Role è per la maggior parte dei casi un live stream su Twitch di svariate ore, con tanto di possibilità per gli utenti di commentare la sessione in corso. Alcune volte, complice il portale Nerdist, parte di questo gruppo di professionisti si ritrova per delle puntate speciali in cui, in veste di guest star, alcune star del cinema e della televisione interpretano dei personaggi. Sono passati sul tavolo di Matthew Mercer (il talentuoso DM, doppiatore di McCree, tra i tanti ruoli della sua lunga carriera) personaggi del calibro di Vin Diesel in occasione della promozione di The Last Witch Hunter – per la quale Mercer ha “hackato” una classe apposita, il Witch Hunter – ma anche Joe Manganiello e John Bradley, il Samwell Tarly del Trono di Spade.
In queste puntate speciali lo staff lavora molto sulla scenografia, inserendo musiche ad effetto e lavorando parzialmente sul montaggio quando le clip finiscono su YouTube. Il filmato con Vin Diesel vi sarà sicuramente capitato sottomano all’epoca, ma nel caso non sappiate di cosa sto parlando, dategli un’occhiata prima di continuare.
È normale rimanere affascinati da show del genere, soprattutto poi se si scopre che Joe Manganiello è un fan della prima ora di Dungeons & Dragons e giocava alla mitica scatola rossa all’epoca. In questo senso, Critical Role non è certo l’uno show di questo tipo in rete, ma è sicuramente quello che ha raggiunto il successo più inaspettato.
Il programma è nato nel 2015, quando Felicia Day venne a sapere che a Los Angeles c’era un gruppo di doppiatori professionisti che giocava a Dungeons & Dragons. Da lì il passo per far diventare una campagna tra amici uno show su Twitch è stato breve, ma nemmeno Mercer si aspettava tutto questo successo, come dichiarava più volte all’epoca.
Attualmente, il primo episodio della campagna di Critical Role – un video di oltre tre ore dove un gruppo di amici gioca a D&D, lo ribadisco – ha accumulato oltre 5 milioni di visualizzazioni. Dopo poco più di due anni la campagna ha generato una serie a fumetti, un art book, ed una linea intera di merchandise che spazia dalle t-shirt ai tarocchi, per non parlare dei contenuti non ufficiali prodotti dai fan. Seguire questa campagna è effettivamente assuefacente, perché la bravura dei giocatori/doppiatori rende tutto più affascinante, ed il segreto del suo successo è lo stesso che ha costruito il mercato economico degli streamer e youtuber: l’interazione con gli utenti.
Il successo di Critical Role, e relative iniziative, ha spinto Wizards ed Hasbro ad investire attivamente su questo settore. Per esempio, sempre Matthew Mercer ha pubblicato una guida alla campagna, e lo scorso anno è stato invitato come DM per Force Grey, una campagna giocata dal vivo con attori come Joe Manganiello (che riprende il suo personaggio in Critical Role, un dragonide paladino) e Deborah Ann Woll (la Karen Page del Daredevil di Netflix) che interpreta una barbara. Per farvi capire, il finale della seconda stagione della serie è stato proposto il 18 novembre scorso in teatro, davanti ad un pubblico dal vivo pagante.
Ma non solo, Dungeons & Dragons ha un canale Twitch ufficiale dove, oltre a Force Grey, vengono ospitati tanti altri show e gruppi di gioco per un totale di 50 ore settimanali di trasmissione. Notevole anche l’attenzione riposta nella varietà demografica e “stilistica” della programmazione. Il canale ospita gruppi di tutte le età, razza, sesso e religione, ospita campagne più seriose, quelle più naif, e dà spazio a molti stili di gioco diversi.
Di progetti di questo tipo, più o meno sponsorizzati, ne esistono a migliaia. Citiamo giusto HarmonQuest, una serie voluta da Dan Harmon, creatore di Community, che dopo le strabilianti puntate dello show a tema D&D (“I won at Dungeons & Dragons, and it was Advanced!”) ha creato un programma molto particolare. Mentre Harmon ed i suoi compagni giocano, un gruppo di animatori trasforma l’avventura in un cartone.
Dungeons & Dragons, e qualsiasi altro gioco di ruolo (vogliamo lo streaming di una campagna di Pugmire al più presto) per onore di cronaca, è diventato quindi un brand sul quale investire. Se ne sono accorti anche nel nostro paese, perché sempre più celebrità del web cominciano a citarlo, nonché a riproporre questo tipo di show su Twitch. La stessa Asmodee sta puntando molto sui social network, sfruttando la popolarità di web star ed influencer (come il noto fumettista/recensore/tuttologo che tutto odiano ma che tutti cercano) italiani per promuovere il prodotto.
Ci vergognavamo di giocare a D&D un tempo, ma è probabile che tra qualche tempo la vera notizia sarà non giocarci. Personalmente guardo a questo fenomeno con grande piacere, perché ritengo quello dei giochi di ruolo un mondo fin troppo inesplorato a livello mediatico. Al contrario del famoso influencer nostrano di cui sopra (sì dai, è Roberto Recchioni, volevo fare il misterioso), non credo affatto che i veri nerd debbano rimanere relegati nei loro confini.
Non saremo mai fighi come i ragazzini di Stranger Things, ma tentare non costa nulla.
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This post was published on 22 Novembre 2017 15:20
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