Prima o poi dovevo provare un gioco della serie Atelier. Cresciuto a pane e Final Fantasy, ne ho sempre sentito parlare come di un JRPG troppo infantile, limitato o “per donne”. Tuttavia, negli anni la conoscenza dell’IP di Gust è aumentata sempre più in occidente, dove ha riscontrato un apprezzamento crescente. Quasi intimorito dalla soverchiante quantità di giochi disponibili – ben 26 capitoli principali incluso questo, più innumerevoli spinoff e remake – e non particolarmente attratto dalle meccaniche alchemiche, ho sempre desistito dal dare una chance alla serie. Eppure da quando ho scritto la monografia storica su Koei Tecmo è cresciuta in me la curiosità di mettervi mano. Ora quel momento è arrivato.
Con qualche giorno di ritardo, per cui mi scuso, sono pronto a parlarvi di Atelier Yumia: The Alchemist of Memories & The Envisioned Land, 26esimo capitolo principale della serie JRPG sviluppata da Gust e pubblicata da Koei Tecmo. Secondo titolo current gen della serie dopo Atelier Ryza 3, e che sarà seguito entro fine anno dal già annunciato Atelier Resleriana: The Red Alchemist & the White Guardian, questo nuovo gioco opera uno scarto dai paradigmi dei capitoli più classici, offrendo un approccio quasi action-adventure in un mondo aperto, pur senza rinunciare agli elementi classici dell’IP, a partire dall’arte alchemica, stavolta al centro di una narrativa meno sbarazzina del solito.
A spasso nel tempo
Atelier Yumia inaugura un nuovo ciclo narrativo, e per tale ragione perfettamente fruibile dai novizi. L’avventura ci fa vestire i panni di Yumia, alchimista che si unisce a una squadra di ricerca archeologica con l’obiettivo di esplorare le terre in rovina dell’ormai defunto impero Aladdis, in cui apre che proprio l’alchimia abbia giocato un ruolo determinante nel causarne il crollo. Ma il passato è avvolto nel mistero, l’alchimia da allora è diventata un tabù e la memoria di quanto è realmente accaduto è andata perduta – o forse intenzionalmente occultata.
Allo stesso tempo Yumia è alla ricerca di risposte circa la misteriosa morte della madre, da cui ha ereditato l’arte alchemica, e di cui vuol capire fino in fondo le ragioni del sacrificio. La storia del gioco è dunque una ricerca di verità del passato per guarire il presente e dare una speranza al futuro.

Lontana dalle atmosfere più bucoliche e armoniose dei primi giochi, Atelier Yumia tenta di proporre una narrativa mystery in cui il nostro gruppo di avventurieri getta luce su una storia oscura, portatrice di sconvolgenti rivelazioni. Il tentativo, seppur lodevole, è solo in parte riuscito: da un lato perché la scrittura dei personaggi e degli eventi non ha veramente il coraggio – e forse nemmeno l’interesse – a stratificare eccessivamente il racconto o ad articolare psicologie e motivazioni complesse; dall’altro perché il pacing rilassato con cui la trama si dipana tra un’attività e l’altra non permette la costruzione di climax emozionali significativi.
Le premesse per imbastire un racconto di ampio respiro c’erano, ma è evidente che pathos ed epos non siano in cima all’agenda delle priorità della produzione, che preferisce non discostarsi troppo dai canoni rassicuranti di un franchise che fa della coziness la sua ragion d’essere. Come vedremo, questa tendenza coinvolge anche il gameplay. Anche le motivazioni e la caratterizzazione degli antagonisti risente di questo approccio, non avendo abbastanza screentime per svilupparsi come personaggi a tutto tondo e finendo quasi per essere relegati a boss di fine area, senza che si percepisca mai quel senso di minaccia che avrebbero dovuto incutere.
Alchimia in un mondo in rovina
Atelier Yumia è un RPG a mondo aperto in cui viaggeremo in lungo e in largo per gli antichi possedimenti dell’impero Aladdis. L’idea del regno dimenticato e in rovina, separato dal resto del mondo, è un refrain visto e rivisto nella videoludica, dalle opere di Fumito Ueda a quelle di FromSoftware, e di cui abbiamo avuto un altro recentissimo esempio con The Eternal Strands, gioco d’esordio di Yellow Brick Games (capeggiato dall’ex Bioware Mike Laidlaw).

Tale scelta comporta il fatto che ci aggireremo per buona del tempo in scenari decadenti popolati di mostri, edifici diroccati, grotte misteriose e… tantissimi tesori e materiali da trovare. Al suo nocciolo, il gioco rimane incentrato sull’attività alchemica, che consiste nel reperire ingredienti e ricette in giro per il mondo, con cui plasmare ogni sorta di risorsa utile per procedere nell’avventura: da capi d’equipaggiamento a rimedi curativi; da armi magiche a oggetti chiave per proseguire nell’avventura, fino a ritrovati pseudo-tecnologici come componenti energetiche per avviare antichi macchinari.
Oltre al crafting, c’è anche il building: in alcuni luoghi predeterminati potremo allestire dei rifugi improvvisati o dei più ampi campi base, sbizzarrendoci con la costruzione di alloggi, edifici di supporto e mobilia varia. Come per l’alchimia, la costruzione di nuovi oggetti o edifici non può prescindere dal trovare i progetti corrispondenti, anch’essi sparpagliati per il mondo o ottenibili in dono per il completamente di determinate subquest.
Alle missioni di trama principale fa da corollario una pletora di quest secondarie, proveniente tanto di nostri compagni di squadra – il gioco prevede un party di 6 membri che si uniscono noi nel corso dell’avventura – tanto da altri NPC membri del team di ricerca, o appartenenti alle misteriose civiltà in cui ci imbatteremo nelle nostre spedizioni. Si aggiunono poi rompicapo ambientali, minigiochi basati sulla logica, tesori infrattati e incontri casuali con nemici potenti che rilasciano materiali preziosi.
Il risultato è un gioco ricco di attività, che stimola l’esplorazione del mondo in ogni suo piccolo anfratto, sia per soddisfare l’OCD dei giocatori che non possono vivere senza aver cancellato ogni singolo punto interrogativo presente sulla mappa di gioco, sia perché genuinamente divertente nel suo continuo senso di scoperta. Tanto più che il movimento è facilitato da teletrasporti rapidi, funicolari e perfino una moto che ci permette di sprintare per la mappa a tutta velocità.

Riguardo all’alchimia in sé, elemento cardine della serie, l’ho trovata saggiamente equilibrata tra la volontà di non deludere i fan storici e la necessità di non risultare respingente nei confronti dei neofiti. La creazione di preparati alchemici è organizzata secondo un sistema di nuclei (cores), ognuno attivabile con determinanti ingredienti, e che sbloccano funzioni diverse: c’è un core dedicato alla qualità complessiva dell’oggetto, un altro che ne regola l’intensità degli effetti, un altro ancora che ne determina la quantità di slot disponibili (per dotarlo di attributi aggiuntivi) e così via.
Una volta attivati, ciascuno di essi potrà essere potenziato secondo un sistema di analoghi sottoinsiemi specifici, in cui dovremo usare altri ingredienti per aumentare le caratteristiche dell’attributo che vogliamo aumentare, cercando di ampliare la risonanza magica tanto da poter attrarre le particelle di mana che fluttuano attorno agli slot ingredienti, per potenziarne gli effetti.
Scritto così pare arzigogolato, ma visivamente il procedimento è molto intuitivo. Inoltre il gioco dispone di una serie di tutorial molto chiari ed esaustivi, in grado di guidare il giocatore alle prime armi in tutti i passaggi. Quando avrete raccolto centinaia di ingredienti, inoltre sarà molto utile ricorrere alle funzioni di auto-riempimento, che di fatto opereranno la sintesi al posto vostro seguendo gli ordini di priorità che impartirete (ad esempio, prediligere la qualità piuttosto che l’efficienza o viceversa).

Ricorrere all’alchimia non sarà affatto una scelta opzionale: si tratta dell’unico modo che avete a disposizione per migliorare la qualità di armi, oggetti e capi d’equipaggiamento oltre gli attributi base, dunque risulterà fondamentale per avere un assetto da battaglia decente e aumentare notevolmente i vostri parametri di HP, attacco, difesa e velocità. Il tutto con lo scopo ultimo di combattere.
Maghi guerrieri
Se il concept dei primi titoli della serie facevano dell’attività alchemica lo scopo ultimo del giocatore, che doveva elaborare gli artefatti più potenti entro determinati limiti di tempo pena il game over, nel corso degli anni la serie Atelier ha vieppiù ridotto il gameplay time-oriented e slice-of-life virando sempre più sull’esplorazione, l’avventura e il combattimento. In Atelier Yumia questo è divenuto il focus principale dell’esperienza, tanto che l’alchimia è di fatto la fase preparatoria del combattimento. Non voglio fare paragoni impropri tra cose che non centrano nulla, ma se avete presente il minmaxing dei Monster Hunter, in cui l’accurata costruzione della propria build ed equipaggiamento è finalizzata allo scopo ultimo dell’abbattere mostri, in questo gioco l’alchimia ricopre la stessa funzione preparatoria, e il combattimento è il fine ultimo dell’attività di esplorazione e crafting.

Gust si è impegnata per realizzare un combat system che risultasse peculiare, appagante e al tempo stesso accessibile. Per farlo ha optato per un sitema quasi in tempo reale, in cui ogni attacco è seguito da un cooldown più o meno esteso, che fa sì che non si possano spammare troppo i comandi e si debba in egual misura agire e reagire. In battaglia si schierano tre dei 6 membri del nostro party, ma in qualunque momento essi possono essere alternati. Il sistema incoraggia a farlo, tanto più che operando il giusto tempismo di schivata e passando la mano a un altro personaggio, esso può operare un contrattacco devastante contro il nemico di turno.
Gli sviluppatori hanno anche reinventato il classico schieramento su due linee, facendo sì che a seconda della distanza dal nemico, ogni personaggio abbia accesso a differenti set di attacchi; inoltre lo spostamento dalla prima alla seconda linea può avvenire in qualunque momento nel combattimento, ed è utile a evitare determinati attacchi nemici, di cui vediamo anticipatamente il raggio d’azione. Inoltre i mostri hanno debolezze o resistenze specifiche, sia elementali sia riguardo gli attacchi semplici, che possono essere fisici o magici; colpire i nemici con attacchi efficaci può finire per spezzare le loro difese e renderli inermi, permettendoci di scagliare attacchi combinati particolarmente devastanti.
Tutti questi accorgimento trasformano quello che poteva ridursi a puro button smashing in una sorta di action-rhythm, in cui le battaglie assumono un proprio flow per il quale può convenire aspettare che gli avversari lancino il loro attacco, per poi pararlo os chivarlo e rispondere di conseguenza.

Non a caso questo approccio”ritmico” è stato proposto da Gust in modo simile – seppur più semplicisitico e meno rifinito – nel recente Fairy Tail 2 (qui la mia recensione). È come se quel sistema fosse stato una prova generale per il combat system di Atelier Yumia, che ne rappresenta una versione riveduta e corretta. Il divertimento, garantito dalla precedente fase preparatoria alchemica di cui sopra, è garantito anche dagli sfavillanti effetti visivi che vivacizzano ogni singolo scontro -anche troppo a volte, con conseguenti problemi di rumore visivo che copre parte dell’azione nei momenti più concitati.
Il principale limite del sistema non dipende dalla sua costruzione, ma dalla difficoltà del gioco in sé, tarata decisamente verso il basso. A difficoltà Normale la maggior parte degli scontri è una passeggiata, e le bossfights sono spesso più semplici di alcuni incontri casuali! Tutto ciò rischia di trasformare un combat system ben congeniato in un potenziale sprecato, tanto più che la situazione non cambia drammaticamente nemmeno optando per difficoltà massima tra le 4 disponibili.

Questo squilibrio è il limite che contraddistingue l’intera produzione e che impedisce ad Atelier Yumia di raggiungere l’eccellenza: pur risultando un JRPG variegato, zeppo di attività, con una funzione alchemica stratificata e al tempo stesso accessibile e un combat system originale e divertente, il gioco sembra costantemente frenato dal fare il passo un po’ più lungo e ottenere il massimo dalle sue componenti. Forse questa è proprio la cifra stilistica del franchise, a cui il mio occhio di neofita non è abituato. La sensazione però è che l’approccio da cozy game evidente in tante scelte, dall’estetica color pastello alle meccaniche di costruzione, alla narrativa mai davvero drammatica o adulta, cozzi costantemente con il tentativo di creare un JRPG a mondo aperto di grande respiro.
L’approccio action-oriented potrà far avvicinare al franchise un nuovo pubblico, e al tempo stesso l’aver mantenuto i capisaldi dellas erie contribuirà a mantenere affezionata la vecchia guardia. Questa doppia anima deve però trovare una maggior coesione, forse al prezzo di una pendenza più marcata da uno dei due piatti della bilancia, per conferire al futuro della serie un’identità più precisa.
Giudizio finale
Atelier Yumia: The Alchemist of Memories & The Envisioned Land è un valido JRPG basato su una commistione tra le classiche meccaniche crafting della serie e un’iniezione di action-adventure a mondo aperto. Se la commistione funziona e offre una pletora di attività per soddisfare i palati di vari tipi di giocatori, è anche vero che nessuno di questi elementi offre spunti particolarmente brillanti. In questo caso il tutto vale più della somma delle singole parti: il punto di forza del gioco sta proprio nella commistione di meccaniche cozy ed action, che producono un gameplay loop mai noioso e adatto agli approcci più disparati.
D’altro canto, si tratta di una soluzione che ha anche dei limiti evidenti: il livello di difficoltà triviale non è adatto a chi cerca esperienza sfidanti, e il pacing compassato di narrazione ed esplorazione farà scalpitare chi è in cerca di un JRPG dalla storia profonda e dai personaggi memorabili. Pur non raggiungendo l’eccellenza, quindi, il nuovo gioco di Gust è un’esperienza accattivante che non lascia mai con le mani in mano, e rappresenta probabilmente l’episodio più accessibile per chi voglia scoprire una serie JRPG che merita di essere conosciuta.
PRO
- Lunghissimo e pieno di cose da fare
- L'alchimia è sia intuitiva da apprendere sia complessa da padroneggiare
- Il combattimento in tempo reale basato sul posizionamento dà una gradevole spruzzata di azione
- La narrativa è più oscura del solito...
CONTRO
- ...ma rimane molto basilare e non troppo approfondita
- Fin troppo facile, con bossfights triviali
- Il suo pacing estremamente compassato potrebbe far scemare l'interesse prima della fine
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