Spesso ci troviamo a giocare videogiochi categorizzati come “avventure“, ma… Cos’è, precisamente, un’avventura? Secondo la sua definizione più comune e classica, riscontrabile su un qualsiasi dizionario, l’avventura è un avvenimento singolare e straordinario, un viaggio, un’impresa rischiosa ma attraente e piena di fascino per ciò che vi è in essa d’ignoto e di inaspettato. Nei videogiochi, invece, spesso il termine coincide semplicemente con la possibilità di interagire con una storia, avventurosa o meno che sia.
Indiana Jones e l’Antico Cerchio riporta il termine Avventura al suo significato originario, e lo fa con una sontuosità e una maestria che riescono a trascinare il giocatore, un mistero dopo l’altro, in una costante scoperta, in un continuo “gioco altri 10 minuti per scoprire che succede“, trasformando facilmente quei 10 minuti in un’ora.
Lucasfilm, MachineGames e Bethesda hanno confezionato la più classica delle avventure, nonché il più classico degli Indiana Jones; un’operazione monumentale che non solo porta rispetto all’IP originaria, ma la esalta, la riporta in auge più degli ultimi film, e coccola perfino il suo pubblico senza compromettere la natura ludica del medium. In altre parole, se siete appassionati di Indiana Jones, questo gioco è un must buy senza se e senza ma. Se invece siete solo curiosi, troverete comunque pane per i vostri denti.
Abbiamo giocato il titolo grazie a un codice Xbox da Bethesda un paio di giorni prima dell’uscita ufficiale, versione che è stata sfruttata soprattutto per la redazione della soluzione completa, ma l’opera in questa recensione è stata sviscerata anche su PC tramite il Game Pass. Per vedere Indiana Jones e l’Antico Cerchio su PlayStation,invece, dovremo aspettare qualche mese.
Indiana Jones al 100%
Nel suo mondo ordinario, il Professor Jones si sveglia nel suo ufficio all’Università di Princeton, negli USA, per dei rumori sospetti durante una tempesta; scopre, così, che un ladro, un energumeno che parla in latino, si è introdotto nell’edificio e sta rubando un artefatto dalla collezione pubblica dell’istituto. Comincia quindi la caccia all’uomo che porterà il famoso archeologo e avventuriero dalla semplice ricerca di un oggetto rubato, alla scoperta di un complotto nazista durante gli anni ’30 che affonda le sue radici nelle mitologie più antiche dell’umanità, con quel tocco di sovrannaturale che non può mai guastare in un’avventura che si rispetti.
Il disvelamento del complotto segue i passi del giocatore da una scoperta all’altra, da una citazione ai film a un riferimento storico reale, da un personaggio caratteristico e carismatico a un villain manipolatore e contemporaneamente ridicolo (nel senso comico del termine), da un colpo di scena a uno schiocco di frusta, in un’esaltazione continua della storia e dei personaggi che porta con orgoglio la firma di Indiana Jones come icona pop.
Anche compiti e missioni secondarie, nonché le chiacchiere diegetiche di circostanza e i tempietti opzionali, suggeriscono un worldbuilding completamente funzionale a reggere l’immersione in gioco tanto quanto nell’immaginario comune di Indiana Jones. Informazioni e quest che potrebbero sembrare semplici riempitivi fini a sé stessi, si rivelano in realtà un arricchimento dell’avventura principale che colma la sete di conoscenza del giocatore e approfondisce la trama principale quanto le storie del posto, i personaggi incontrati e le diverse ambientazioni che il giocatore si troverà ad esplorare.
Proprio come il Professor Jones ha completo rispetto dei reperti archeologici e delle leggende e storie che scopre, così gli sviluppatori che si sono occupati di progettare il gioco hanno avuto attenzione e rispetto per il personaggio di Indiana e il suo immaginario, nonché per i luoghi reali in cui il giocatore verrà trascinato dall’avventura: il Vaticano, Giza e altre tappe che preferiamo non spoilerarvi. Sia chiaro, Indiana Jones e l’Antico Cerchio non è un videogioco dove si ha possibilità di scelta nei dialoghi né ha trame divergenti, anzi, dal punto di vista della trama è un lungo corridoio, ma è un corridoio pieno di dettagli, ricco di sfaccettature, creato con cura e amore.
Certo, c’è qualcosa di non spiegato nella trama principale e che va per forza pescato da note e compiti secondari per capirlo al meglio, e ci sono giusto due cutscene che, personalmente, avrei preferito giocarle piuttosto che vederle. Ma, in ogni caso, si tratta di piccole inezie e preferenze personali; quel che è oggettivo, è che il lavoro dietro Indiana Jones e l’Antico Cerchio è un lavoro di cuore, che è la cosa più importante, perché senza di esso tutto il resto sarebbe stato come un qualsiasi tie in cinematografico scialbo e asettico come ne abbiamo avuti tanti di recente, senza fare nomi.
In questo contesto, le performance attoriali sono di prim’ordine. Troy Baker non veste solo i panni di Indiana Jones, ma anche quelli del giovane Harrison Ford, l’attore che ha sempre interpretato l’archeologo nei film, riuscendo a rappresentare entrambe le leggende di Hollywood alla perfezione: il classico sorriso da canaglia di Ford, il sarcasmo e le situazioni comiche che distendono la tensione, tipiche dei film di Lucas, il debole per le donne con cui collabora e la paura dei serpenti che caratterizzano da sempre Indiana, tutto è perfettamente fedele ai canoni.
Ad accompagnare Troy Baker c’è la splendida e nostrana Alessandra Mastronardi nei panni di Gina Lombardi, affascinante e intrepida giornalista sulle tracce di una sorella misteriosamente scomparsa, un ruolo da perfetta e sagace co-protagonista del professore. Il duo funziona alla grande, ma non sono assolutamente da meno anche gli altri attori di contorno come il subdolo archeologo nazista Emerich Voss interpretato da Marios Gavrilis o il misterioso Locus, interpretato da Tony Todd. Tra gli italiani troviamo anche Daniele Monterosi, in un ruolo che preferiamo non spoilerarvi, ma che mi ha consentito di tirare più di un sorriso di scherno per la somiglianza comportamentale a un noto politico e imprenditore scomparso negli scorsi anni.
Piccola postilla: purtroppo Alessandra Mastronardi non è riuscita a doppiare la sua voce nella localizzazione italiana per altri impegni attoriali, ma al suo posto c’è la voce della doppiatrice ed ex radiofonica Gaia Bolognesi, che ha comunque svolto un ottimo lavoro. Fa solo strano, per noi che conosciamo bene Alessandra, trovarsi il suo modello 3D con quella che non è esattamente la sua voce… ma ci si fa l’abitudine, come per Harrison Ford che in realtà è Troy Baker!
In giro per il mondo con frusta e cappello
Indiana Jones e l’Antico Cerchio, in breve, è un’avventura in prima persona con un po’ di platforming, un po’ di scazzottate e spari, un po’ di passeggiate stealth e un po’ di enigmi da risolvere. Nessuno di questi elementi però prevarica sull’altro, ma tutti immergono in maniera bilanciata il giocatore in un’avventura che incentiva l’esplorazione e la scoperta.
Il percorso del giocatore è suddiviso in diverse tappe open map, di cui tre sono effettivamente vaste aree in cui si passerà tantissimo tempo a svolgere anche missioni secondarie ed esplorazioni libere. Tutte le tappe, anche le più piccole, offrono in ogni caso un level design che rende l’esplorazione sempre il centro dell’esperienza del giocatore, stimolato continuamente a capire quali appigli usare per farsi leva con la frusta, a studiare i luoghi da lontano prima di infiltrarvisi, a cercare indizi e collezionabili in giro e a risolvere enigmi più o meno nascosti. In particolare, le tre mappe più grandi hanno aree accessibili solo dopo aver compiuto determinate missioni o dopo aver trovato determinati oggetti. Inoltre, travestirsi con gli abiti giusti potrebbe anche dare un grosso aiuto in aree con accessi riservati.
Piattaforme ed enigmi non sono mai troppo palesi, soprattutto da lontano, e spesso in nuove aree mi è personalmente capitato di dover ragionare su come superarle, sentendomi effettivamente in trappola o in un vicolo cieco. Non c’è niente di effettivamente difficile tranne un paio di enigmi, chiariamoci, ma comunque Indiana Jones e l’Antico Cerchio da questo punto di vista resta un gioco che spinge spesso il giocatore a ragionare sul da farsi, sul provare approcci diversi dal solito, e talvolta sul trial & error. A dirla tutta, personalmente avrei preferito, per una maggiore immersione, anche meno interfacce e segnalini – che già son pochi rispetto ad altri giochi moderni, inclusi quelli Bethesda – ma comprendo che il giocatore medio attuale sia poco attento.
Anche il combattimento, tutto sommato, stuzzica continuamente il giocatore alla scoperta e al trial & error, offrendo in giro oggetti diversi con cui mettere KO i nemici e, più in generale, permettendo di affrontare aree con più approcci diversi; in generale, l’approccio faccia a faccia, a testa bassa, è fortemente sconsigliato dal numero soverchiante degli avversari, e infatti quasi ogni area nemica e accampamento sono costruiti in modo da stimolare il giocatore a muoversi con furtività, esplorando, appunto, per trovare i posti migliori da dove colpire inosservato alle spalle o dove nascondere i corpi nemici. Peccato per l’IA avversaria, un po’ troppo sempliciotta e facile da circuire.
Scoperta e avventura accompagnano costantemente il giocatore, anche nel più semplice dei compiti e nel più classico dei meccanismi ludici: il miglioramento delle abilità di Indiana Jones avviene attraverso la lettura di libri che possono essere trovati o comprati in giro, i suggerimenti per la risoluzione degli enigmi arrivano dalle foto fatte all’enigma in questione, gli spostamenti rapidi avvengono tramite cartelli stradali trovati in giro – sebbene avrei preferito una gestione più efficiente di questo aspetto nelle mappe più grandi – e, cosa che più mi ha divertito riguardo la giocabilità di questo titolo, i collezionabili non sono mai solo dei collezionabili e basta.
Ogni oggetto trovato in giro e conservato in borsa è legato a un compito o a un mistero la cui esistenza viene scoperta e sbloccata proprio nel momento in cui l’oggetto in questione è recuperato. Ogni minimo fogliettino di carta apre a nuovi indizi e nuove informazioni, e perfino quei piccoli artefatti che mi sembravano all’apparenza semplici collezionabili, si sono rivelati in realtà chiavi di misteri successivi. Tutti questi oggetti vengono conservati e raggruppati attraverso il diario di viaggio, un modo elegante e perfettamente diegetico di illustrare sia il cammino del giocatore nei panni di Indiana Jones, sia il tracciamento di indizi, misteri e memorabilia varia. Dalle mappe nel diario è possibile poi viaggiare anche verso tappe precedenti, anche perché come in un metroidvania qualsiasi, alcune aree potranno essere meglio accessibili con oggetti e conoscenze acquisiti in scenari successivi.
Un videogioco cinematografico
Sia la versione Xbox che quella PC si sono dimostrate esperienze cinematografiche da godersi in un caso dal divano per una classica esperienza videoludica in comodità, nell’altro da uno schermo ultrawide che ha accentuato e spettacolarizzato i diversi scenari mozzafiato in giro per il mondo. La cura nei dettagli di MachineGames si evince anche dall’attenzione messa nel costruire i paesaggi, le opere antiche e la cultura dei molti posti esplorati… basti pensare che ci sono anche ricette tipiche tra i collezionabili in giro, compresa la cacio e pepe in Vaticano!
Al di là del graficone importante, ho trovato molto performante anche la fisica generale, con i personaggi che si muovono accerchiando gli ostacoli, oggetti lanciabili che finiscono più o meno lontano in base al peso e alla forma, dondolii e arrampicate con la frusta – sebbene sia decisamente una frusta sovrannaturale, lo ammetto – e soprattutto una quantità di compenetrazioni tra modelli 3D veramente ma veramente bassa. A un certo punto mi sono messo ad ammassare i corpi dei nemici mandati KO, per vedere fino a che punto il gioco riuscisse a gestire tutte le collisioni di modelli 3D senza che si arrivasse a un punto di compenetrazione reciproca… Il risultato mi ha lasciato sinceramente stupefatto: forse giusto un paio di maniche su una decina di corpi totali!
In circa 25 ore di gioco sono riuscito a completare tutta la storia principale e tutte le quest secondarie che sono riuscito a trovare, trascurando però parecchi misteri e collezionabili. Per fortuna, gli sviluppatori del gioco hanno tenuto a cuore anche la parte ludica di questa opera, consentendo al giocatore di poter esplorare le vecchie località anche dopo aver completato la storia, proprio in funzione del fatto che misteri, enigmi e aree segrete possono essere sfuggiti mentre si rincorreva la scoperta e il disvelamento della trama.
Nel frattempo, in ogni minima interazione, il giocatore è accompagnato da un sound design ricco di John Williams, i cui archi e fiati sono presenti ovviamente per la leggendaria colonna sonora, ma anche nei diversi feedback da dare al giocatore quando è avvistato da un nemico, quando trova un mistero, quando mette KO un avversario… Per non parlare del fatto che in ogni località del mondo in cui ci troveremo, ci saranno sempre persone del posto a parlare le loro lingue, inclusi brusii di sottofondo che circondano il giocatore nelle aree più affollate. Insomma, l’immersione nell’immaginario di Indiana Jones è completa e totale anche per le orecchie.
La cosa strabiliante di tutto l’apparato tecnico e ludico di Indiana Jones e l’Antico Cerchio, per me, è che sia arrivato in un periodo in cui, teoricamente, il mondo degli scopritori di rovine era già caduto in declino, basti pensare a Tomb Rider prima e Uncharted ora spariti dai radar, opere e saghe leggendarie che hanno avuto ispirazione e origine proprio dai film di Indiana Jones, rubandogli la scena in questo medium per decenni.
Indiana Jones e l’Antico Cerchio prende poco e niente da queste due IP, ma, anzi, reinventa sé stesso in quella che forse è la sua prima avventura videoludica davvero comparabile alla monumentalità dei film. Dei passati videogiochi di Indiana Jones tra gli anni ’80 e i primi 2000, nessuno è mai stato all’altezza della della saga cinematografica. D’ora in poi, invece, saranno i prossimi film, se ci saranno, a doversi misurare con Indiana Jones e l’Antico Cerchio oltre che coi grandi classici. E speriamo che in ambito videoludico ci siano anche dei seguiti su questa lunghezza d’onda!
L’Eredità di Indiana Jones
Indiana Jones e l’Antico Cerchio è più di un videogioco: è un’esperienza che cattura l’essenza stessa dell’avventura e la traduce in forma interattiva con un rispetto quasi reverenziale per l’iconografia del personaggio e del franchise. MachineGames e Bethesda hanno dimostrato che è possibile creare un titolo che non si limita a omaggiare il passato, ma che riesce a inserirsi a pieno diritto nella mitologia di Indiana Jones. Tra paesaggi mozzafiato, enigmi intriganti e una narrazione coinvolgente, l’opera invita i fan vecchi e nuovi a imbracciare frusta e cappello per vivere un’avventura che resta impressa nel cuore. Sicuramente un nuovo standard per i tie-in cinematografici, e un ode senza tempo al più grande archeologo di sempre.
PRO
- 100% Indiana Jones
- Avventura bella lunga e sorprendente
- Level design che incentiva l'esplorazione
- John Williams sempre presente
- Collezionabili mai fini a sé stessi
CONTRO
- IA dei nemici un po' sotto tono
- Sarebbe stato gradito un viaggio rapido più efficiente
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