Il giorno è giunto. Dopo anni dieci anni di lunga attesa, la BioWare rilascia un nuovo capitolo della saga Dragon Age, e prima ancora di essere tra le mani dei giocatori, già manda i primi segnali di pericolo.
Dragon Age Veilguard infatti, era stato annunciato nel 2022 come “Dragon Age Dreadwolf“, e poi rinominato in Veilguard ufficialmente a Giugno 2024. Un cambio di nome a così poco dall’uscita non è un segnale che fa bene sperare. Per non parlare del fatto che della Bioware dei tempi d’oro di Dragon Age Origins e la trilogia di Mass Effect, ormai non è rimasto quasi nessuno.
Però il nostro compito come testata giornalistica, e nello specifico il mio come recensore è quello di informare abbastanza chi legge da prendere un giudizio e ragionare. Dunque metterò da parte il mio passato da amante della saga e indosserò il cappello, per Italianizzare un concetto molto usato all’estero (hat), del recensore.
Seguitemi quindi nei ragionamenti che vi espongo, e vi mostrerò oltre il velo di ciò che Veilguard sembra essere.
Tasti dolenti e diversità
Prima di addentrarci nei dettagli della scrittura, del gameplay e del comparto tecnico e artistico, lasciate che apra e chiuda una parentesi, tanto importante quanto grave.
Chiunque viva le comunità internet internazionali, ma ahimè anche quelle nazionali, avrà sicuramente avuto un assaggio della polemica che Dragon Age Veilguard ha suscitato. L’accusa è quella di essere terribilmente woke. In sostanza, per dirla in pochi termini e in Italiano, di fare propaganda progressista “di sinistra” (concedetemi il virgolettato).
Dragon Age è senza ombra di dubbio di stampo progressista. Ma la saga lo è sempre stata, come in realtà lo sono sempre stati i giochi BioWare. Ai tempi furono tra i primi a introdurre romance omosessuali e personaggi apertamente queer. Quindi una novità questa di certo non è.
Non solo: da un punto di vista di design, per un videogioco, permettere qualsiasi espressione del personaggio e del giocatore è giusto e coerente, e di per sé non politico. Per essere più chiaro: è giusto che un videogioco, di ruolo sopratutto, permetta a chi gioca di impersonare una vasta gamma di sfumature e personaggi diversi.
Assodato che quindi il problema non è la presenza in sé di questi elementi, il nocciolo della questione per Dragon Age Veilguard è un altro, fallisce nel seguire il più basilare dei principi di scrittura: Show, don’t tell, mostrare e non dire.
Le storie, qualsiasi sia esso il formato in cui vengono vissute, hanno un potere di muovere le emozioni e l’animo umano, ma per farlo richiedono di essere eseguite a regola d’arte. Una di queste regole è quella del Mostrare. Dove uno scrittore mediocre racconta le emozioni e le sensazioni, uno scrittore esperto le fa trasparire tra le righe, solleticando la fantasia del lettore. Dragon Age Veilguard fin troppo spesso si dimentica questa regola e racconta, quasi direttamente al giocatore, piuttosto che mostrarlo.
Da infinite ripetizioni artificiose sulla pericolosità del Temibile Lupo, alla ripetizione dei titoli dei PNG che neanche una telenovelas, fino ad arrivare proprio al fatidico elemento dell’inclusività, i casi sono molti.
In Dragon Age Inquisition, gli scrittori avevano introdotto la presenza di individui transgender nella cultura Qunari e gli aveva anche assegnato un nome nella loro lingua. Questa esecuzione, si dice diegetica, banalmente, interna all’ambientazione, funziona ed è narrativamente inattaccabile.
Veilguard invece utilizza linguaggi, modi e messaggi del mondo reale, trasposti senza alcun contesto o spiegazione all’interno del Tevinter, risultando in spocchiosi messaggi diretti al giocatore e non al personaggio.
Questo genere di errori non sono gli errori che uno studio del calibro di BioWare dovrebbe fare. Non solo, paradossalmente trattare così questi temi è pigro, superficiale, controproducente e quasi cringe.
Non tutta la gestione di questi argomenti è però da buttare. La scelta lasciata al giocatore su come il proprio personaggio vive gli argomenti controversi è una opzione molto bella che permette il comfort più totale per tutti i giocatori.
Purtroppo, la gestione di questi temi non è l’unico aspetto pigro della scrittura.
L’Eredità di BioWare
Infatti l’aspetto che più mi ha sorpreso, tristemente in negativo, del gioco è proprio il comparto in cui più speravo: la Scrittura.
La BioWare ha una tradizione storica con le sue storie coinvolgenti, e soprattutto inizi strabilianti. Basti vedere l’inizio di Dragon Age Origins, e anche quello del meno apprezzato Inquisition, della stessa saga, per capire la comprensione che Bioware aveva delle motivazioni del giocatore.
Questa comprensione, in Veilguard è del tutto assente.
Veilguard catapulta il giocatore nel ruolo di “Rook”, un avventuriero il cui passato sarà scelto durante la creazione del personaggio e mai più visto se non citato o usato nei dialoghi succesivi, ma di cui il peso narrativo sarà quasi del tutto assente. Appena il gioco parte, Rook è già qualcuno, ed è già sulle tracce di Solas con Varric, uno dei personaggi più importanti della saga sin dal secondo Dragon Age.
Le prime ore di gioco instillano nel giocatore un senso di urgenza e di importanza che è del tutto artificiale, e non c’è nessun modo in cui le emozioni e il pathos vissuto dai personaggi in gioco possa essere condiviso dal giocatore, nuovo alla saga o veterano che sia. Infatti prima ancora che il tutorial finisca, il mondo è già in pericolo, ma il giocatore non è ancora investito in nessuno dei personaggi, né nel mondo. Questo comporta che tutti i dialoghi iniziali sono macchiati dalla costante sensazione di leggere qualcosa di esageratamente drammatico, e crea una disconnessione tra giocatore e personaggio che il gioco impiega decine di ore a riparare.
Questo pigro prologo ha conseguenze a catena. Infatti il primo scontro contro Solas, il Temibile Lupo, accompagnato da musica epica e disperazione dei personaggi, risulta così fuori luogo da essere quasi comico.
Concedendomi un micro-spoiler delle prime due ore di gioco, “sconfiggere” una divinità elfica con il sabotaggio di una struttura in legno che manteneva una statua fondamentale al rituale è una soluzione così ridicola da completamente cancellare la sospensione dell’incredulità. In quale storia una creatura così potente è sconfitta da qualcosa di così… idiotico?
Proseguendo con il gioco l’intreccio migliora in maniera incerta, non abbandonando mai però la costante sensazione di inseguire il debito di immersione che ha creato all’inizio, e ci sono ponti che non riesce a riparare fino a troppo tardi nella narrazione.
A salvare parte della barca sono alcuni personaggi che mantengono lo spirito di Dragon Age in vita e creano piccoli momenti in cui la serie pare tornare a mostrare le sue caratteristiche principali. Ahimè invece, altri personaggi storici della saga sono rovinati, e appaiono più come una forma complessa di fan-service che come elementi organici della trama. Infatti personaggi come Solas, Varric, Morrigan, sono tutti impoveriti da una scrittura piena di falle logiche. La sensazione a volte è che questi personaggi siano stati sfruttati come tappa buchi “Tanto sono quelli classici della saga e saranno amati a prescindere”. Non pensavo avrei mai odiato Morrigan.
Un altro grande difetto della scrittura di Veilguard è che i dialoghi sono fin troppo esagerati. Nel tentativo di rendere una saga da una storia complessa, facilmente accessibile, alcuni dialoghi di Veilguard sono un po’ troppo irrealistici, come se parlassero più al giocatore che al personaggio. Mi è capitato molte volte di notare delle linee di dialogo messe palesemente per ricordare al giocatore di un elemento di trama o di ambientazione prima di una particolare fight o svolta nell’intreccio, un trucco che le telenovelas usano con la loro audience più anziana. Per caso la BioWare sta cercando di dirci qualcosa?
Tutti questi problemi non fanno altro che affondare altri elementi la cui scrittura è invece positiva, come buona parte delle quest secondarie, degli scorci di lore e soprattutto della scrittura di alcune fazioni e paesaggi che popolano il Tevinter.
La sensazione costante è che la trama principale sia stata scritta e riscritta davvero tante volte, e che a ogni riscrittura, perdesse mordente rispetto al resto del mondo. Anche l’utilizzo degli Eluvian, portali elfici che connettono luoghi e dimensioni, è una scorciatoia narrativa che puzza di Deus Ex Machina. Sostanzialmente funzionano esattamente come gira comodo alla trama, che sia a favore dei personaggi o a sfavore. Tutto ciò fa risultare la trama di Veilguard troppo “ludica”, e sebbene la renda molto accessibile e molto giocabile, spezza la sospensione dell’incredulità troppo spesso.
La nota finale di tristezza indotta dal comparto di scrittura di Veilguard è che tutto il progresso ottenuto nei giochi precedenti è completamente sovrascritto e riassunto tristemente da alcune semplici scelte, che rimuovono completamente il peso delle scelte di Origins, e riassumono troppo quelle di Inqusition.
Ci sono molti altri elementi problematici della scrittura, da romance prive di peso, connessioni tra personaggi sviluppate troppo in fretta, e temi trattati in maniera quasi infantile e paternalistica, ma se parlassi di tutti, la recensione sarebbe chilometrica.
Dinamico, veloce… monotono?
Il comparto di gioco è invece forse la parte che funziona meglio del gioco. Le classi disponibili per Rook, Guerriero Ladro e Stregone si dividono a loro volte in tre sotto categorie molto diverse tra loro, con abilità combinabili.
Tra tutti i sistemi di Dragon Age di level-up questo è forse uno di quelli che funziona meglio, lasciando al giocatore una soddisfacente sensazione di crescita e scoperta.
“Accessibilità” è la parola chiave del gioco: da transmog facilmente accessibile, a riassunti a ogni missione, codex e diario chiari, Dragon Age Veilguard crea una delle esperienze di più facile uso attualmente disponibili sul mercato.
La semplificazione degli elementi tipi dei GDR a favore dell’accessibilità è generalmente eseguita con una buona conoscenza del genere, e l’astrazione che ne consegue non snatura quasi mai il gioco.
Il sistema di combattimento è piacevole, frenetico e bilanciato. Tutti i personaggi possiedono due modalità di attacco e tre abilità attive (più varie varianti, rune, poteri ecc). Le abilità infliggono danni, curano o applicano stati. Gli stati combinandosi possono causare effetti potenziati e sfruttare le vulnerabilità dei nemici. Questo comporta che per alcune missioni esistono party ottimali e set di abilità più efficaci, spingendo il giocatore anche a variare i companion.
Le animazioni sono belle, sceniche, anche se forse un po’ esagerate, ma purtroppo monotone. L’animazioni per l’attacco finale, per l’esecuzione dei nemici e per le abilità sono sempre le stesse. Quindi i combattimenti contro minion, demoni e banditi minori, risulteranno tutti copie della stessa esperienza. Inutile dire che da un GDR AAA ci si aspetta una produzione di natura differente.
I livelli del gioco sono stratificati e portano spesso il giocatore a fare backtracking per tornare quando le zone si sbloccano, gestendo bene l’agorafobia tipica dei GDR quando si aprono. I corridoi e le aree aperte che compongono le città, le foreste e i dungeon del Tevinter sono piene di scrigni, segreti e piccoli tesori, trasformandole in gigantesche cacce al tesoro a discapito dell’immersione.
Insomma in giro per il Tevinter c’è un Rook che depreda ogni angolo del mondo, in cui smemorati cittadini lasciano bauli pieni di monete e ninnoli, comodo!
Un passo avanti e due indietro
Dragon Age Veilguard fa la scelta coraggiosa di re-immaginare molti aspetti estetici e grafici del Tevinter e della saga. La qualità di questi re-design è altalenante. Laddove ad esempio gli spiriti e i demoni hanno ricevuto un giusto cambiamento, anche se può non piacere, la prole oscura è stata semplificata diventando quasi zombie asettici e i Qunari… I Qunari sono stati completamente macellati diventando modelli di Balenciaga Fantasy.
Laddove Dragon Age Inqusition aveva faticato molto per costruire una cultura dietro i Qunari e renderli interessanti se non una delle culture più interessanti del capitolo precedente, Veilguard vanifica completamente questi progressi anche dal punto di vista estetico.
Oltre le scelte stilistiche la grafica del gioco è piacevole alla vista, e sebbene ci siano diversi scorci piacevoli, il livello generale risulta molto fumettoso, quasi fosse uno stile pensato per una serie animata, o gioco Mobile, piuttosto che un videogioco classico, con l’illuminazione di alcuni luoghi spesso accentuata ed esagerata.
Tutto sommato il gioco è piacevole alla vista, ma soffre di importanti cali di Framerate, con tanto di DLSS e Frame Generation, scendere sotto i 60 frame al secondo in 2K su una 4070ti non è il massimo dell’ottimizzazione.
Anche il comparto sonoro ha perso molto del carisma che i vecchi capitoli avevano. Mancano canzoni del calibro di “Grey Warden” o il Main Theme di Origins, che se chiudo gli occhi posso ancora sentire e ascoltare le emozioni che portava con sé.
Conclusioni
Dragon Age Veilguard aveva un grande peso sulle spalle, proseguire una saga che ha fatto la storia del videogioco e del gdr fantasy. L’intreccio pigro è scritto male ed eseguito peggio, impedendo di godere anche dei momenti in cui la scrittura recupera, e molti dei re-design che Veilguard porta con sé uccidono del tutto quella che era la saga di Dragon Age, di cui in Veilguard c’è poco più del nome. L’esperienza in totale rasenta la mediocre sufficienza, portata avanti da un sistema di gioco solido ma che risulta carente in modi in cui una produzione AAA non dovrebbe mai essere. Temo dunque che: no, BioWare non è tornata ai fasti di un tempo.
PRO
- Scorci e paesaggi classici dell'amatissima saga
- Un combattimento veloce e frenetico
- Tanta accessibilità e opzioni per il personaggio
CONTRO
- Scrittura pigra e pathos quasi sempre sbagliato
- Dialoghi non organici o naturali
- Intreccio iniziale pieno di falle
- Assenza totale dello Show Don't Tell
- Animazioni troppo ripetute per essere un AAA
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