Una delle mancanze nel panorama videoludico attuale è sicuramente una IP come Kingdom Hearts, al momento relegata a una o più collezioni di vecchi titoli riproposti in diverse salse mentre l’ultimo capitolo si è rivelato al mondo nel 2019. Ma nuovi giochi su quello stile, quanti se ne sono potuti contare nel corso degli anni? Sicuramente molto pochi. Per chiunque soffra questa assenza nel proprio cuore e nei propri scaffali, per fortuna ci ha pensato in una qualche maniera lo studio di sviluppo giapponese FURYU corporation con Reynatis.
Grazie a NIS America che ci ha fornito una chiave di gioco per PlayStation 5 nelle scorse settimane, ho avuto l’opportunità di camminare per le strade di una Shibuya, un quartiere metropolitano di Tokyo, che fa da teatro a uno scontro di ideali e di tensioni sociali dovuti alla presenza della magia nel mondo reale: Reynatis è un Action RPG di stampo urban fantasy dichiaratamente ispirato a Kingdom Hearts stando alle parole degli sviluppatori… forse un po’ troppo, per certi versi; nel complesso mi è sembrato un titolo con meccaniche di combattimento davvero interessanti e divertenti, ma certi ambiti del gioco credo guardino un po’ troppo al passato, ancorandosi con arroganza a standard di qualche generazione fa.
La trama di Reynatis ruota attorno a due protagonisti principali, entrambi nella stessa condizione (sono considerati dei maghi), ma con visioni del mondo opposte: Marin Kirizumi è un giovane mago ribelle che desidera liberarsi dall’oppressione della MEA, una forza governativa che cerca di limitare e controllare la magia nel mondo, mentre Sari Nishijima è un’agente della MEA che cerca di mantenere l’ordine in un mondo in cui la magia è vista come una minaccia. A fare da contorno, da un lato e dall’altro lato della barricata c’è una pletora di personaggi che possono essere utilizzati anche in party, ognuno con le sue abilità peculiari; e a rendere il tutto più piccante, non mancano fazione terze come gli Owl, ossia “i gufi”, e la Gilda.
La trama nelle mani del giocatore procede lentamente come un valzer, passando continuamente da una prospettiva all’altra, da una schiera di personaggi all’opposta, fin dalle fasi di tutorial. È un inizio lento, frenato anche da un gameplay fatto di fasi esplorative non propriamente all’altezza – ma ci arriveremo dopo; quando tutto inizia a convergere e quando ogni possibilità di gameplay è sbloccata, la storia diventa un gradevole sottofondo agli scontri. Il continuo contrasto libertà contro oppressione, luce contro ombra, è sicuramente uno spunto familiare per chi ha apprezzato Kingdom Hearts.
Il concerto di punti di vista è filtrato attraverso i tropi tipici di un manga shōnen, dove ogni personaggio incarna uno stereotipo di queste produzioni mediali. Il character design di ogni personaggio, infatti, gioca molto su questo ambito, con pose plastiche alla dragon ball e ammiccamenti a questa o a quell’opera. Tra l’altro, è impossibile non vedere delle keyblade di Kingdom Hearts nelle spade di alcuni personaggi, soprattutto nel modo in cui sono maneggiate.
Si tratta sicuramente di una trama e di una scrittura dei personaggi che può trovare molto terreno fertile in un pubblico giovane o, soprattutto, in una fetta di persone appassionate di produzioni tipicamente giapponesi. Personalmente ho trovato la narrazione completamente adeguata al contesto, poiché nonostante un sentore di adolescenza e melodrammaticità non è mai stata fine a sé stessa, anzi l’ho trovata in grado di offrire diverse volte momenti di riflessione importanti su temi universali come il controllo della libertà, il sottile confine tra essere dei privilegiati ed essere degli oppressori, e le differenze tra giustizia morale e giustizia legale. Ho trovato invece scialbi e quasi un ostacolo al procedere del gioco i dialoghi opzionali, e soprattutto le chat via messaggio del telefono dei protagonisti.
Non vi è solo il mondo reale di Shibuya in Reynatis, anzi spesso si finirà nell’Another, un mondo naturale e incontaminato, dominato da mostri; ma così come il gioco nei suoi contenuti fa viaggiare il giocatore in due mondi paralleli e opposti, anche il gameplay, all’atto pratico, presenta al giocatore due mondi paralleli e opposti: un combattimento esaltante che fa venir voglia di giocare per ore, contrapposto a un’esplorazione scondita, scialba e priva di reali punti di interesse o motivazioni che invece annoia da morire.
Partiamo dalle cose belle: il cuore pulsante di Reynatis è senza ombra di dubbio il combattimento. Non è nulla di straordinariamente tecnico, in fondo basta schiacciare i pulsanti alla rinfusa e avere il giusto tempismo con le schivate, eppure è davvero divertente. I comandi sono responsivi, le animazioni sono stilistiche, e combinare le giuste combo premia il giocatore. Le boss fight affrontate hanno dato in qualche maniera sempre modo di pensare a una strategia per superare i pattern di attacco avversari.
I personaggi alternano due fasi: la suppression mode dove devono nascondere i loro poteri per non essere individuati dalle persone, e la liberation mode in cui il potenziale magico dei personaggi e ai suoi massimi. La trasformazione in liberation ha una durata predefinita, e per poterla riattivare è necessario spendere del tempo sufficiente in supression, oppure eseguire una schivata perfetta con un quick time event che si presenta per alcune tipologie di attacchi subiti. In fin dei conti è anche questo passaggio continuo di fase in fase a far percepire il combattimento variegato e divertente, che unito a un sistema di cambi personaggio molto fluido riesce a rendere il gameplay gratificante per il giocatore. Sicuramente anche il sistema di combattimento rapido e fluido con uno stile visivo colorato e spettacolare, è un aspetto che i più nostalgici possono ricondurre alla saga di Kingdom Hearts. Peccato che il dettaglio grafico delle fasi di gioco non rispecchi quello dei filmati.
Poi arriva il momento di esplorare, e l’adrenalina scompare. Le fasi esplorative infatti non reggono per nulla il confronto con le qualità del combattimento, nonostante una Shibuya visivamente gradevole riesca a spiccare in un comparto grafico appartenente a qualche generazione fa. Non è tanto la grafica a ostacolare il divertimento del giocatore in queste fasi, quanto più un quest design antiquato unito a una vuotezza di reali motivazioni che spingano i personaggi a guardarsi in giro che non siano semplicemente gli immancabili segnalini delle quest. Certo, in realtà passando in liberation mode durante l’esplorazione è possibile trovare oggetti nascosti per terra e graffiti (chiamati Wizart) sui muri, ma mi sembra un modo artificioso per giustificare la presenza di un agglomerato di mappe vuote.
La superficie camminabile di Shibuya infatti è divisa in diverse mappe unite tra loro da muri invisibili e waypoint (e quindi caricamenti); la divisione in frazioni così piccole potrebbe essere giustificata da un gran numero di persone, quest o oggetti in ogni spazio, ma in realtà la città sembra sempre mezza vuota in ogni mappa. Il risultato di questa suddivisione di Shibuya è che si perde spesso tempo ad andare da punto A a punto B di una missione (e tutte le missioni sono costruite in questa maniera), soprattutto se poi in queste frazioni di mappa c’è poco e niente di interattivo che non siano dialoghi scialbi con i passanti, oggetti per terra di tanto in tanto e quest secondarie che aggiungono ulteriori segnalini in punti di Shibuya. È un peccato che questo iconico quartiere di Tokyo sia più uno sfondo 3D che un mondo vivo da esplorare.
Anche per quel che riguarda l’audio, alcuni brani che accompagnano il gioco sembrano quasi essere dei placeholder di sfondo, nonostante la colonna sonora sia firmata da Yoko Shimomura, compositrice che in passato ha lavorato proprio su Kingdom Hearts. I brani migliori sono sicuramente quelli ascoltabili in combattimento, a evidenziare come forse gli sviluppatori si siano concentrati molto su questo comparto di gioco, trascurando però, per esempio, l’esplorazione. Per fortuna il doppiaggio giapponese mette una pezza: la recitazione è ottima, con voci ed enfasi che restituiscono la caratterizzazione dei personaggi in ogni momento; insomma, è da ribadire che il lavoro svolto sui personaggi è davvero interessante anche da una prospettiva audio.
Reynatis è un titolo che tenta di portare avanti l’eredità di videogiochi come Kingdom Hearts, e in parte ci riesce anche, grazie a un sistema di combattimento davvero ben realizzato e a una trama che, nonostante qualche limite, è in grado di saper coinvolgere un pubblico avvezzo agli shōnen e alle produzioni tipicamente giapponesi. Tuttavia, il suo richiamo al passato si fa sentire troppo nelle sezioni esplorative, le quali risultano vuote e poco interessanti, con una grafica che non sfrutta appieno le potenzialità delle console moderne. Le brillanti fasi di combattimento non compensano del tutto i difetti del videogioco, rendendo Reynatis molto divertente e interessante, ma solo in quelle determinate fasi di gioco.
This post was published on 20 Settembre 2024 15:00
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