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Suicide Squad: Kill the Justice League | Recensione (PS5)

Suicide Squad: Kill the Justice League è un gioco nato sotto una cattiva stella per la sua natura GaaS, che seppur affidato a uno studio come Rocksteady richiamava alla mente un mai troppo vecchio Marvel’s Avengers per ottenere il favore aprioristico del pubblico. O forse è stato proprio scegliere sviluppatori rinomati per giochi di ben altra caratura a far storcere il naso al pubblico. La prova del nove non sono state solo le recensioni, gran parte delle quali hanno criticato fortemente il gioco (e lo stesso farà la nostra), ma la prova degli utenti, che hanno visti confermati i propri sospetti e timori: ovvero, di essere davanti a un prodotto non soltanto fuori tempo massimo in termini di gameplay ma inqualificabile narrativamente.

Dalla caratterizzazione dei singoli personaggi, alla messa in scena, alla trama di per sé, in Suicide Squad: Kill the Justice League non c’è nulla dello spirito dei precedenti Arkham – dei quali questo gioco è un seguito, confermato sia da Rocksteady stessa sia da quanto viene detto e mostrato nel corso del gioco. Se a questo aggiungiamo un gameplay poco stimolante e tendente a una ripetitività eccessiva persino per il genere, fondata su basi già di per loro prive di particolare interesse, ecco che la formula per un prevedibile e sonoro tonfo è servito.

Senza indugiare oltre, andiamo a vedere quali sono le traballanti colonne di Suicide Squad: Kill the Justice League, giocato su PlayStation 5 dividendoci fra trama e contenuti secondari.

Una narrazione che fa acqua da tutte le parti

Inutile usare giri di parole: narrativamente parlando il gioco è indecente.
Sembra una costola del primo Suicide Squad cinematografico sotto tanti, troppi aspetti e questo non gli rende affatto onore; anche qualora non lo ricordasse, tuttavia, resta un prodotto sciatto, mal scritto e irrispettoso tanto dei personaggi quanto di tutto ciò che è stata la trilogia Arkham – senza considerare gli altri capitoli satellite come Origins e Blackgate.

A partire dalla Suicide Squad stessa, ci troviamo di fronte a una Harley, un Capitan Boomer, un Deadshot e un King Shark macchiette, lontani anni luce dalle loro controparti soprattutto fumettistiche (per Harley vale anche quella videoludica).

Battutacce squallide, tutt’altro che divertenti e non certo per i contenuti in sé ma proprio per il modo in cui sono proposte; caratterizzazione non pervenuta al di là di una costante e fastidiosa imbecillità di fondo, che sporca inevitabilmente qualsiasi cosa dicano o facciano, quando soprattutto personaggi come Capitan Boomer (dal mondo di Flash, per chi non fosse sul pezzo) hanno in generale un rispetto minimo per l’eroe pur essendo antagonisti. King Shark è, nella sua goffaggine verso le convenzioni umane, la spalla comica involontaria di turno, una comicità tuttavia di bassa lega.

Harley sembra la cosiddetta paxxerella – sì, è scritto così volontariamente – di turno ma, al contempo, la donna forte e indipendente che si è liberata dello spettro del Joker e della sua tossicità, come se non sia mai stata un personaggio consapevole delle nefandezze perpetrate come far saltare in aria un asilo. Potrei continuare così per interi paragrafi, penso però di aver reso l’idea sul modo in cui sono stati trattati gli involontari protagonisti del gioco, sia in quanto loro stessi sia in relazione all’universo di Arkham di cui questo capitolo si fa orgogliosamente seguito.

Stesso discorso, se non ancora più ferocemente critico, per quanto riguarda la Justice League e i supereroi, qui diventati i nemici da abbattere (tranne Wonder Woman, che per motivi più o meno leciti è rimasta se stessa). Poiché il titolo è Suicide Squad: Kill the Justice League, non mi sarei mai aspettata di vedere gli ex supereroi sopravvivere: era chiaro non fosse parte del concept fin dalle prime indiscrezioni in merito. Ciò che tuttavia non posso far passare è, ancora una volta, il modo in cui sono stati scritti tutti questi personaggi e la loro indegna morte – sia a livello narrativo sia di gameplay.

Tutti, e in particolare Batman, sono stati scritti non solo ignorandone le fondamenta in quanto tali ma anche dimostrando una discreta ignoranza su come funziona il controllo di Brainiac, qui alla base del motivo per cui i nostri sono cambiati in modo tanto drastico. Notoriamente, il controllo mentale di Brainiac rende le sue vittime delle mere marionette, incapaci di seguire una volontà che non sia la sua e, pertanto, impossibilitati a comunicare: questo perché la coscienza del soggetto non viene alterata, solo “spenta” se così posso dire in modo che compia azioni altrimenti contro i suoi stessi dettami.

Qui invece abbiamo personaggi che chiacchierano decisamente troppo, pianificano, si coordinano e in certi casi mettono persino in discussione le decisioni prese da Brainiac; soprattutto Batman, che più degli altri deve passare come il cattivo di turno in virtù di una pessima deriva presa oltreoceano.

Ciò fa sì che l’intera Justice League sia fuori personaggio, cozzando inevitabilmente con quelle basi fumettistiche che danno vita ai suoi membri; lo si percepisce chiaramente nel corso del gioco e anche attraverso varie voci del database, che si aggiornano a mano a mano durante il prosieguo dell’avventura. Voci sì falsate di default poiché scritte dalle controparti antagoniste o, negli altri casi, da Lex Luthor ma anche così si percepisce di nuovo e chiaramente una mal interpretazione di tutto il cast. Memorabile, tra le tante cose, l’annotazione di Luthor secondo cui le amazzoni siano da ammirare per aver sconfitto la mascolinità tossica. Credo non ci sia frase più emblematica di questa nel descrivere un progetto che è soprattutto la proiezione degli autori e delle loro idee, incastrate dentro personaggi che con esse non hanno minimamente a che spartire.

Parlando brevemente delle morti, senza entrare nel dettaglio, come ho già scritto sono irrispettose nei confronti dei relativi personaggi ma soprattutto prive del minimo pathos. Non stiamo parlando dello sgherro da strada che viene ucciso, bensì di vere e proprie icone e, nel caso di Batman, di un personaggio ottimamente caratterizzato durante i capitoli precedenti. Nulla di tutto questo passa, rendendo quei momenti niente più che un divertissement da quattro soldi, condito da scenette ridicole sempre in linea con la Suicide Squad decontestualizzata che hanno voluto mettere in campo. L’espressione “imbarazzo per procura” può essere perfettamente incapsulata in queste sequenze, una dopo l’altra.

Nonostante abbia dedicato diversi paragrafi alla componente narrativa, non sono comunque sufficienti a far capire l’abisso in cui Suicide Squad: Kill the Justice League sprofonda: ciascuna scena andrebbe analizzata nel merito, per dare davvero l’idea di cosa sia stato fatto, ma ritengo ci sia abbastanza per capire la discesa senza freni imboccata dal gioco. Per riassumere, si parla di una narrativa claudicante e mai in grado di destare interesse, che va anzi a compiere un pesante retcon sui precedenti Arkham cercando, nel contempo, di usare Gotham e i suoi personaggi come specchietti per le allodole in una Metropolis che si sforza in ogni modo di ricordare la città dell’uomo pipistrello – salvo dimenticarsi di essere la faccia bella e scintillante della medaglia, e che quindi ogni tentativo di imitare la “sorella” risulterà, come del resto avviene, grottesco.

Un gameplay privo di mordente

Se dal punto di vista di scrittura Suicide Squad: Kill the Justice League non ce la fa, il discorso non è poi così diverso da quello ludico. Al netto di qualche elemento piacevole, come i diversi approcci allo spostamento che hanno i personaggi e fanno leva bene o male su ciò che le distingue, il resto è un florilegio di icone sulla mappa, punti abilità che vi dimenticherete di aver collezionato o la cui importanza, in termini di abilità da apprendere, risulterà pressoché ininfluente, bottino di vario tipo che vi ritroverete a scartare per la quasi totalità nell’attimo in cui otterrete la prima arma leggendaria del gioco (molto presto) e un loop di gioco eccessivamente ripetitivo.

A mano a mano che proseguirete si sbloccheranno diverse tipologie di incarico ma non passerà molto prima che inizino a diventare ridondante, sia per una questione di obiettivi sia di nemici in sé: questi infatti sono ridotti a un’unica tipologia che cerca di evolversi in base al prosieguo della trama e pur obbligando a volte a strategie diverse dal semplice prendere la mira e sparare, a lungo andare perde di mordente.

Non aiuta che Metropolis sia una città assolutamente vuota, un confine entro il quale muoversi portando caos e distruzione ma senza poter fare davvero altro. Il fatto poi che non pochi antagonisti del mondo di Batman sia stati portati qui senza alcun vero motivo (da Poison Ivy al Pinguino fino all’Enigmista) lascia l’amara sensazione, come già accennato, che Metropolis altro non sia se non un surrogato di Gotham. Poiché è Batman il personaggio davvero di punta, della DC come della serie Arkham, si è cercato di spremerlo in ogni modo per accattivare i fan della serie e convincerli a prendere parte a questa charade videoludica.

Potete cambiare personaggio in tempo reale in qualsiasi momento, semplicemente perché vi aggrada o per via del fatto che una particolare missione lo carichi di adrenalina, rendendolo più efficiente e pronto a ottenere maggiori punti esperienza. Per il resto non ci sono davvero aree che richiedono l’uso di uno o l’altro; il che, se da un lato non pone barriere, dall’altro non sfrutta la seppur parziale unicità della squadra meno probabile di sempre. Non sarebbe stato male, dato l’accesso immediato a ciascun personaggio, trovare delle aree in cui solo l’abilità di uno o l’altro avrebbe fatto la differenza. Invece sono tutti perfettamente intercambiabili al punto che, nonostante le differenze di equipaggiamento e movimento, non c’è molto altro a distinguerli al di fuori dell’aspetto e della “caratterizzazione”.

Caotico, senza dubbio, ma privo di guizzi che possano farlo davvero piacere e con una boss fight finale bloccata dietro l’ottenimento di valuta in game per cui siamo costretti a completare missioni sempre uguali tra loro, Suicide Squad: Kill the Justice League non è solo fuori tempo massimo come GaaS (pur avendo in programma più di una stagione in futuro) ma, anche fosse stato pubblicato nell’epoca d’oro del genere, difficilmente avrebbe brillato.

La sensazione è quella di trovarsi davanti a un prodotto vuoto, che non ha niente da dire e cerca, anzi, di mostrarsi coinvolgente quando non ha i mezzi per riuscirci – e lo dico da persona a cui la ripetitività, se il loop ingrana nel modo giusto, non dispiace affatto. Il gioco è una costante ricerca del numerino più alto per fare quel poco di danno in più in situazione dove a volte la confusione è tale da non capire cosa stia succedendo, ma anche quello ben presto viene meno poiché la differenza tra le varie armi non è particolarmente sentita a meno che il divario tra le stesse non sia davvero sensibile.

In conclusione, anche dal punto di vista del gameplay Suicide Squad: Kill the Justice League non emerge, sebbene gli si debba riconoscere una costante stabilità persino nelle fasi più concitate, e unito alla narrativa rende l’ultima fatica di Rocksteady un gioco fortemente dimenticabile. Un progetto senza dubbio piagato da problematiche che hanno diluito il suo sviluppo su tanti, troppi anni, ma che anche tenendo conto di questo aspetto non giustifica certi risultati.

Un doppiaggio non sempre sul pezzo

Un’ultima nota per quanto riguarda il doppiaggio.

Lo storico doppiatore di Batman in italiano, Marco Balzarotti, è stato sostituito con Alessandro Conte e la differenza è purtroppo troppo marcata per convincere; non si tratta solo di una questione di comprensibile affetto verso un personaggio la cui voce ci ha accompagnato per anni ma, in generale, non è un timbro che si adatta a Batman. Similmente a Gianni Gaude con Deadshot. Chiara Francese, un’ottima Gamora ne I Guardiani della Galassia, sostituisce Marcella Silvestri e mette in scena una Harley che convincerebbe pure se non fosse per la scrittura completamente fuori fuoco e i toni (nel doppiaggio originale) che la rendono molto stridente e fastidiosa.

Il cambio di cast per personaggi appartenenti alla trilogia Arkham può essere dovuto a tanti fattori, considerati gli anni trascorsi da Arkham Knight, tuttavia non si può negare il sospetto che sia stato fatto proprio per distinguere Suicide Squad: Kill the Justice League dalla trilogia che l’ha preceduto, salvo poi aggrapparsi a quest’ultima con le unghie e con i denti per chiamare a raccolta i fan di vecchia data.

Stendo infine un velo pietoso sull’omaggio al compianto Kevin Conroy, la cui purtroppo ultima interpretazione di Batman trovo non solo sporcata da una sceneggiatura improponibile ma anche da un video, passati i titoli di coda, che a mio avviso trasmette soltanto una grossa ipocrisia – oltre a non c’entrare assolutamente nulla con il contesto del gioco.

Conclusione

Suicide Squad: Kill the Justice League è un gioco fuori fuoco e scoordinato sotto ogni punto di vista. Da una narrazione assolutamente dimenticabile e irrispettosa verso pressoché ogni aspetto di trama e personaggio introdotto, fino a un gameplay fuori tempo massimo e che non convince in un loop eccessivamente ripetitivo senza particolari guizzi che lo facciano emergere. Al netto di un paio di dettagli piacevole, come il diverso approccio all’attraversamento della città da parte dei quattro antieroi, o del fatto che non ci siano mai stati cali di framerate nemmeno nei momenti più concitati, è un gioco che sbaglia tantissimo. Troppo anche solo per essere salvato.

This post was published on 27 Febbraio 2024 14:45

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