Negli anni ’50, in America, andavano tantissimo i B-Movie con gli insetti. La paura per una imminente guerra atomica, gli effetti delle radiazioni, le mutazioni, avevano generato una corrente di film horror tutta basata su questo filone di fantascienza. Giusto per citarne qualcuno Them! (Assalto alla terra) del 1954 e Empire of the Ants (L’impero delle termiti giganti) del 1977. It Came from the Desert, realizzato dalla Cinemaware nel 1989, prende spunto proprio da questi film, regalandoci un’esperienza di gioco avanti anni luce per il periodo in cui è stata realizzata.
La nostra avventura inizia il primo giugno del 1951, in una piccola cittadina del Nevada, Lizard Breath. Durante una pioggia di meteoriti qualcosa ha colpito il fianco della montagna e noi, che vestiremo i panni del geologo Greg Bradley, dovremo indagare su tutta una serie di strani episodi che si presentaranno di li a breve. Iniziamo con il dire che in questa avvenuta il tempo è fondamentale. Ogni secondo reale infatti corrisponderà ad un minuto nel gioco. Stare fermi ad aspettare quindi, implica una perdita di tempo che il mondo non può permettersi. Avremo infatti due settimane, solo 15 giorni, per capire cosa sta succedendo e cercare di salvare tutti, altrimenti avremo miseramente perso. Ogni spostamento verso un luogo della mappa implica un tempo. Ogni nostra mossa dovrà essere pianificata con cura e decisa con rapidità, con l’incessante scorrere dei minuti che sarà una delle nostre ansie più grandi.
A rendere il tutto ancor più verosimile e intrigante, questo It Came from the Desert introduce il bisogno fisiologico di dormire ad intervalli di tempo regolari. Cercare di salvare il mondo stando svegli in modo perpetuo ci condurrà unicamente a svenire e a ritrovarci confinati nell’ospedale cittadino, luogo molto meno accogliente di quanto possiate immaginare (Non è strano che nei videogiochi gli ospedali siano sempre dei luoghi orribili?).
L’Ospedale è infatti uno dei luoghi centrali dell’avventura, ogni volta che vi finiremo potremo scegliere se accettare le cure che ci vengono proposte e perdere cosi tempo prezioso, oppure cercare di scappare, dando il via ad uno dei tanti mini-giochi che compongono il puzzle di questo action-horror. Ci troveremo infatti con una visuale isometrica, scappando a dottori e infermieri, nascondendoci nei letti, sotto i tavoli, rubando sedie a rotelle per correre più velocemente. Prendendo scale e ascensori. Il tutto cercando di non farsi vedere o acciuffare. Se infatti veniamo presi saremo sedati e perderemo tantissimo tempo utile a salvare il mondo.
Come abbiamo visto, la peculiarità di questo It came from the desert è quella di unire varie tipologie di gioco in un unica avventura. A fasi di investigazione, con vari scenari da visitare, persone con cui parlare o da interrogare, autorità da avvertire, si alterneranno fasi action, come quella dell’ospedale. Ci capiteranno dei duelli con bande di delinquenti in giro per la città, ci capiteranno sfide in auto, o ricognizioni in aeroplano. L’idea è quella di un vero e proprio open world, molti anni prima che ci fossero gli open world. I nostri primi passi saranno “scientifici”. Cercheremo di contattare l’università e gli altri esperti per renderci conto di cosa sta succedendo. Quando poi il quadro inizierà a delinearsi più chiaramente, la nostra missione sarà quella di convincere il sindaco e le autorità della reale gravità del problema, in modo da richiamare la guardia nazionale e poter pianificare una strenua difesa della cittadina. Questo non è detto che avvenga. Se infatti le prove trovate non saranno sufficienti, semplicemente verremo invasi e spazzati via dal nemico allo scoccare del quindicesimo giorno, e dovremo ricominciare l’avventura da capo.
Molti di voi a questo punto si staranno chiedendo cosa stia effettivamente succedendo a Lizard Breath. E’ presto detto, senza timore di spoiler su un gioco che ha quasi 30 anni. Una colonia di formiche giganti sta proliferando nelle cave minerarie intorno alla città, ed esse sono in grado di modificare i comportamenti degli abitanti della città. La colonia infatti, cercherà di metterci i bastoni tra le ruote in tutti i modi. Spesso ignari cittadini verranno letteralmente posseduti, trasformandosi davanti a noi in formiche assetate di zucchero. A quel punto partirà l’ennesimo mini-gioco, dovremo sparare alle antenne con il nostro revolver a sei colpi. Se riusciremo a salvare l’interlocutore egli ci rivelerà preziose informazioni, se invece non ci riusciremo, ci sveglieremo all’ospedale dopo aver perso tempo presiozo.
Qui vi devo confidare una delle più amare verità della mia vita. Io, che ho giocato questo gioco nella sua versione per Amiga, non sono mai riuscito a salvare il mondo. Ci ho giocato giorni, mesi, anni. Ma non sono mai riuscito a mettere insieme “l’avventura” perfetta.
Ci sono andato vicino, ci ho provato, ma ahimè, salvare il mondo non era proprio affar mio. Per scoprire finalmente come finisse il gioco ho dovuto aspettare che qualche intrepido postasse la soluzione su internet, e questo vi da anche l’idea di come fosse il mondo dei videogiochi prima della rete. In parole povere, se riuscirete a convincere il sindaco, quest’ultimo vi metterà a disposizione la guardia nazionale per proteggere la città dall’invasione delle formiche giganti. Toccherà poi a noi muovere la controffensiva ed entrare nella tana delle bestiacce per piazzare una carica esplosiva in grado di eliminare per sempre il problema.
Tutto facile no? Il mio invito è quello di trovare questa perla e provare a giocarlo e finirlo. Al primo tentativo è praticamente impossibile. Altro che Bloodborne e simili. Nel 1989 c’erano già open world, in tempo reale, con grandi storie sotto e tutto in tre dischetti. Game, set and match.
This post was published on 17 Novembre 2017 14:30
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