Ricordate la prima volta che vi siete bagnati i piedi nel mare? No, vero? E la prima volta che avete assaggiato il cioccolato? Nemmeno io. Cosí come non ricordate la prima volta che avete preso in mano un controller. L’acqua fresca tra le dita, il sapore di una barretta di cacao, quel gioco che ci ha fatto innamorare, sono solo alcuni dei tanti ricordi di cui parliamo ma che fatichiamo a mettere a fuoco. Prime volte che ci hanno reso felici ma che ora, purtroppo, ci sfuggono nella loro totalità. Fortunatamente, giocare ad Astro Bot è come rivivere tutte quelle prime volte. Tutte insieme.
Viviamo in un’epoca particolare e densa di avvenimenti. Un periodo non proprio felice per l’industria videoludica che ha visto posti di lavoro saltare come le teste in una puntata del Trono di Spade. Un momento storico che rincorre il click, la visibilità, l’abbonamento. Un mondo fatto di servizi che danno all’utente tutto quello di cui ha bisogno: giganteschi mondi virtuali continuamente aggiornati, ricchi di personaggi, missioni, oggetti, giocabili da ovunque e con chiunque. Una volta la “nuova frontiera” era lo spazio, ora sono gli spazi. Da colonizzare, riempire, vendere, persino distruggere. Tutto, pur di tenere lí l’utente.
Come dicevo, è un’epoca complessa. E in un’epoca cosí complessa e veloce, Astro Bot è pura follia. Un titolo nato da quella che era poco più che una tech demo del Dualsense e di PS5: Astro’s Playroom, che giá dal nome non voleva essere altro che uno spazio per testare le nuove funzionalità offerte dalla macchina di Sony. La tech demo però va al di lá di ogni aspettativa ed è apprezzatissima dai giocatori, tanto che in quel periodo (ma anche oggi) capitava spesso di sentire “la demo col robottino di PS5 è una delle cose più belle che ho giocato”.
Se ci pensate era una vera assurdità, anche perché Astro’s Playroom era un platform, un genere che ha fatto l’epoca d’oro di PS1 e PS2 ma che poi è morto e sepolto (almeno su PlayStation). Emblematico in tal senso il secondo capitolo di Jak and Daxter, un vero taglio netto con il passato e che giá nella cover, con il protagonista che imbraccia un fucile, comunicava una cosa soltanto “è tempo di cambiare e andare avanti”.
E noi giocatori lo abbiamo fatto e abbiamo imbracciato quel fucile. Siamo passati dal saltellare tra piattaforme a crivellare di colpi interi eserciti. Chi più, chi meno, col tempo ci siamo convinti che i platform fossero un genere vecchio, desueto, estinto. Qualcosa con cui giocavamo quando eravamo bambini o da giocare su console (come quelle Nintendo) che vengono ancora relegate ad un pubblico giovanissimo.
La verità però è che i platform non sono mai morti, li abbiamo solo dimenticati. E Astro Bot è qui proprio per ricordarci che sono più vivi che mai.
Un alieno si scontra con una PS5 carica di robottini e li disperde su un’infinità di mondi. Basta questo per dare ad Astro e al suo fidato Dual Speeder (versione astronave del nostro Dualsense) una ragione per partire all’avventura. La missione, una sola: riportare a casa tutti i dispersi e ritrovare tutti i pezzi della nave madre.
Pochi secondi di filmato e siamo già all’avventura muovendoci con il Dual Speeder su una mappa che è un universo tra mondi stupendi, ricchi di segreti e brillanti idee di gameplay. Potrei quasi dirvi che “Astro Bot è tutto qui”, una sinfonia perfetta eseguita con tale maestria dal Team Asobi, da mettere in crisi anche chi da anni ha smesso di fare l’idraulico e si è dato al salvataggio di principesse.
È innegabile infatti che Astro Bot faccia tesoro dei numerosi platform Nintendo creando una struttura simile a quella vista ultimamente in Kirby e il regno perduto, con un hub centrale che, pian piano, si popola di tutti i bot ritrovati. Qui viene esteso l’enorme parco giochi che era l’hub di Astro’s Playroom e trasformato in un vero e proprio mondo in continua espansione. Ogni bottino ritrovato è un aiuto in più per ricostruire l’hub, per raggiungere nuove zone, per salvare nuovi bot.
Basterà chiamare a raccolta il numero richiesto dei propri amici bot per arrampicarsi più in alto, sollevare giganteschi macigni o creare ponti verso nuove zone.
Come nel primo capitolo però l’hub è anche un gigantesco espositore dove mettere in mostra i propri ritrovamenti. Un luogo in cui Astro salta con leggerezza tra una piattaforma e l’altra, tra nostalgia ed easter eggs, facendo battere il cuore di ogni appassionato PlayStation (e anche di chi non lo è).
Tra gli amici di Astro infatti ci sono i personaggi che hanno fatto la storia videoludica di Sony, la storia dei videogiochi e anche la nostra storia. Ricordi unici sparsi in un unico mondo che potremo completare con la macchina gatcha, già vista nel primo episodio, acquistando oggetti che danno animazioni uniche ai bot ritrovati. Per darvi un’idea, e senza spoilerare troppo, nel gatcha potremo trovare la scatola di cartone da restituire ad una famoso serpente o la maschera vodoo di un marsupiale dal pelo rosso.
Se l’hub principale è uno scrigno di nostalgia, i mondi che compongo il gioco (5 galassie + una segreta per un totale di circa 40 mondi e una miriade di mini mondi) sono la vera novità del gioco. Stavolta Asobi è andata al di là della tech demo e Astro Bot non è solo una versione più grande del suo predecessore ma qualcosa di più. Dalla Playroom si passa infatti ad un gioco vero, concreto, studiato nel minimo particolare. Il level design è fuori scala così come le abilità che Astro troverá nei vari mondi. È dannatamente divertente fare a pugni con una matrioska usando dei guanti a molla o rimpicciolirsi e sentire i suoni del mondo cambiare mentre si salta tra una bolla di sapone e l’altra.
E queste sono solo alcune delle cose che vedrete in Astro Bot per non parlare poi dei mondi che citano celebri giochi Sony (chi ha detto God of War?), in cui usare le abilità della saga di turno e ritrovare celebri personaggi PlayStation.
Il grandissimo punto di forza del gioco rimane però il sistema di platforming alla base di tutto che è studiato al millimetro, semplice, essenziale eppure divertente. Non c’è mai un salto uguale all’altro, la visuale è dinamica ma mai ingombrante, le location sono maestose e suggestive e ogni angolo è studiato per offrire qualcosa al giocatore, qualcosa che rimane, che sia uno scorcio (bellissime le location in cui fare le foto) o un collezionabile è sempre qualcosa che spinge a cercare, giocare, divertirsi.
L’esplorazione è una componente importante del gioco. Sia che si stia attraversando un vecchio cimitero o che si stia visitando un bagno termale. Come accennato, ogni angolo è una scoperta e anche in questo secondo capitolo tornano i pezzi di puzzle che completano quadri più ampi e sbloccano nuove funzioni dell’hub principale.
Il camerino, per cambiare costumi ad Astro (si c’è anche il costume pirata che ho indossato e non ho più tolto); il garage del Dual Speeder, per colorare di nuove tonalità il controller; il distributore gatcha, ma sono solo alcune delle location che potranno essere sbloccate con la paziente ricerca dei collezionabili. Ricerca che, terminato un livello, potrá essere aiutata da un uccellino radar di tesori, sbloccabile per 200 monete all’inizio di ogni mondo.
Tra i tesori più interessanti però, che nemmeno l’uccellino rileva, ci sono gli accessi ad una Galassia Perduta. Un vero e proprio universo di mondi dedicato ai cacciatori di tesori incalliti e che possono essere sbloccati solo raggiungendo un portale segreto all’interno di alcuni livelli.
E se vi state preoccupando che l’esperienza possa essere troppo semplice, tranquilli, il gioco offre una vasta gamma di mondi con livelli più complessi adatti al divoratore di platform e alcuni piú semplici e d’esplorazione adatti ai neofiti.
Astro Bot ha un livello di qualità (e di genialità) che ultimamente si è visto solo in titoli come Mario Odyssey e It Takes two, il tutto condito da una spruzzata di follia alla Psychonauts 2. Il gameplay però è solo una parte del tutto e il Team Asobi va lodato anche per l’intero comparto artistico.
C’è davvero tanta bellezza in Astro Bot: dal piccolo babbuino che si lava in una tinozza alle terme alla gigantesca slot machine che riversa fiches in un casinò come una cascata. I riflessi, nelle giunture metalliche di Astro sono magnifici, così come le interazioni con i liquidi o con la natura circostante.
Centinaia di piccoli dettagli, all’apparenza insignificanti, ma che portano il giocatore a colpire, saltare, raggiungere un luogo semplicemente per vedere cosa succede. E si viene sempre ripagati. Sempre. Tanto che quando si spegne il gioco, lo si fa col sorriso sulle labbra mentre si canticchia l’indimenticabile colonna sonora.
Come avrete capito, Astro Bot è un titolo davvero ricco, inaspettato, colorato, che diverte dal primo all’ultimo momento, dai memorabili incontri con boss giganteschi al dettaglio di una formica che trasporta un secchio d’acqua. Un gioco che rispolvera un genere dimenticato come il platform e lo rende attuale, ampliandolo, dimostrando che ha davvero ancora tanto da dare. Un titolo single player che va contro i canoni di questi tempi, sfida l’industria e vince, sotto ogni punto di vista, riprendendosi il suo spazio e restituendo ai giocatori il motivo per cui hanno scelto di giocare: il divertimento.
This post was published on 5 Settembre 2024 14:00
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