Seneca scriveva:
Chi non vuole morire si rifiuta di vivere, perché la vita ci è stata data a patto di morire.
Era la notte più buia del mondo o forse, era solo una notte come tante. Torrida burrasca di vento, in un 17 luglio che annullava i miei pensieri. La cicatrice di un anno videoludico sottotono, doveva ancora rimarginarsi e il caldo mi aiutava a non pensarci.
La luce del mio smartphone mi segnala l’arrivo di un gioco da recensire.
«La solita rottura» pensai.
Svogliato, scaricai quel gioco di cui quasi per nulla avevo sentito parlare. Era sviluppato da Critical Hit, -l’ennesima software house polacca- dicevo.
Nobody Wants to Die, quel titolo che mai avevo sentito, quasi come se con falsa modestia, si tentasse di camuffare qualcosa di talmente tanto diverso, per il panorama odierno, da rischiare di aprire un buco nero che in pochi avrebbero poi avuto voglia di colmare.
«Questi sono più nichilisti persino di me» mi dissi ridendo.
Solo un altro gioco da recensire, da liquidare quanto prima per poter così andare avanti con la mia vita.
Quella notte, il buio del mondo scelse di avere altri piani, lasciando che la luce di un mondo oscuro mi permettesse di comprendere i piani e gli intenti dietro al primo lavoro di Critical Hit.
E, Dio, nulla fu più lo stesso.
Distopia di qualità
Anno 2329. Una New York irriconoscibile, fa da sfondo a un titolo che mette subito le carte in tavola, mostrandosi per quello che vuole essere: retro-futurismo a un livello di profondità difficile da trovare altrove. Una città diventata l’esasperazione di se stessa, in cui la verticalità dei palazzi e delle costruzioni, di cui tanto si è fatto vanto nei decenni, è ormai diventata una condanna.
Una città che è lo specchio di un mondo in cui la cultura capitalistica ha raggiunto quel punto di non ritorno, che va oltre il semplice controllo delle risorse. Quel passo oltre che permette alle forze governative di poter controllare tutto di una persona, persino il loro corpo.
Perché è così, Nobody Wants to Die si apre con un filmato che in pieno stile Fallout, con tanto di surrogato del Vault Boy, mette subito in chiaro quale sia quel punto di non ritorno: l’icorite. Si tratta di un materiale che permette, una volta inserito in un corpo umano, di praticare lo scambio della coscienza da un corpo all’altro.
La conseguenza di un’invenzione del genere è, e non può non essere, l’immortalità. La possibilità di sostituire il proprio corpo, malconcio e morente, con un corpo nuovo apre a tutta una serie di implicazioni di varia natura: morale, etica, pratica, politica e, soprattutto, economica.
E nonostante la breve durata del titolo, da poter completare in 6-7 ore, ogni aspetto è ben approfondito, talmente tanto da far subito percepire la stranezza del caso che il detective James Karra deciderà di seguire: omicidio.
In un mondo senza morte, anche morire può essere un lusso.
Narrazione (mai) silenziosa
Una mail sul PC di casa, un articolo di giornale, una fotografia, un disegno su un muro visibile solo accendendo un lampioncino. Questi e altri elementi, costituiscono forse il lato più incredibile dell’opera prima di Critical Hit: la capacità di riuscire a condensare in poche minuzie e dettagli, tutte le informazioni che permettono di percepire la vita di una città che non muore mai. Tutti dettagli che, basta un battito di ciglia, per perdere. Eppure sono lì.
Una semplice frase, una semplice domanda, in grado di portare i personaggi del gioco a minuti di dialogo, scritto divinamente, interrogandosi su tutti quei dilemmi etici che stanno dietro all’icorite, alle modalità di sfruttamento di questa, a come i ricchi se la passino molto meglio dei poveri, situazione riscontrata anche nella costruzione verticale della città: più sei facoltoso più vivi in alto, dove l’aria è più pulita e il nuovo corpo si deteriora più lentamente; più sei indigente e più ti avvicini ai bassifondi, in cui quelle macchine volanti che scorrazzano per i cieli di New York, sono soltanto un rumore in lontananza.
Il tutto accompagnato da una musica dalle sonorità acide, in cui la tromba strozzata dalla sordina e il fumo della sigaretta del detective Karra, soffocano vista, udito, prima di affogare tutti i dispiacere in una bottiglia di vecchio bourbon irlandese, una vera e propria anticaglia.
Risulta difficile trovare le parole per esprimere bene le sensazioni che è in grado di trasmettere Nobody Wants to Die, forse proprio perché è un titolo che sa parlare con il giocatore, in maniera estremamente chiara, anche quando non c’è nulla da dire.
Bello, ma si gioca?
Il titolo di Critical Hit propone un’avventura single player, che come approccio potrebbe rientrare nella categoria “walking simulator”. Il gameplay infatti, sarà estremamente funzionale alla trama e si svolgerà in poche ma coinvolgenti modalità.
Ciò che vi ruberà più tempo di gioco, sarà sicuramente la parte investigativa. Tramite il detective James Karra, coadiuvato da Sara, agente che comunicherà tramite un’auricolare dotata di telecamera, ci muoveremo all’interno di alcune scene del crimine piene di dettagli. Attraverso quei piccoli dettagli, tramite i nostri strumenti dovremo cercare di ricostruire ciò che è successo.
Avremo a disposizione un dispositivo a raggi X, per individuare eventuali marchingegni elettronici o meccanici nascosti dietro i muri o sotto i pavimenti; un rilevatore a raggi UV, per individuare eventuali macchie di sangue o di liquidi biologici; il ricostruttore, forse il più importante tra tutti, in grado di portare avanti e indietro piccole porzioni temporali (seguendo determinate regole e limitazioni), così da poter osservare con estrema certezza, gli ultimi momenti prima di un evento sconvolgente.
Una volta raccolti tutti i dati sul luogo, potremo ritirarci nel nostro piccolo e modesto appartamento, in cui, tramite una futuristica “lavagna”, potremo mettere insieme i pezzi, tramite un mini gioco di supposizioni a catena, che ci porteranno a formulare un’ipotesi così da proseguire con le nostre indagini.
Se vorrete quindi approcciarvi al titolo, siate certi di ricercare un’avventura da vivere più che da giocare, in cui la bellezza dell’esperienza è data dal modo in cui ogni scoperta sembri rappresentare un passo avanti, senza rendersi conto che si sta solo procedendo spediti verso un oblio sconosciuto.
Dialoghi, scelte e ritmo
Grande importanza, per la prosecuzione della storia, avranno le scelte durante i dialoghi.
Come detto, i dialoghi sono scritti con vera maestria e recitati anche meglio, risultando avvincenti e interessanti, facendo venire voglia di stare semplicemente lì ad ascoltare James e Sara parlare dei massimi sistemi, delle domande che i loro antenati si ponevano e di quali sono invece, nel 2329, i nuovi dubbi esistenziali.
Ciò che potrebbe dare un certo fastidio di tanto in tanto, è il modo in cui sono formulate le scelte. Quando si hanno due, tre, quattro scelte per la prosecuzione del dialogo, non sempre risulta intuitivo capire a cosa una scelta porterà o il tono che si esprimerà selezionandola.
Non tutte le scelte ovviamente, influiranno sulle diramazioni di trama ma alcune sapranno mettervi in seria difficoltà, riuscendo a camminare in continuazione sul filo che sta tra il bene e il male, in una società che pare aver dimenticato da tempo questi concetti.
La trama prosegue comunque in maniera abbastanza spedita e la breve durata, fa venire voglia di rigiocare il titolo per scoprire a cosa una scelta diversa potrebbe portare. Si nota però, come da un certo punto in poi, sembra che si abbandoni quel fattore di racconto ambientale, più lento e ponderato, fatto di dettagli, in nome di una narrazione più veloce e dritta al punto finale.
Non ci si azzardi a definirlo approssimativo. Ci sentiamo però di ammettere serenamente, come la prima metà abbia molto più fascino della seconda, sotto tanti punti di vista, dalla scrittura alla curiosità che è in grado di trasmettere con quei dettagli di cui sopra. Un titolo che vive di e per i dettagli.
Ulteriore, seppur lieve, nota di demerito: il titolo è interamente doppiato in inglese e sottotitolato in italiano. Capita però, di tanto in tanto, che certi dialoghi non vengano adattati benissimo, cosa che, se non si conosce bene l’inglese, rischia di disorientare i giocatori. Un esempio che mi rimarrà per sempre nel cuore: un personaggio propone a un altro di fare un brindisi –> “prepara un toast”.
Arte e decadenza
A livello artistico, il lavoro svolto è semplicemente eccellente, soprattutto per quanto riguarda la costruzione degli ambienti e delle atmosfere. Si riesce continuamente a creare un perfetto connubio tra musica, parole, suoni ambientale e mondo di gioco. Osservare il traffico delle auto volanti dal basso, volgendo lo sguardo verso l’alto senza che però vi sia una via d’uscita.
Un lavoro sicuramente meno curato è quello svolto sui modelli dei personaggi, che risultano decisamente meno rifiniti rispetto a tutto il resto. Non si tratta però di qualcosa che aggiunge sgradevolezza a un titolo che, solo grazie all’art direction, riesce a catturare l’attenzione anche dell’occhio più esigente.
A livello di performance, giocato su PS5, non sono stati riscontrati grossi problemi. Qualche lievissimo calo di frame, soprattutto nelle brevi sezioni che aiutano a dividere un capitolo dall’altro. Considerando però che si tratta di un’opera prima, ha quasi dell’incredibile come siano riusciti a far funzionare in maniera così fluida, così tanti elementi a schermo, senza lesinare in profondità di campo, la vera marcia in più a un’art direction estremamente approfondita.
Conclusioni
Nobody Wants to Die, un titolo passato quasi totalmente in sordina a causa di una campagna marketing a dir poco scarna, che riesce però a regalare delle sorprese così importanti da lasciare esterrefatti. La capacità con cui elementi retrò si mischiano al cyberpunk futuristico, in una New York distopica in cui politica e società si macchiano della stessa tracotanza, regala infine, una sensazione di incompiuto. Non perché manchi un degno finale alla storia del detective James Karra, ma perché il mondo descritto dai ragazzi di Critical Hit è così vivo che risulta impensabile che, spenta la console, smetta di esistere. Speriamo dunque, che questo sia solo il primo di tanti mondi che la software house polacca vorrà sviluppare. Questo si che è partire col piede giusto.
PRO
- Scrittura e regia sopraffine
- Art direction di alto livello
- Worldbuilding curato in ogni dettaglio
CONTRO
- Nella seconda parte, la trama tende ad accelerare un po' troppo
- Non sempre le conseguenze delle scelte di un dialogo, risultano chiare
- Modelli dei personaggi non curati quanto il resto del mondo di gioco
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