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Recensione Rise Of The Ronin | (PS5) | Anche le brutte spade sanno tagliare

Da un punto di vista di semplice storia del medium, è difficile cercare di capire se in passato ci sia stato un momento in cui così tanto budget è stato impegnato per la realizzazione di videogiochi che analizzano ed esplorano la storia del Giappone poco prima della sua apertura nei confronti del mondo occidentale. 

Se di giochi sul “medioevo” giapponese ce ne sono effettivamente a iosa, per tanto tempo meno si è potuto dire in relazione al periodo bakumatsu, una quindicina di anni in cui il paese del sol levante mutò per sempre forma con il crollo degli shogunati in favore di una nuova forma di governo, la stessa che durerà poco meno di cento anni fino al termine della seconda guerra mondiale.

Rise Of The Ronin si incastra esattamente in questo frangente di storia, proprio come abbiamo visto fare allo splendido Like A Dragon: Isshin giusto l’anno scorso (anche se, bisogna ricordarlo, il gioco del Ryu Ga Gotoku Team è un remake/porting/remaster di un videogioco più vecchio). Entrambi i videogiochi, tra le altre cose, condividono alcune scelte narrative molto interessanti risultando interessanti riletture di personaggi ed eventi accaduti durante quello specifico periodo storico.

Le somiglianze però, possiamo dire, finiscono qui: quello che ROTR fa è molto più grande in scala rispetto tantissimi altri videogiochi ambientati nel Giappone storico. Il titolo di Team NInja, infatti, cerca di fare con questo suo nuovo videogioco quello che Elden Ring ha fatto con l’universo dei Soulslike, trasponendo in salsa open world le idee e le suggestioni che hanno fatto tanto apprezzare videogiochi come Nioh o Wo Long: Fallen Dinasty

Come siamo arrivati ai Ronin?

Team Ninja è una delle software house più interessanti dell’attuale panorama giapponese per la sua capacità di produrre videogiochi ludicamente interessanti per determinate nicchie di videogiocatori a poco tempo gli uni dagli altri senza che ci siano grandi problemi dal punto di vista della qualità. Rise Of The Ronin, in questo contesto, è senza dubbio il loro progetto più importante per dimensioni e per ambizioni, andando a raffinare la loro formula di gioco di maggior successo all’interno del contenitore più popolare per i videogiochi degli ultimi dieci anni: l’open world.

Per arrivare a questo punto, però, TN ha compiuto un lunghissimo percorso all’interno della storia dei videogiochi, partendo dal mondo dei picchiaduro (loro la saga di Dead Or Alive, capitanata da Tomonobu Itagaki) e esplodendo poi grazie al grande successo della versione tridimensionale di Ninja Gaiden, nome storico del mondo arcade diventato poi sinonimo di action tridimensionale hardcore per eccellenza.

Il vero successo, specie dal punto di vista commerciale, arriva nel corso del 2017 con lo sviluppo del primo videogioco della saga di Nioh, un progetto in seno alla compagnia sin dal 2004 che ha attraversato generazioni di console e software house interne di Tecmo e Koei (diventate una cosa sola con un merging nel 2013) per poi trovare nelle menti di Fumihiko Yasuda e Yosuke Hayashi le giuste redini.

Cosa faceva Nioh? Mescolava in maniera efficace (ma non perfetta) il mondo degli action in terza persona di quel momento, i soulslike, con tutto un sistema di crescita e di parametrizzazione degno del più incasinato diablolike in circolazione. Il risultato finale è quello di un videogioco che riceve un ottimo riscontro da parte di critica e pubblico, vendendo tre milioni di copie e diventando il primo capitolo di un franchise che ha dato a TN un nuovo percorso da seguire, con tanto di progetti su commissione (il buon Strangers Of Paradise altro non è che un reskin di Nioh in ottica fantasyana) e l’interessante Wo Long 

Rise Of The Ronin è la summa di questo percorso: un videogioco che prende l’anima di Nioh e la spande all’interno di una grande mappa, ispirandosi ai grandi videogiochi open world del passato al fine di offrire un’esperienza ad ampio respiro, senza però dimenticare quelli che sono i punti di forza delle produzioni Team Ninja. In questo caso, infatti, la prima cosa che salta all’occhio, anzi, alle mani del giocatore è il sistema di combattimento del titolo, ragionato, letale e profondo come nei precedenti videogiochi della compagnia.

Colpire, parare, vincere, perdere

Se dovessi spiegare a degli amici cos’è ROTR potrei giocare con le similitudini e dire loro che il progetto non è altro che una versione open World di Nioh con dei dungeon istanziati in piccoli frammenti dello stesso. A questo aggiungerei, poi, l’introduzione dell’elemento stealth, probabilmente proveniente dai momenti più interessanti di Sekiro e dei sistemi di traversal nell’open world che richiamano parzialmente le paravele di videogiochi come The Legend Of Zelda: Breath Of The Wild o Genshin Impact, senza offrire tutta quella capacità di movimento ma con il giusto grado di integrazione nel gameplay. 

Questo significa che Rise Of The Ronin riesce a mescolare insieme l’anima di un action adventure dal respiro ampio con tutta la complessità e la verticalità dei sistemi che hanno animato tanto i soulslike quanto i diablolike, mescolando all’interno della stessa formula i riflessi fulminei di chi vuole farsi i boss no-hit e i calcoli matematici/theorycrafting di chi è cresciuto a pane, Diablo e Path Of Exile.

Tutte queste definizioni, chiaramente, potrebbero non aiutare chi i videogiochi non li mastica anche con un certo livello di competenza e pertanto mi ritroverei costretto a utilizzare immagini più chiare. 

Rise Of The Ronin è un videogioco in cui, esplorando campagne giapponesi alla ricerca della prossima città o del prossimo tempio, è possibile scorgere in lontananza una lunga nuvola di fumo, accarezzare gatti, dedicarsi all’affinamento delle armi da fuoco, liberare villaggi di campagna dai banditi ed esplorare in maniera “realistica” città in cui il Giappone si veniva pian piano aprendo al mondo occidentale. 

La parte centrale dell’esperienza è legata al sistema di combattimento che, per inciso, è una versione più masticabile e più rompibile del solito delirio di riflessi, scelte al millisecondo e sapiente combinazione di improvvisazione e preparazione in egual misura che ha caratterizzato la recente produzione di Team Ninja in ambito action. Il sistema alla base del titolo è una mescolanza dei parry di Wo Long con la versatilità di armi e moveset propria di Nioh, con altre ispirazioni pescate dai soulslike (qualcuno ha detto cure limitate)? 

Nella pratica parliamo di un action in terza persona con targeting selezionabile in cui è possibile effettuare varie tipologie di attacchi, sia a distanza ravvicinata che non, sfruttando quattro diverse armi, interscambiabili in tempo reale attraverso la combinazione di R1 e il tasto direzionale associato. 

Ogni personaggio, avversari compresi, è dotato di 2 barre: salute e ki; il secondo parametro è equiparabile alla stamina e, all’azzeramento, permette al giocatore di eseguire un’esecuzione che porta all’eliminazione istantanea dell’avversario o alla rimozione di buona parte dei suoi punti salute. Ogni colpo dell’avversario deviato dal giocatore porta alla rimozione semipermanente del Ki; la barra si ripristina soltanto quando l’avversario subisce un esecuzione. La meccanica difensiva della “deviazione”, tra le altre cose, è di fondamentale importanza in questo caso e assomiglia da vicino a quanto fatto dalla software house con il buon Wo Long; non manca comunque la schivata.

Di cappa, spada, odachi, lance, alabarde e tanto altro ancora

Se di base i videogiochi da cui Rise Of The Ronin prende ispirazione avevano dalla loro un certo livello di profondità, nell’ultima opera di TN, questo livello di varietà è passato ancora oltre. Non da un punto di vista prettamente numerico, sia chiaro, ma quanto per la possibilità di approcciare le situazioni in maniera differente grazie a un level design e a una mobilità che offrono molte più possibilità.

Oltre allo stealth e agli assassini che possono provenire da sostanzialmente qualsiasi posizione, un’altro elemento che risulta di grande efficacia nella costruzione del gioco è dato dalla possibilità di utilizzare anche strategie complesse per eliminare gli avversari; l’utilizzo di esche, gli attacchi a distanza, l’utilizzo del rampino per lanciare loro oggetti o per farli cadere in dei burroni con il giusto posizionamento: tutto questo è possibile. Tra le altre cose bisogna anche dire che in termini di mera densità contenutistica, ROTR è veramente incredibile.

Pescando direttamente da Wo Long il sistema dei companion che ci possono accompagnare in specifici momenti di trama, il gioco permette al giocatore di costruire dei legami attraverso regali, conversazioni, side quest e partecipazione alle missioni; la varietà di personaggi che è possibile acquisire in questa maniera è notevole visto che, a differenza di quanto accadeva nei precedenti videogiochi della software house, TN ha scelto di dotare del protagonista (o dei protagonisti, come vedremo meglio dopo), della possibilità di scegliere cosa dire. Complice anche la possibilità di apprendere delle vere e proprie skill dialettiche, con un po’ di fortuna e le giuste scelte, è possibile portare dalla nostra parte addirittura i nemici, così da utilizzarli durante le missioni più difficili come NPC o controllandoli direttamente attraverso la pressione di una combinazione di tasti. 

A questo poi bisogna aggiungere la presenza di una vagonata infinita di risorse disseminate per il mondo di gioco che sono utilizzabili tanto per craftare oggetti da utilizzare nel combattimento, tanto nel migliorare le proprie armi, quanto nel soddisfare quest secondarie e vendor specifici così da ottenere equipaggiamenti più potenti e tanto altro ancora. A questo bisogna poi aggiungere un’ulteriore elemento: le missioni secondarie, in questo gioco, spesso e volentieri permettono al giocatore di accedere a intere meccaniche o a nuove categorie di armi; arricchendo ulteriormente il piatto.

Certo, l’impostazione dell’open world non è delle più recenti; parliamo di un mondo aperto canonico a là Assassin’s Creedo con indicatori dappertutto e un compato narrativo che non sempre riesce a sostenere al meglio le richieste delle missioni secondarie, ma che onestamente poco può contro la bontà del sistema centrale che regola il gioco.

Alla fine del discors, quindi, quando hai un gameplay incredibilmente efficace e profondo come quello di Rise Of The Ronin non c’è realmente il bisogno di offrire un open world innovativo o raffinato per risultare coinvolgente o altro; il gioco funziona ugualmente e riesce a espletare in una maniera soddisfacente le sue caratteristiche.

Il comparto tecnico

Arriviamo quindi all’elefante nella stanza: tutto ciò che riguarda il colpo d’occhio.
RIse Of The Ronin è un videogioco pubblicato da Sony Interactive e, in un certo senso, risente della nomea di esclusiva playstation fatta e finita; per il giocatore medio questo implicherebbe un livello tecnico senza precedenti,  una localizzazione in Italiano completa di doppiaggio e così via. La localizzazione c’è ed è ottima, il doppiaggio c’è ed è passabile ma graficamente parlando ci troviamo davanti a un prodotto piuttosto deludente.

Chi scrive personalmente non dà particolare importanza al comparto grafico (tanto che la valutazione finale non risente particolarmente della brutta grafica) ma è indubbio che Rise Of The Ronin abbia qualche grave problema da questo punto di vista.

All’occhio ROTR è un gioco vecchio di una generazione con una grafica che, anche su Playstation 4, non avrebbe fatto esattamente quella che potremmo definire come una bella figura. La produzione di Team Ninja, inoltre, ha dalla sua tre diverse modalità grafiche (prestazioni, qualità, ray tracing) che in nessun caso offrono un comparto grafico “degno di tal nome” e le problematiche sono molteplici.

In primis abbiamo a che fare con degli effetti di pop-up tristemente pronunciati e piuttosto ineleganti; specie all’interno dei contesti cittadini, dove si fa molto più caso a cosa si ha intorno, anche solo camminando ci si imbatte in elementi grafici che compaiono dal nulla e vanno a spezzare la sensazione di immersione. I modelli poligonali utilizzati per le ambientazioni e per i personaggi secondari non brillano mai per dettagli e anche quando abbiamo a che fare con i personaggi principali ci si ritrova “limitati” da espressioni facciali di qualità limitata, che non riescono sempre a esprimere correttamente le emozioni del caso.

Straniante anche la gestione degli elementi lontani a schermo a causa di un level of detail dei modelli poligonali troppo tarato verso il basso, con il sopracitato effetto pop-up che fa davvero impressione (anche qua) in negativo una volta che si attraversano determinate distanze. 

La cosa che più fa impressione, in tal senso, è pensare al fatto che videogiochi come Nioh 2 o Wo:Long riuscivano ad avere almeno qualcosina da dire in termini tecnici, vuoi per gli shader, vuoi per gli effetti ambientali mentre qui non c’è nulla di tutto questo; è plausibile che questo genere di pesanti limitazioni al comparto tecnico siano derivanti dalla struttura open world (con cui TN non ha particolare esperienza, questo è il primo loro titolo dotato di questa “confezione”). 

L’unica cosa che bisogna dire è che, in modalità prestazioni, il gioco mantiene i sessanta frames in maniera praticamente inossidabile e considerando il livello di riflessi richiesto al giocatore in tale contesto questa è una notizia molto accattivante. Abbiamo provato anche la modalità grafica e la modalità prestazioni ma in entrambi i casi l’aumento dei dettagli (risibili) è risultato essere davvero poca cosa al confronto del numero dei frame persi (il gioco gira “stabilmente” intorno ai trenta).

Tra le altre cose è difficile cercare di capire quanto delle patch possano far cambiare questo genere di situazione in quanto i problemi sono anche legati, seppur parzialmente, al comparto estetico. Quest’ultimo impianto è infatti anni luce distannte da quanto Ghost Of Tsushima, il suo parente più prossimo per ambientazione (anche se ci sono diversi secoli di distanza tra i due), propone; esperienza gradevolissima da giocare ma non bellissima da vedere.

Di altro livello invece la colonna sonora, che riesce a risultare particolarmente gradevole sotto molteplici punti di vista specie grazie ai temi cittadini, che mescolano intuizioni occidentali in termini melodici con strumenti e atmosfere orientali. Una volta che ci si allontana dalle città le musiche diventano più anonime ma senza perdere mai quel piglio melodico molto interessante che abbiamo visto durante i momenti più “cittadini” dell’esperienza. 

Buoni anche gli effetti sonori e grandioso il doppiaggio giapponese, meno bene tanto quello inglese quanto quello Italiano; in quest’ultimo caso si sente che c’è stato un minor livello di cura e dettaglio rivolto nel consegnare a ogni volto la voce adatta alle sue necessità, senza dimenticare alcuni scivoloni in termini di pronuncia e comprensibilità della voce con dei personaggi “secondari”; l’adattamento, invece, lo abbiamo trovato quantomeno fedele alla controparte inglese, cosa che ci ha evitato i mal di testa che abbiamo invece avuto per videogiochi dal budget molto più importante (vero Final Fantasy VII: Rebirth?)

Un racconto di cappa, spada, politica e riletture esagerate

In tutto questo andirivieni il comparto narrativo di Rise Of The Ronin riesce a difendersi egregiamente, forse anche meglio di quanto abbiano fatto le altre produzioni di Team Ninja durante il corso degli ultimi anni. 

In primis c’è sempre da fare i complimenti a qualsiasi sviluppatore giapponese scelga di ambientare un videogioco durante l’era Bakumatsu, considerata dagli abitanti del Sol Levante come uno dei punti più tumultuosi della loro storia e in secondo luogo c’è da fare i complimenti per come hanno scelto di narrare la storia, che rimane sempre abbastanza ancorata nel reale concedendo però il giusto grado di svarioni necessari per rendere divertenti e interessanti tanto le vicende quanto i personaggi.

Il gancio principale della narrativa, la storia delle lame gemelle, serve come filo rosso che attraversa tutti gli eventi più importanti dell’epoca e gli appassionati di storia (o anche solo chi ha già giocato all’ottimo Like a Dragon: Isshin) saranno felici di rivedere interpretazioni di personaggi storici come Ryoma Sakamoto o Shoin Yoshida accompagnare i nostri protagonisti e fare cose.

Un’interessante deviazione rispetto al solco tracciato in precedenza con le opere di TN è la possibilità, per il giocatore, di patteggiare per una o l’altra parte attraverso un basilare sistema di fazioni. Il giocatore, infatti, potrà scegliere se lavorare per conto delle organizzazioni pro o anti shogunato, muovendo la storia del paese in una direzione o l’altra. In questo caso le route si diversificano in maniera netta, portando a nuove missioni, nuove situazioni, movimenti di potere e tante altre novità di cui non vi stiamo a parlare. Rise Of The Ronin, fortunatamente, integra tutta una serie di elementi che permettono al giocatore più interessato di andare a esplorare le altre direzioni della narrativa attraverso una schermata apposita, non costringendo nessuno a secondo Playthrough.

Pur non brillando per specifiche scelte registiche o narrative, Rise Of The Ronin permette al giocatore di vivere in prima persona diversi eventi interessanti offrendo nel contempo un’esperienza di buon livello, senza le velleità registiche di quanto abbiamo visto fare altrove da prodotti più titolati ma di certo con un livello di difficoltà e un senso di epicità degno di quanto solitamente associamo al termine “scontri tra samurai“.

Conclusioni

Rise Of The Ronin mescola la storia produttiva del suo Team con un Giappone poco esplorato nel mercato mainstream, ottenendo come risultato una produzione interessante nonostante le importanti limitazioni dal punto di vista tecnico. Dal punto di vista prettamente ludico abbiamo a che fare con un gameplay sostanzialmente perfetto, che intreccia molteplici sistemi all’interno di un grande mischione che funziona anche sul lungo periodo, in cui la stragrande maggioranza delle azioni viene premiata in una maniera o l’altra dal sistema di gioco. Molto peggio invece il comparto tecnico, che risulta essere gravemente insufficiente per livello di dettaglio, animazioni facciali e colpo d’occhio, in maniera veramente sorprendente. Questo non basta per affossare la valutazione complessiva della produzione, che si regge su un gameplay adamantino ma, PURTROPPO, finirà per allontanare via molti potenziali (e superficiali) acquirenti. Se non vi aggrada il gameplay loop potete tranquillamente togliere un punto intero alla valutazione.

This post was published on 21 Marzo 2024 12:00

Graziano Salini

Perennemente alla ricerca di legami tra argomenti distanti tra loro, con una certa predilezione per musica e videogiochi. Faccio il possibile per fare in modo che ci siano meno errori di concetto possibili sugli articoli di Player.it, grande fan degli errori grammaticali invece, quelli fanno sempre ridere. Quando non sto amministrando questo sito lavoro mi occupo di spiegare cose difficili in maniere semplici su altri siti, su tematiche molto meno allegre dei videogiochi.

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