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The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom | Recensione | L’unico limite è la fantasia

Tutto il mondo è un palcoscenico” con queste semplici parole il signorotto Jacques arricchisce il suo monologo in Come vi piace, commedia pastorale del 1600 di William Shakespeare, paragonando la vita reale a finzione, ma allo stesso tempo dando un forte esempio di quella tecnica passata alla storia come metateatro, ovvero teatro oltre il teatro, del quale lo stesso drammaturgo di Stratford era un maestro, ispirandosi al teatro dell’Antica Roma e ispirando a sua volta il mondo dell’intrattenimento del futuro del quale fa parte anche Eiji Aonuma che molto probabilmente ha pescato a piene mani dal metateatro per la sua nuova creazione The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom.

Questa volta però non parliamo di una commedia teatrale o di palcoscenici, ma di un videogioco e di un mondo di gioco che si può plasmare a proprio piacimento andando oltre le pareti del gioco stesso, sia in senso letterale che figurativo, costruendo quello che attraverso una sorta di neologismo potremmo chiamare un metavideogioco. Aonuma ci aveva abituati bene con le precedenti iterazioni di Breath of the Wild e Tears of the Kingdom, ma la frase chiave è sempre la stessa: non c’è mai limite alla fantasia.

Echoes of Wisdom è l’esempio perfetto di quanto appena detto: la Hyrule che abbiamo potuto esplorare liberamente attraverso un’espressione open world nei precedenti due titoli della saga su Nintendo Switch, in questa nuova avventura torna alle caratteristiche di un tempo fatta di percorsi stretti, ostacoli e mappe istanziate, ma nonostante questo non regredisce dal punto di vista delle possibilità di esplorazione e delle meccaniche di gameplay creando un gustoso mix di esperienze passate e contemporanee.

Una nuova minaccia incombe su Hyrule

Le intenzioni di ribaltare la situazione e di raccontare una storia totalmente nuova si comprende già dall’incipit di Zelda: Echoes of Wisdom che fa da prologo a tutto quello che accadrà nel corso della storia raccontata all’interno del gioco; il giocatore viene messo subito di fronte a qualcosa di familiare ovvero il prode spadaccino Link che si addentra nella dimora dell’arcinemico Ganon per salvare la Principessa Zelda, una scena che è stata rimescolata in tante salse diverse nel corso della saga, ma che stavolta ha un epilogo totalmente nuovo: Link perde, non riesce a salvare Zelda e viene intrappolato all’interno di quello che verrà presentato come il vero antagonista del gioco ovvero il Mondo del Nulla.

Hyrule viene improvvisamente invasa da squarci di colore viola da cui fuoriesce energia malvagia e nemici molto più potenti e aggressivi rispetto a quelli ai quali siamo stati abituati nel corso dei capitoli della saga e con Link fuorigioco il destino è proprio nelle mani di Zelda che, riuscita a liberarsi dal cristallo che la teneva imprigionata grazie a un ultimo sforzo del prode spadaccino, parte per la sua avventura con un duplice obiettivo: liberare il suo Regno dalla malvagità e salvare il suo eroe incappucciato invertendo di fatto il proprio ruolo con quello di Link.

Zelda dovrà esplorare gli squarci per trovare un modo di richiuderli e salvare Hyrule

Al di là della trama in sé, che comunque è interessante seppur trovandosi sulla stessa linea delle altre narrazioni vissute nei precedenti capitoli, ciò che mi preme puntualizzare è la sensazione di minaccia e pericolo che si prova continuamente durante l’esplorazione di Hyrule: in ogni nuovo percorso, in ogni villaggio e in ogni zona del Regno si avverte la tensione per la presenza degli squarci che fanno percepire al giocatore quel senso di inquietudine che gli stessi abitanti di Hyrule stanno provando in quei momenti.

Attraverso dialoghi sempre sul pezzo e un world building curato alla perfezione, tutti gli abitanti dei villaggi esprimono il loro parere e i loro pensieri su quello che sta accadendo a Hyrule durante la nostra avventura, tra l’altro non utilizzando quasi mai frasi fatte e generiche, ma fornendo al giocatore informazioni sempre utili soprattutto sul modo di vivere situazioni di pericolo da parte dei vari popoli di Hyrule che, per chi ha giocato tanto alla saga di Zelda, sa perfettamente che sono tanti e molto diversi fra loro non solo dal punto di vista estetico, ma anche e soprattutto della caratterizzazione.

La fatina Tri sempre pronta a dare una mano

Il giocatore, nei panni della Principessa Zelda, si ritrova dunque a vagare per tutta Hyrule cercando informazioni dai vari popoli e abitanti del Regno pur di combattere la minaccia del Nulla che, come accennato in precedenza, incute davvero timore: non è solo questione di suoni particolari e colori tenebrosi, ma la paura comune di ogni abitante è sottolineata dal fatto che questi enormi squarci distruggono le case e, molto spesso, risucchiano persone al loro interno.

Una Principessa non può certamente sporcarsi le mani

Una volta tuffati nella trama di gioco e aver vissuto il primo vero ribaltamento di fronte operato dagli sviluppatori ci si trova di fronte a un dilemma: come può Zelda combattere le minacce che ha sempre combattuto Link con la sua spada e il suo scudo? Ed è qui che parte la magia di Echoes of Wisdom: Aonuma poteva decidere di dare alla Principessa la possibilità di combattere all’arma bianca come il protagonista della saga, ma così facendo avrebbe ridotto a Zelda a semplice skin alternativa e il gioco sarebbe diventato, almeno dal punto di vista del combat system, molto simile al remake di Link’s Awakening, ma sappiamo che al game director di The Legend of Zelda le situazioni semplici non piacciono.

La Principessa protagonista non può certamente sporcarsi le mani e allora, grazie all’aiuto della fatina Tri e del suo bastone magico, Zelda può evocare nel mondo di gioco oggetti e creature per combattere le minacce rivoluzionando, ormai è prassi per la saga, il sistema di combattimento: utilizzando un gergo da gioco di ruolo si potrebbe dire che dalla classe guerriero si passa alla classe del summoner/evocatore utilizzando i propri minion per abbattere i nemici piuttosto che attaccarli personalmente.

Il bastone di Tri, la vera arma di Zelda

Un combat system del genere apparentemente potrebbe sembrare noioso dato che non si partecipa attivamente alla battaglia, ma chiaramente non lo è proprio grazie alle scelte di design del team di sviluppo: è vero che Zelda non attacca i nemici direttamente, ma il giocatore partecipa comunque attivamente al combattimento cercando di posizionare le proprie pedine in posizioni strategiche per cogliere di sorpresa i nemici, ad esempio mi sono ritrovato più volte a richiamare e riposizionare una miniatura sul terreno di gioco più volte per evitare l’attacco nemico oppure per posizionarlo alle spalle di un grublin con lo scudo per scardinare le sue difese.

Combattere i nemici in Echoes of Wisdom è davvero soddisfacente anche per chi magari non ama troppo lo stile da evocatore non solo per quanto appena detto dato che si possono mettere in atto tantissime strategie diverse sia in base al posizionamento delle miniature, ma anche e soprattutto in base al tipo di miniatura che si evoca dato che il gioco è pieno zeppo di nemici che possono essere registrati ed evocati tra vecchie conoscenze del mondo di Zelda, come i Grublin o gli Octorok, ma anche totalmente inediti.

Non sempre scegliere il minion più forte e resistente è la scelta giusta, dato che a volte anche dal punto di vista della scelta delle pedine da mettere in campo bisogna ragionare: per i nemici volanti è necessario l’utilizzo di minion volanti oppure di minion con colpi a distanza, in altri casi bisogna preferire la quantità piuttosto che la qualità è dunque evocare magari creature che hanno un costo minore per averne di più sul terreno di gioco piuttosto che evocarne solo uno con un costo maggiore.

La strategia è l’arma vincente per battere i nemici

Questo ci fa capire come il combat system del gioco, che comunque non è l’aspetto di gameplay principale di Echoes of Wisdom ma solamente un contorno, è stato studiato in maniera molto approfondita per non dare ai giocatori il semplice contentino di poter menar le mani e acquisire i drop e i tesori dopo aver sconfitto un gauntlet di nemici, ma costruire uno scheletro di meccaniche volte al combattimento da far invidia ai giochi di ruolo strategici, chiaramente con l’aggiunta di poter dare completamente carta bianca al giocatore che può sopraffare le minacce in tantissimi modi diversi e con questo ci colleghiamo al vero cuore del gameplay di The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom, ovvero le repliche.

Una tavola imbandita sulla quale dare sfogo alla propria fantasia

Tornando all’incipit di questa recensione ho parlato di metateatro, ma non ho ben specificato il perché venisse utilizzata questa tecnica: l’intenzione dei drammaturghi e commediografi dell’epoca era quella di assottigliare sempre di più la parete divisoria che c’era tra la finzione del teatro e la realtà della vita, quella che oggi viene chiamata in gergo “sfondamento della quarta parete” dove gli stessi attori o personaggi di finzione sono consapevoli del loro stato e lo comunicano direttamente al pubblico senza mezzi termini.

The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom è consapevole di essere un videogioco, ma proprio come nel metateatro, anche in questo caso la finzione, rappresentata dal gioco stesso, comunica con il pubblico che in questo caso è il giocatore fornendogli tutti gli strumenti per interagire con esso che vanno ben oltre il semplice rapporto di causa-effetto che c’è tra il premere un pulsante sul Joy-Con e vedere i personaggi sullo schermo agire di conseguenza.

Aonuma, insomma, l’ha fatto ancora: ha ideato un gioco dove tutto è possibile, dove è il giocatore a essere totalmente padrone del suo destino, dove il confine tra quello che il giocatore desidera e gli impedimenti strutturali del level design e del game design è talmente labile che talvolta è praticamente impercettibile. Un gioco oltre il gioco, un metavideogioco, ritornando a utilizzare il neologismo citato in introduzione.

Se avete giocato Tears of the Kingdom penso abbiate già in mente dell’aspetto appena citato, ma ciò che ha realizzato questa volta il team di sviluppo è ancora una volta geniale: in TOTK il giocatore ha a disposizione un mondo piuttosto vasto, una sorta di “arena ludica” dove sperimentare le proprie azioni combinando le più disparate abilità per cercare di arrivare alla soluzione nel modo più fantasioso possibile, un aspetto che chiaramente viene ripreso anche da Echoes of Wisdom con l’unica e sostanziale differenza che non c’è un mondo aperto libero bensì una mappa chiusa (o apparentemente tale) molto più simile a Link’s Awakening e ai giochi “classici” della serie di Zelda.

Replicare dei letti è molto utile per creare ponti… o per farsi un riposino

Il giocatore viene subito spronato a familiarizzare con le repliche, ovvero oggetti del mondo di gioco che Zelda può registrare attraverso il bastone di Tri ed evocare ovunque e in qualunque momento: si tratta di una meccanica molto simile a quella delle miniature per il combattimento che abbiamo già spiegato in precedenza, ma se in quel caso si ha una profondità strategica, in questo caso abbiamo una profondità creativa senza confini.

Nelle ore iniziali del gioco e con poche repliche a disposizione l’unico utilizzo di questa meccanica è prettamente esplorativo: è possibile ad esempio posizionare un tavolino per raggiungere un’altura oppure creare una scaletta o un ponte con una serie di letti per collegare due pilastri troppo lontani fra loro per essere raggiunti con un semplice salto, insomma una naturale conseguenza dell’acquisizione della meccanica principale di gameplay, ma questo è solamente un piccolo assaggio di quello che si può fare all’interno di Echoes of Wisdom.

Ben presto vi renderete conto che il gioco è totalmente nelle vostre mani e che l’unico ostacolo è solo la vostra fantasia: avete presente i grossi alberi che spesso vengono posizionati ai confini della mappa per dividere le varie aree di gioco e che, in generale, non possono essere superati? Appunto, in generale, non possono essere superati, ma in Zelda: Echoes of Wisdom basta impilare una serie di letti, creare una scalinata con casse e tavolini oppure ancora generare un ascensore improvvisato fatto di blocchi d’acqua ed ecco che ci si ritrova a camminare sulla cima di questi alberi fino a raggiungere un’altra area della mappa tagliando totalmente la strada, evitando magari gauntlet di nemici e labirinti esplorativi, distruggendo completamente il level design: un aspetto fortemente voluto dagli sviluppatori.

Questo è solo un singolo esempio di una marea di possibilità perché l’aspetto più interessante di questa meccanica non è solamente il fatto che puoi “rompere il gioco”, ma proprio il fatto che le possibilità sono davvero tantissime e ogni giocatore, in base al suo livello di fantasia e creatività, può trovare un modo sempre diverso per tagliare il percorso, risolvere un’enigma ambientale, battere un nemico o semplicemente per muoversi più velocemente sulla mappa di gioco.
Echoes of Wisdom è l’esame finale di creatività mettendo continuamente alla prova la fantasia del giocatore che può scegliere se risolvere un problema posto dal gioco (che sia enigma, nemico o ostacolo ambientale) in maniera standard oppure in un modo super creativo, ma la frase chiave in tutto questo è sempre la stessa: non esiste mai un singolo modo per risolvere il problema.

Chissà come raggiungere quel forziere

Giocare con le repliche è la parte più divertente di Echoes of Wisdom proprio perché in questo titolo conta molto di più il viaggio rispetto alla meta, conta molto di più lo sforzo creativo per arrivare a un obiettivo piuttosto che l’obiettivo stesso. Premesso che il sistema di ricompense è comunque molto soddisfacente dato che il mondo di gioco è disseminato di oggetti da raccogliere, la parte più divertente e stimolante nel risolvere un’enigma ambientale o raggiungere un posto apparentemente irraggiungibile sulla mappa non è il raggiungimento stesso di questo obiettivo bensì tutto il pensiero logico-creativo che c’è dietro nel posizionare le repliche in modo tale da creare una soluzione quanto più fantasiosa possibile, ma allo stesso tempo pratica e utile.

Lo spirito di Echoes of Wisdom voluto da Aonuma è proprio questo: le repliche sono come i colori su una tavolozza che il pittore, in questo caso il giocatore, può utilizzare come preferisce per dipingere la tela bianca che è rappresentata dal gioco stesso ed è proprio il giocatore a scegliere se utilizzare un singolo colore, un mix di colori oppure lanciare l’intera tavolozza sulla tela per ideare qualcosa di astratto e, per forza di cose, estremamente personale.

Nonostante questo aspetto, però, il gioco è costruito alla perfezione: gli sviluppatori hanno previsto davvero tutto e qualsiasi azione compiuta dal giocatore attraverso le repliche, anche quelle che rompono totalmente il level design, non vengono punite dal gioco, anzi piuttosto vengono premiate sottolineando ancora una volta come questo modo di giocare sia stato fortemente voluto dagli sviluppatori che si sono allo stesso tempo tutelati mediante un piccolo espediente per evitare problemi irreversibili: non tutto si può replicare, ma solo specifici oggetti che sono segnalati da un’aura luminosa.

Questo, però, è un falso problema: in tutta l’avventura principale di gioco, tra mostri e oggetti inanimati, sono oltre cento le repliche che è possibile registrare con il bastone di Tri e alcune di queste saranno molto più utili rispetto ad altre dunque non è assolutamente un problema il fatto che non tutto si possa replicare, ma come detto in precedenza è solamente una piccola tutela che gli sviluppatori hanno inserito per evitare sia la distruzione totale del gioco da parte dei giocatori più smanettoni sia la dispersività per le troppe soluzioni a disposizione.

Le variabili a disposizione, però, non sono chiaramente terminate qui e il giocatore-artista non ha solo a disposizione la tavolozza di colori delle repliche, ma anche un nuovo strumento attraverso il quale dipingere la tela del gioco: il bastone di Tri, infatti, non è solamente in grado di registrare e creare le repliche, ma anche di utilizzare la cosiddetta “Sincronia” che permette di agganciare un oggetto o un mostro e trascinarlo verso di sé oppure spostarlo a piacimento sulla mappa di gioco.

Il gioco ti introduce a questa meccanica spiegando che si tratta di uno strumento utile per risolvere i puzzle ambientali, il che è sicuramente vero, ma ben presto ci si renderà conto che, come ogni elemento all’interno di questo gioco, può fare molto di più: attraverso la Sincronia, ad esempio, si può agganciare un nemico e lanciarlo giù da un burrone per evitare il combattimento oppure si può utilizzare un grosso masso per lanciarlo addosso a un gauntlet di mostri e ammazzarli in un colpo solo.

Vi farò un esempio pratico basato sulla mia esperienza personale per comprendere meglio le potenzialità di questa meccanica: in un particolare dungeon sono presenti dei cannoni che sparano un getto d’aria che spingono Zelda nel vuoto; in questo caso la soluzione più immediata è chiaramente quella di posizionare un ostacolo davanti al getto d’aria per permettere a Zelda di passare indisturbata, ma io ho utilizzato la Sincronia per agganciare il cannone e gettarlo in un burrone e questo è solamente un assaggio di tutto ciò che si può fare all’interno del gioco combinando le varie meccaniche di gameplay.

Esplorazione, enigmi, collezionismo: apoteosi della soddisfazione

La tela bianca del pittore, utilizzando la metafora citata in precedenza, deve però essere robusta e resistente per far esprimere al meglio la creatività dell’artista e Zelda: Echoes of Wisdom ne è la completa dimostrazione. Tutti gli strumenti dati in mano al giocatore mediante il sistema di miniature e repliche si incastrano alla perfezione in un level design pensato nei minimi dettagli e talmente profondo da dare al giocatore la continua sensazione di essere sempre di fronte a nuove sfide da affrontare dato chiaramente dalla profondità dai concetti di esplorazione e scoperta che da sempre caratterizzano i giochi della serie di The Legend of Zelda.

La mappa di Hyrule è molto vasta, ma nonostante questo non è mai dispersiva dato che ogni parte del mondo è ben caratterizzata e si distingue da tutte le altre, inoltre, non dà mai la sensazione di essere solamente una distesa vuota nella quale vagare fino al prossimo punto d’interesse dato che ogni tre passi ci si ritrova di fronte a qualcosa da fare: un dungeon, un gauntlet di nemici con relativo tesoro, un puzzle ambientale, un villaggio da esplorare, uno squarcio da richiudere, una quest da risolvere oppure semplicemente un’area nella quale sperimentare l’utilizzo delle repliche nella maniera più fantasiosa possibile.

L’esplorazione, inoltre, non è mai fine a sé stessa dato che in The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom c’è pane anche per i più infervoriti collezionisti: accanto alle intramontabili Rupie che è possibile utilizzare come al solito per acquistare oggetti nei negozi dei villaggi, esplorare a dovere la mappa e ogni dungeon garantisce al giocatore una serie di premi molto soddisfacenti come ad esempio frammenti di cuore che ricaricano e allungano la vita di Zelda, ingredienti per la creazione di bibite, utili a ricaricare la vita o a dare particolari buff oppure particolari oggetti d’equipaggiamento che aggiungono abilità peculiari alla protagonista.

Il concetto di esplorazione in Echoes of Wisdom, dunque, non è solo un mezzo attraverso il quale raggiungere la prossima meta come un villaggio o uno squarcio da richiudere per far andare avanti la trama di gioco, ma il giocatore è spinto da tantissimi motivi diversi per procedere nella mappa di Hyrule: oltre a tutto quello che abbiamo detto in precedenza, infatti, è presente un altro espediente che spinge il giocatore a esplorare al 100% il mondo di gioco, ovvero i timbri che sono sparsi in tutta la mappa e che possono essere scovati solo dai più abili esploratori.

Ultima considerazione, ma chiaramente non per importanza, il giocatore è spinto a esplorare anche semplicemente per registrare quante più repliche possibili: alcuni mostri e oggetti, infatti, non sono ricorrenti, ma sono unici e si trovano in determinate porzioni di mappa e dunque anche il semplice desiderio di collezionarli tutti è sicuramente l’arma in più che spinge il giocatore a viaggiare in lungo e largo per la mappa di Hyrule.

L’unico appunto da segnalare per quanto riguarda l’esplorazione è relativo alla velocità di spostamento all’interno degli spazi esterni della mappa di Hyrule che non sempre è brillante, avrei preferito un sistema molto più rapido per percorrere la mappa di gioco soprattutto in zone già esplorate e che dunque non hanno bisogno di essere attenzionate a dovere: è vero che dopo poche ore di gioco è possibile sbloccare il cavallo, ma è anche vero che è molto difficile da governare e soprattutto se ci si teletrasporta o ci si allontana troppo dal punto dove l’abbiamo lasciato non ci segue e non c’è un modo per richiamarlo, costringendoci a fare a piedi la strada a ritroso.

Per questo motivo il cavallo non l’ho praticamente mai utilizzato per esplorare e, anzi, è preferibile usare un sistema di repliche per spostarsi più velocemente all’interno della mappa di gioco come tavolette volanti oppure getti d’aria, oppure attraverso i pilastri di teletrasporto che sono sparsi su tutta Hyrule.

Come entrare in un parco giochi per i propri occhi

Il contenuto è, dunque, di altissimo livello, ma adesso è arrivato il momento di parlare della forma esteriore di The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom e di tutto ciò che concerne il reparto grafico, tecnico e sonoro di questa nuova iterazione della saga della Triforza. Aonuma e soci hanno scelto di rompere la linea di continuità che era stata generata con Breath of the Wild e Tears of the Kingdom dal punto di vista dello stile grafico e artistico facendo un passo indietro e pescando a piene mani dal remake di Link’s Awakening pubblicato proprio a cavallo dei due capitoli citati poc’anzi, ma questa volta applicandolo a un titolo totalmente inedito della saga.

L’esperimento, come spesso accade ultimamente quando si parla di Zelda, è riuscito alla perfezione: nonostante si facesse fatica a immaginare un gameplay innovativo (come quello visto in Tears of the Kingdom) in un gioco non open-world e soprattutto con uno stile così “giocattoloso” alla fine il tentativo di commistione tra innovazione e tradizione è riuscito alla perfezione, anche perché lo stile grafico pur apparendo meno realistico agli occhi del giocatori, si prende molto sul serio con animazioni curate nel dettaglio ed espressioni facciali che lasciano intendere tutte le emozioni provate dai personaggi.

La musica, affidata al compositore Masato Ohashi che aveva già lavorato alla colonna sonora di Tears of the Kingdom e alla compositrice Manaka Kataoka che invece aveva curato le musiche di Breath of the Wild e relativo DLC, richiama vecchi temi del passato che ritornano in pompa magna mixati con sottofondi musicali innovativi che riescono a rievocare nel giocatore sempre le sensazioni adatte all’ambiente che sta esplorando: mistero all’interno dei dungeon, relax negli ambienti esterni di Hyrule e paura e timore all’interno degli squarci; inoltre, soprattutto il tema principale del gioco che si può ascoltare nelle lande esterne del Regno è molto orecchiabile e ti resta impresso nella mente anche dopo aver spento il gioco.

Durante l’intero gameplay, inoltre, non ho riscontrato bug e glitch di sorta e il titolo è fluido e senza imperfezioni anche in modalità portatile su Nintendo Switch Lite; l’unico aspetto particolarmente fastidioso l’ho riscontrato nel posizionamento delle repliche che molto spesso compaiono in punti casuali e non nel punto esatto dove si mira con il bastone: questo nella maggior parte dei casi non è assolutamente un problema che inficia il gameplay dato che basta spostarle o rievocarle, ma in alcuni casi sono finito all’interno di un burrone o nel fuoco proprio a causa di questa situazione scomoda.

Conclusione

The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom non è solamente un perfetto mix di elementi tradizionali e innovativi nella storica saga, ma è la definizione per antonomasia di ingegnosità e originalità in tema di game design. Aonuma è riuscito ancora una volta a sorprendere tutti ideando un videogioco che apparentemente può sembrare uno spin-off tiepido dopo il duplice colosso rappresentato da Breath of the Wild e Tears of the Kingdom, ma che in realtà nasconde delle potenzialità enormi e che, ancora una volta, allarga sempre di più le sue vedute ogni volta che un giocatore scopre un nuovo modo per vivere la sua esperienza assolutamente personale.

This post was published on 5 Ottobre 2024 21:00

Salvatore Montagnolo

Nasce il 21 maggio 1996 a Napoli e cresce con la passione per i videogiochi e per tutto ciò che c'è di tecnologico nel mondo. Preme il suo primo tasto "START" all'età di 6 anni con Crash Bandicoot per l'inizio di una grande avventura all'insegna di console, comandi e schermi.

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