Esistono sostanzialmente due tipologie di esperienze artistiche: quelle che ciclicamente riviviamo con rinnovato piacere e quelle che, invece, ci segnano in maniera così profonda da spingerci a non ripercorrerle più per il resto delle nostre esistenze.
Il tipo di tema trattato, la potenza di determinate scene, una colonna sonora incisiva, le performance di uno o più attori, la semplice scelta dell’ambientazione o dei colori prevalenti: le motivazioni che possono spingerci ad una decisione tanto drastica sono varie e, quasi sempre, afferiscono al personale; sono proprio queste ragioni a rendere sempre piacevoli i rewatch di “Mamma, ho perso l’aereo”, “I Goonies”, “Ghostbusters“, ed a rendere delle autentiche torture visive quelli di “Salò o le 120 giornate di Sodoma“, “Tetsuo: The Iron Man“, “Funny Games“, “Cannibal Holocaust“, e la lista sarebbe lunghissima.
Quanto ora detto può estendersi a qualsiasi tipo di opera, ma il concetto è che, piaccia o non piaccia, più veniamo toccati nel profondo, più in noi aumenta la paura.
Chi vi scrive aveva collocato The Last Of Us Parte II nella seconda tipologia di esperienze artistiche, arrivando al paradosso di tesserne le lodi, di menzionarlo tra i migliori videogame mai vissuti, ma allontanando al contempo ogni possibilità di riviverlo.
Tuttavia, le emozioni forti sono quelle che maggiormente definiscono chi siamo, soprattutto in base a come reagiamo ad esse. Forse è anche per questa ragione che alcuni di noi decidono di confrontarsi ciclicamente con quelle opere che hanno scavato un solco nel nostro animo: perché se quella sensazione di disagio è meno marcata, significa che qualcosa dentro di noi è cambiato.
Proprio sulla base di quanto ora scritto, ho accolto la possibilità di recensire The Last Of Us Parte II Remastered con sentimenti contrastanti: avrei dovuto rivivere una storia violenta, capace di colpirmi come un pugno nello stomaco, ma con la consapevolezza il dolore che ne consegue può essere avvertito solo da una persona sensibile, non anestetizzata e, fondamentalmente, viva.
È con questo stato d’animo che ho affrontato parte delle righe che seguono, volte sia a scoprire in che cosa The Last of Us Parte II sia effettivamente migliorato, che nel constatare quanto la ferita inferta da Naughty Dog si sia rimarginata, relegando ad essa solo l’ultima parte di questo articolo.
Sono passati quasi quattro anni da quando The Last Of Us Parte II fu rilasciato su Playstation 4, e le discussioni sull’esclusiva Playstation non si sono mai veramente placate; tuttavia, il franchise targato Naughty Dog è oggi più popolare che mai. La remaster di TLOU II è solo l’ultimo di una serie di passi con cui Sony ha attualizzato una delle sue saghe di maggior successo, anche (se non soprattutto) in ottica del suo adattamento per il piccolo schermo, realizzato da HBO.
Se il remake del primo titolo (di cui trovate la nostra recensione qui) aveva dato letteralmente nuova vita ad videogame che, dal punto di vista tecnico, non reggeva il confronto con il suo sequel, nel caso di The Last Of Us Parte II Remastered le cose stavano in tutto un altro modo.
Annunciato circa un mese fa, il titolo era una “semplice” rimasterizzazione dell’avventura di Abby ed Ellie, con tutta una serie di feature aggiuntive, contenuti tagliati, nuove modalità di gioco, tra cui spicca la mode “Senza Ritorno”, su cui ci soffermeremo appositamente.
Come in ogni remastered, una delle prime caratteristiche che tutti andiamo a ricercare sono le cosiddette migliorie tecniche, a partire dalle oramai celebri modalità Fedeltà e Performance, a seconda che si prediliga la definizione o un frame rate più elevato e stabile.
Non appena le immagini di Jackson fanno capolino, riusciamo a farci un’idea più precisa del lavoro svolto da Naughty Dog. Le texture hanno una definizione migliore, così come il sistema di illuminazione, le ombre ed il LOD hanno ricevuto un miglioramento rispetto alla loro controparte originale. Tuttavia, c’è una ragione se quanto ora detto non ci fa strabuzzare gli occhi, anzi, ce ne sono due di ragioni.
Se da una parte abbiamo ancora in mente il remake della Parte I, che ci aveva restituito un The Last Of Us rifatto quasi completamente da zero, dall’altra non si può non constatare che TLOU 2 fosse un gioco già tecnicamente avanzatissimo; questo secondo aspetto non cancella gli upgrade grafici che la remaster porta in dote, ma li rende solo meno evidenti, soprattutto a chi si aspettava il salto tecnico di un remake.
Dire Playstation 5 equivale a dire DualSense. Tutte (o quasi tutte) le esclusive per l’ammiraglia di casa Sony hanno cercato di sfruttare al meglio quello che, ad oggi, è il controller più avanguardistico del mercato console; ebbene, The Last Of Us Parte II Remastered dispone di diverse feature su questo frangente, che non potevano essere presenti nella sua versione originale.
Il feedback aptico è forse la prima novità che si nota, capace di restituire tutta una gamma di vibrazioni che, in buona sostanza, ci faranno avvertire la differenza tra i vari tipi di terreno e, soprattutto, ci restituiranno un feeling diverso a seconda dell’arma che utilizzeremo. Sotto questo aspetto, sono stati integrati anche i grilletti adattivi, capaci di farci sentire la tensione della corda dell’arco di Ellie e la “fatica” svolta nell’applicazione di un kit medico alle ferite più gravi.
Non vi nascondiamo che, sotto questo frangente, si sarebbe potuto osare qualcosina in più. Per farvi un esempio, l’implementazione del pad raggiunta in Returnal e Ratchet and Clank: Rift Apart non è presente in questa remaster, o almeno non con la stessa profondità, soprattutto lato grilletti adattivi. Stesso dicasi per l’altoparlante del joypad, quasi completamente ignorato in questa nuova versione di The Last Of Us Parte II.
Non potevano mancare delle aggiunte che giustificassero un pacchetto che, comunque, richiede il pagamento di un “biglietto di ingresso”, seppur di modesta entità per chi già possedesse la versione PS4 del videogame (appena 10 euro).
Una novità piuttosto rilevante consiste nella modalità Speedrun, con cui i giocatori più ferrati potranno sfidarsi a completare il gioco nel più breve tempo possibile, pubblicando i loro risultati in un’apposita classifica. Sempre sul versante gameplay sono reperibili diverse novità che approfondiscono non poco l’accessibilità del gioco, come le vibrazioni nei dialoghi e le descrizioni audio, rendendo l’opera Naughty Dog ancora più inclusiva di quanto già non fosse.
La sezione Livelli Perduti è una delle chicche destinate a chi ama la saga, consentendo al giocatore di esplorare ben tre sezioni tagliate dalla versione definitiva del videogame, con tanto di commenti di Neil Druckmann e degli sviluppatori che spiegano quale sarebbe stata la funzione di questi livelli, le ragioni per cui sono stati poi rimossi, dandoci la possibilità di esplorarli, seppur in una versione grezza e non definitiva.
Un’altra piacevole aggiunta è la Modalità Chitarra Libera, con cui potremo sbizzarrirci a suonare le melodie ed i brani che più ci aggradano con Ellie ed altri personaggi, senza doverci limitare a farlo nelle sezioni in cui troveremo una sei corde. In questa remastered, oltre a poter scegliere tra più personaggi, potremo sbloccare nuovi strumenti musicali, che garantiranno una gamma sonora decisamente più ampia e variegata.
Aggiungiamo a quanto ora detto la possibilità di abilitare i commenti degli sviluppatori nel corso del gioco e comprenderemo quanto questa remastered sia concepita ed indirizzata soprattutto a coloro che desiderino scoprire qualcosa in più sul secondo capitolo di The Last Of Us.
È ora arrivato il momento di assaporare la portata principale.
Come tutti sanno, purtroppo il seguito della modalità Fazioni, a cui Naughty Dog stava lavorando da anni, non vedrà mai la luce. Tuttavia, possiamo immaginare che parte di quanto già realizzato per l’online di The Last Of Us Parte II sia confluito nella mode “Senza Ritorno”, che rappresenta l’aggiunta di maggior peso di questa remaster.
In buona sostanza, Senza Ritorno è una vera e propria espansione roguelike, dalla struttura non molto diversa da quella a cui titoli come Hades e Curse of the Dead Gods ci hanno oramai abituato. All’inizio di ogni run, dovremo scegliere il nostro personaggio, il livello di difficoltà e, quindi, cimentarci in tutta una serie di sfide che, come sempre, avranno come scopo quello di sopravvivere ad ondate di nemici sempre più difficili da sgominare, raggiungendo un boss finale.
All’inizio potrete contare sulle sole Abby ed Ellie ma, man mano che supererete determinate sfide, sbloccherete tutti i personaggi principali del gioco, insieme a nuove tipologie di stage. Le mappe, inutile dirlo, sono le stesse in cui vi siete imbattuti nella main quest, ma la difficoltà principale consiste proprio nelle meccaniche survival dell’opera, anche qui presenti.
Ogni personaggio partirà con un equipaggiamento e delle abilità diverse: se Ellie rappresenta il giusto compromesso per i neofiti, Abby è un personaggio maggiormente votato al corpo a corpo, Dina è una maestra del crafting, mentre Tommy porterà in dote il suo fucile personalizzato, accompagnato dall’impossibilità di schivare i colpi nemici, ecc. Tuttavia, superando i vari stage, potrete accumulare pezzi con cui potenziare le armi, integratori con cui ottenere nuove abilità ed una valuta con cui allargare l’arsenale o anche solo rimpolpare l’inventario.
La varietà di sfide e di modificatori che Senza Ritorno garantisce è sufficiente ad avvincere i giocatori che masticano questo genere: non avremo lo stuolo di oggetti e combinazioni di The Binding of Isaac, ma quanto visto è più che commisurata a quella che, occorre ricordarlo, è un’espansione.
Ciò che convince un po’ di meno è il connubio tra meccaniche survival e quelle dei roguelike. Se The Last Of Us è sempre stato un gioco dove ogni passo andava calibrato con precisione, cercando di non sprecare proiettili, scegliendo l’approccio ed il percorso migliori, la seconda tipologia di opere fa spesso della velocità di pensiero e d’azione il proprio fulcro ludico, che non può fare a meno del semplice muoversi con velocità per schivare i colpi nemici.
Quanto ora descritto cozza non poco con le meccaniche di TLOU, il cui spirito survival non ci farà mai navigare nelle munizioni e correre in scioltezza da un lato all’altro della mappa di gioco. In molti match di Senza Ritorno, ci siamo trovati con tempi stretti (tendenti allo strettissimo) per esplorare le mappe alla ricerca di materie prime, relegando il crafting o quando ci troveremo al sicuro nel covo (tra un livello ed un altro) oppure negli appena 15 secondi di pausa tra un’ondata ed un’altra.
Il semplice fatto di affrontare le ondate tutte all’interno della stessa mappa, senza una progressione per stanze da “ripulire”, rende l’azione un po’ caotica, arrivando anche al paradosso che, nelle battute iniziali, potremmo trovarci un’intero gruppo di nemici che spawna alle nostre spalle, mandando le nostre strategie a farsi benedire e conducendoci ad un quasi sicuro Game Over.
Nonostante “Senza Ritorno” sia una modalità decisamente interessante, c’è qualcosa da limare.
Chi vi scrive ha lasciato volutamente questo punto per ultimo perché, ricollegandoci a quanto detto in apertura di articolo, si parlerà di sensazioni strettamente personali.
Sono passati quasi quattro anni dalla release di The Last Of Us Parte II, e se è vero che le discussioni sul videogame non si sono mai veramente placate, è altrettanto vero che adesso è possibile avere il sangue sufficientemente freddo per capire quanto grande e profondo sia stato l’impatto di un’opera di questo calibro.
Ebbene, dopo aver rivissuto l’epopea di Abby ed Ellie, è possibile affermare che questa, da un punto di vista emotivo, non risulta invecchiata di un solo giorno. La violenza di alcune scene continua ad ispirare la stessa repulsione in chi le guarda, il pad continua a pesare nelle mani di chi è costretto ad eseguire azioni terribili ed ineluttabili, desiderando un esito diverso ma, purtroppo, impossibile: la fiamma della vendetta consuma e distrugge tutto ciò che trova sulla sua strada.
Non c’è più nessuno spoiler da fare sulla trama di TLOU II, ma il suo carico emotivo non ha risentito dello scorrere del tempo, continuando a colpire duro in egual misura sia chi lo gioca per la prima volta che chi ha follemente deciso di riviverlo. Tuttavia, questo dolore, questo disagio, questo senso di smarrimento sono forse il lascito più grande di Druckmann e soci.
The Last Of Us Parte II Remastered non fa sconti a nessuno. Tuttavia, se avete empatizzato almeno un po’ con il dolore delle due protagoniste, se in un’epoca come la nostra, in cui la violenza è sempre più parte integrante del quotidiano, non siete rimasti indifferenti a ciò che avete visto sullo schermo, porterete con voi la consapevolezza di essere ancora umani.
Questa remaster è la prova lampante di quanto il tempo sappia essere galantuomo: lasciando intatto il fascino di una gemma videoludica e consentendo a tutti di poterne godere in un contesto, finalmente, privo della tossicità che ne aveva accompagnato la release.
The Last Of Us Parte II Remastered ha il non facile compito di “aggiornare” uno dei capolavori della passata generazione, cercando di aggiungere contenuti e di dare, quindi, nuova linfa ad un videogame completamente story driven. Da un punto di vista tecnico, il risultato può dirsi riuscito, dato che l’opera di Naughty Dog, già splendida di suo, fa una figura ancora migliore su Playstation 5; dal punto di vista dei contenuti aggiuntivi, si cerca di venire incontro tanto agli appassionati della saga (con i Livelli Perduti ed i vari Dietro Le Quinte), quanto a chi si avvicina al gioco per la prima volta (con la modalità Senza Ritorno). Quest’ultima mode può dirsi un esperimento parzialmente riuscito, con degli angoli da smussare ma capace di intrattenere anche coloro che avessero bisogno di una semplice “scusa” per tuffarsi nuovamente in uno degli scenari post apocalittici più riusciti della storia dei videogame. Tutto questo ad un costo di €10 per chiunque possedesse già la versione PS4 del titolo.
Se non vi siete mai addentrati nel secondo capitolo di The Last Of Us, potreste non avere un’occasione migliore di questa, a patto di essere pronti ad un’esperienza forte e capace di segnarvi nel profondo.
This post was published on 16 Gennaio 2024 16:00
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