Ogni essere umano ha sempre, da sempre, ha avuto bisogno di qualcosa in cui credere.
Non importava che si trattasse di una manifestazione sensibile, anzi, quando si parla di “credere”, è quasi implicito che non si debba ricercare fattualità. La fede ha ragioni che la ragione non conosce, volendo parafrasare Pascal. E sarebbe limitante costringere la fede a un semplice discorso religioso.
Uno degli aspetti, ancora estremamente vivi nel mondo moderno, che rispecchia alla perfezione le derive di una fede cieca, che i fedeli tentano però di elevare a scienza o, quantomeno, di trattare con pari dignità, è l’astrologia. Tutti conoscono il proprio segno zodiacale. Ognuno di noi poi, secondo i modi che ha di percepire il mondo, tende a darvi più o meno peso nel computo di una giornata, di un’esperienza, di una vita.
Sarà capitato a chiunque di trovarsi faccia a faccia con qualcuno che proclama di poterci leggere, di poterci conoscere, semplicemente conoscendo il nostro segno, finendo molto spesso col dare valutazioni estremamente sommarie, in cui chiunque a modo suo, riesce a rivedersi. Si è sempre i peggiori giudici di se stessi, d’altronde.
Giocando Astral Ascent, il titolo di Hibernian Workshop e MP2 Games, mi sono ritrovato di fronte a un roguelite dalla struttura classica per molti versi ma, come solo i giochi eseguiti egregiamente permettono di fare, ha instillato in me il seme della riflessione, una riflessione che non può che partire da una base solida: da dove nasce l’astrologia intesa come attribuzione di sensazioni al roteare delle stelle e al loro posizionamento, nei vari periodi dell’anno?
La risposta arriva da molto lontano, sia temporalmente che spazialmente. Bisogna infatti scavare tra i frammenti degli antichi babilonesi o caldei come erano soliti chiamarli Erodoto e Ctesia, due dei più grandi storici greci da cui è stato poi possibile apprendere tanto della città di Babilonia e dei miti che ha lasciato, per l’umanità che sarebbe arrivata.
Intono al IV secolo a.C. infatti, la civiltà di Babilonia iniziò ad alzare lo sguardo, a osservare il cielo. Iniziarono a cercare di dare un senso a quei puntini che vedevano, fissi e apparentemente immutabili. Che fossero rappresentazioni divine? La risposta, per i babilonesi, non poteva che essere affermativa, d’altronde qualunque rappresentazione sensibile, era considerata come messaggio divino e per ogni segnale, era necessaria una disciplina diversa, dall’epatoscopia (leggere il fegato e le viscere di bovini sacrificati) alla libanomanzia (analizzare le forme che assumeva il fumo dell’incenso).
L’astrologia, secondo quanto riportato dai babilonesi stessi, esisteva già prima che loro si stabilissero in Mesopotamia ma furono loro i primi a darle la forma di una scienza, anche grazie all’opera di sovrani illuminati come Nabucodonosor II, a cui dobbiamo tante delle memorie che ancora oggi vengono tradotte e interpretate, permettendoci di conoscere la radici dell’umanità moderna.
Ciò che è importante in questa sede però, è capire quale sia la ratio dietro l’astrologia: la profetizzazione. Gli astrologi (o astronomi che dir si voglia, al tempo si trattava di figure quasi sovrapponibili) erano sacerdoti incaricati di riconoscere i segni che le divinità inviavano, per comunicare con gli esseri umani. Divisero il cielo in 12 parti, assegnando a ogni frazione un “segno”, i cui influssi dipendevano dal periodo (la Bilancia per esempio indicava l’equilibrio autunnale).
Tale disciplina venne poi ripresa e approfondita dai greci, a cui si deve anche il termine “Zodiaco” che dalle radici di due parole (ζῴδιον = segno celeste, che a sua volta deriva da ζῷον = animale; κύκλος = circolo) indicava il circolo dei segni celesti, 12 segni, 12 presagi utilizzati dai profeti (vi sarebbe in realtà un tredicesimo segno, Ofiuco, ma faceva più effetto che i segni fossero solo 12 come i mesi dell’anno).
Viene dunque da chiedersi, come sia possibile che una disciplina così tanto lontana nel tempo, empiricamente fallace, sia sopravvissuta. Il filosofo Leibniz scriveva nella Monadologia:
Non v’è cosa che accada in un luogo qualsiasi del mondo che non influenzi in qualche maniera tutte le cose esistenti
Come ho scritto all’inizio, ogni essere umano ha sempre, da sempre, avuto bisogno di qualcosa in cui credere. Come avevo già accennato nella recensione di Lords of The Fallen, la fede può diventare un’arma pericolosa. Astral Ascent a modo suo, affronta questo grande quesito: L’uomo ha bisogno di credere in qualcosa, per considerarsi completo? La fede può tramutarsi in vera e propria prigione?
Astral Ascent è un roguelite in 2D in cui, quattro “eroi” dovranno trovare una via di fuga da una prigione astrale chiamata “The Garden”. A cercare di impedire la fuga, volta per volta, vi saranno dei potenti guardiani, forti e spietati eppure così umani: gli Zodiacs, delle raffigurazioni antropomorfe dei segni dello Zodiaco.
Quello che potrebbe sembrare un semplice pretesto, racconta invece molto di più: quella di Astral Ascent è una storia di estrema ingiustizia e di radiante umanità, che fiocca da ogni dialogo, da ogni scambio di battute, da ogni scontro e incontro. Persino gli Zodiacs, i boss della storia (o meglio, alcuni dei boss) riveleranno un lato umano che ci permetterà di conoscerne la personalità, le pulsioni, le motivazioni.
I quattro personaggi che interpreteremo e che potremo scambiare alla fine di ogni run, saranno tutti ben caratterizzati, evitando di cadere in cliché di scrittura che titoli simili potrebbero manifestare. In fondo, a chi frega della narrativa in un roguelite? Eppure, un racconto così ben articolato, con così tante linee di dialogo che rispondono perfettamente agli avvenimenti della storia, permette di capire per bene quale sia il livello di attenzione che una software house, per quanto piccola e indipendente, riesca a infondere nel proprio lavoro.
Ogni personaggio inizierà a conoscere i vari Zodiacs, che inizieranno a reagire in maniera differente in base a come sono andati gli scontri precedenti e al tipo di personalità che i personaggi mostrano con loro. Potrà sembrare una cosa da poco, considerando che non è certo il primo titolo a fare qualcosa di simile — basti pensare ad Hades o Have a Nice Death — tuttavia, per un team piccolo come quello di Hiberian Workshop, risulta sicuramente lodevole vedere i risultati ottenuti.
Il team francese infatti, quando ha iniziato lo sviluppo di Astral Ascent, era stremato secondo quanto raccontato in un resoconto sul loro sito: lo sviluppo del gioco precedente, Dark Devotion aveva sfiancato il minuto team di sviluppo, che aveva bisogno di nuovi stimoli, nuove ispirazioni.
Ed ecco che la risposta arriva dalle stelle.
Astral Ascent utilizza un pretesto, un po’ come faceva lo stesso Dark Devotion, per trainare il giocatore in un gameplay loop soddisfacente e bilanciato, ne parleremo meglio tra poco. Eppure, vedere come non venga dato nulla per scontato, aiuta a vivere quel pretesto in maniera più vera, riflettendo quelle sensazioni sul gameplay. Dopo svariate ore di gioco, si potrebbe arrivare a scegliere il personaggio non in base alle skill di ognuno ma in base al mood che si vuole che venga trasmesso: giocando Ayla, su di me sentivo la responsabilità dell’essere l’ultima della Gilda degli Assassini e lottavo con l’intento di rivedere, un giorno, mia madre e le mie sorelle; sceglievo invece Kiran, quando volevo sentirmi più leggero e scanzonato, facendomi due risate grazie alle punchline di un dongiovanni belloccio e potente.
Tutto questo è sintomo di grande empatia da parte degli sviluppatori: in un titolo 2D, trovare personaggi così tridimensionali aiuta a rendere interessanti anche le fasi di riposo all’hub di gioco. Forse sarà stato troppo sentimentale, ma che volete farci, sono dei Pesci io.
Di roguelite ne è pieno il mondo.
Si tratta di uno di quei generi che, grazie al mercato indie, è riuscito a formare una sfavillante nicchia di appassionati che ricercano ormai con estrema attenzione, titoli che possano competere con i colossi del genere. Astral Ascent è un roguelite platform in 2D che si dimostra come il perfetto prosieguo del tragitto intrapreso da Hibernian Workshop, con lo sviluppo di Dark Devotion.
Il precedente titolo infatti, è anch’esso un roguelite sebbene manchevole di alcune meccaniche basilari di tale genere, come la generazione procedurale dei mondi (ma su cosa sia un roguelite e cosa no, bisognerà parlarne in altra sede). Ciò su cui gli sviluppatori sono riusciti a migliorare sensibilmente, è la fluidità di quanto avviene a schermo.
Il gameplay di Astral Ascent è infatti molto semplice nelle sue meccaniche di base: un singolo tasto con cui attaccare, un tasto per le magie, un tasto per saltare, uno per il dash e uno per la “mossa speciale”, diversa per ognuno dei 4 eroi. La mappatura sia sul pad che sulla tastiera risulta già di suo, estremamente intuitiva. Nonostante ciò, vi è la possibilità di riassegnare i tasti, in caso si trovi scomodità.
Una tale semplicità nei comandi, ha permesso al team di restringere il processo di sviluppo a poche meccaniche, senza andarsi a impelagare in idee che, per forza di cosa, si sarebbero rivelati tentativi mal sviluppati di aggiungere innecessaria profondità (vero Lords of the Fallen?). Questo si è tradotto in un gameplay estremamente pulito e responsivo; dalla pressione di ogni tasto esce fuori la natura arcade del titolo.
Veloce, dinamico, un gioco che senza fronzoli permette al giocatore di immergersi nell’esperienza; non servirà studiare personaggio per personaggio, nemico per nemico, per rendersi conto di come contrastare determinate minacce. Questo è reso possibile anche dal fatto che, nonostante molti nemici e soprattutto molti boss risultino ostici, soprattutto le prime volte che li si incontra, a schermo vi saranno tanti input visivi e sonori che permetteranno di riconoscere un attacco anche se non lo si è mai visto o lo si è esperito solo poche volte.
Dei rettangoli rossi per esempio che indicano dove il colpo di un nemico sta per cadere o dei “sentieri” che indicano il percorso che un missile nemico percorrerà. Si potrebbe pensare che simili meccaniche rendano il gioco estremamente semplice, eppure non è così: l’obiettivo è semplicemente quello di spostare il focus della difficoltà.
Ciò su cui bisognerà concentrarsi infatti, una volta acquisito un certo know-how della base del gioco, sarà affinare l’istinto e renderlo il nostro migliore amico. Avanzando nei livelli infatti, a schermo appariranno sempre più nemici, via via sempre più ostici.
A un certo punto dunque, non si avrà più il tempo di fermarsi a osservare l’incedere dell’avversario, perché un altro alle spalle sarà già pronto coinvolgerci in un’esplosione micidiale; riconoscere i singoli input dovrà diventare un lavoro di collegamento dito-cervello rapido e automatico, unica speranza se si vuole arrivare fino in fondo al titolo.
E fidatevi, ne vale la pena.
Alla luce di quanto scritto, si potrebbe pensare di andare incontro a uno di quei titoli che mettono solo voglia di gettare il pad al muro, fare una doccia e giocare ad Animal Crossing ma, per fortuna, Astral Ascent è uno dei titoli più bilanciati che si possano trovare al momento nel genere.
Il titolo ha un suo crescente grado di difficoltà, che permette al giocatore, sia esso esperto o novizio del genere, di acquisire dimestichezza coi comandi in maniera graduale senza mai farlo sentire “punito”. Si tratta di un titolo che lascia tutto nelle mani del giocatore e che mai fa percepire la sconfitta come qualcosa di artificiale.
Run dopo run, un tentativo di fuga dietro l’altro, si riuscirà a rendersi conto in maniera pratica di come il titolo tenda al miglioramento del giocatore, non cercando nemmeno per un secondo di essere quel gioco di cui si parla solo per la sua estrema difficoltà. È poi vero che da buon roguelite, a dominare è la casualità del mondo di gioco ma, anche in questo caso, il lavoro di programmazione si rivela eccellente.
Sarà quasi impossibile incappare in una run senza potenziamenti adeguati, senza cure, senza possibilità di implementare il proprio personaggio. Tutt’altro: nonostante i vari livelli di un piano siano casuali e da esplorare anche con una discreta attenzione, per non perdersi nessuna chicca nascosta, la composizione dei piani risulta abbastanza fissa, alternando a tre/quattro stanze con nemici una stanza “bonus”, in cui ci si può curare, si possono raccogliere Quartz (una delle valute in gioco), si possono ottenere potenziamenti, eccetra.
Una volta appreso questo sistema, sarà possibile giocare in maniera anche più rilassata, riuscendo a capire quando è necessario tenersi sulla difensiva o quando va bene gettarsi nella mischia, consapevoli che la stanza dopo sarà il Bar di Andromeda, in cui sarà possibile curarsi e sorseggiare pozioni di potenziamento.
A ciò si aggiunge anche la possibilità di scegliere tra quattro personaggi con stili di lotta molto diversi tra loro, che bene si adattano alle esigenze di ogni giocatore. Sebbene per finire il gioco in toto, sarebbe necessario completare ogni personaggio, è anche vero che nessuno vi punterà una pistola alla tempia (forse solo Octave, il personaggio con le pistole eteree) e che potrete giocare Astral Ascent coi ritmi che più vi si addicono.
Vi sono personaggi più immediati, come Ayla che, guardacaso, è il primo personaggio giocabile dell’avventura, le cui abilità non richiedono posizionamenti incredibilmente precisi e che rivela i suoi assi nella manica, tramite manovre che le permettono allo stesso tempo di cagionare ingenti danni e di dileguarsi a estrema velocità, grazie per esempio alla Signature Spell.
Dopo una ventina d’ore sul titolo, devo però dire che il mio personaggio preferito rimane Kiran: con pugni infuocati, si getta nella mischia e mena a mani nude, mutuando certe tecniche da alcuni titoli picchiaduro classici come lo Shoryuken di Ken della serie Street Fighter. In realtà, il personaggio in sé parrebbe un grande tributo al Ken di Street Fighter, non a caso la sua mossa iniziale prende il nome di “Firey Dragon Punh” e il “Dragon Punch è anche il nome con cui è più noto lo Shoryuken. Tuttavia, il motivo per cui lo ritengo più interessante di altri è che presenta una meccanica unica di parry: con la sua “mossa speciale” (Signature Spell) è possibile bloccare un attacco e rispondere in automatico, con una serie di colpi, solo se si riesce a eseguire il blocco col tempismo esatto. Una meccanica che rientra nella categoria delle “high risk – high reward“, in grado di far provare il giusto brividino all’utilizzatore.
Il discorso sulla difficoltà potrebbe venir condensato, dicendo che nonostante Astral Ascent presenti un sistema di magie e di progressione di tutto rispetto, è quel tipo di gioco in cui basterebbe capire bene i tempismi di ogni nemico per battere chiunque ci si pari davanti, senza bisogno di mezzo potenziamento. Ad aiutare sono anche le hitbox di ogni colpo nemico, estremamente oneste, in grado di restituire perfettamente a schermo le sensazioni che percepisce l’occhio, senza cadere in frustranti tranelli di colpi fantasma e imprecisi (VERO, LORDS OF THE FALLEN?).
Restando un attimo in tema “difficoltà”, è necessario segnalare come il titolo sia pensato per essere giocato in co-op in due giocatori. A differenza di altri titoli in cui tale meccanica è presente, qui l’implementazione permette di godere a pieno di una run di coppia, senza che si perda la natura del titolo.
Ogni giocatore ha i *suoi* oggetti tra cui scegliere, evitando di correre il rischio di sottrarre potenziamenti importanti al compagno, come avviene in titoli come The Binding of Isaac, in cui la modalità cooperativa è presente ma che, spesso, finisce con lo sbilanciare il livello di potenza di uno dei due giocatori rispetto all’altro.
Inoltre, a differenza proprio di Isaac, preso in esame in quanto capostipite di questo filone ludico, il livello di difficoltà del mondo, dei nemici incontrati e dei boss, diventa maggiore quando si gioca in due; nelle boss fight in particolare, l’impressione è che i punti vita raddoppino, seguendo un po’ il modello dei Souls.
In generale, Astral Ascent risulta estremamente godibile anche in compagnia, in grado di offrire del tempo di qualità quando si cerca un roguelite da giocare con qualcun’altro. Non si arriva sicuramente ai livelli di profondità cooperativa di un Gunfire: Reborn, ma grazie al sistema di magie che vedremo tra poco, si può dare vita a scenari distruttivi oltre ogni dire.
Passiamo ora al gameplay inteso in senso più stretto e un pelino più tecnico.
Astral Ascent com’è intuibile per chi ha letto fino a questo punto, non va sicuramente a innovare nulla del genere roguelite; ne riprende alcuni stilemi partendo da giochi come Hades soprattutto e rielabora il tutto per renderlo divertente da giocare.
Tuttavia, ciò che meglio è riuscito al titolo è il sistema di potenziamenti. Ognuno dei 4 personaggi giocabili, all’inizio di ogni tentativo di fuga, presenta 4 slot in cui è possibile equipaggiare delle magie. Inizialmente, gli slot non saranno vuoti ma sarà presente un’unica magia, ripetuta per tutti e quattro gli slot. Durante la progressione dunque, l’obiettivo sarà quello di trovare i potenziamenti che più si addicono al proprio stilo di gioco.
Le magie non solo potranno essere ottenute come ricompense, alla fine delle stanze ma anche come premi intermedi, acquistate tramite Quartz in determinate stanze, ottenute come premi speciali in stanze specifiche (quella del Sole o della Luna per esempio). Poter cambiare con estrema facilità il proprio setup durante la progressione delle singole run, permetterà di riuscire ad avere un’idea estremamente vasta di quello che Astral Ascent può offrire, già solo dopo qualche partita.
Per utilizzare le spell, sarà necessario il mana e ancora una volta, Astral Ascent dice no alla frustrazione: il mana si ricarica, semplicemente, colpendo con attacchi base i nemici. Non si corre quindi il rischio di restare sforniti di potenti magie troppo a lungo.
Man mano che si gioca inoltre, sarà possibile sbloccare nuove magie da uno degli NPC dell’hub di gioco, così che vengano rese disponibili per ognuno dei personaggi. Ciò che rende più interessante il sistema, è la possibilità di assegnare dei bonus passivi a ogni magia. Ognuna di queste infatti, avrà a disposizione quattro mini slot chiamati “Gambit”; ogni gambit potrà essere riempito con potenziamenti che potranno essere trovati in giro o acquistati.
Qui viene fuori la strategia dietro la costruzione di una build: bisognerà infatti, nei limiti della proceduralità, cercare di costruire una build che magari giri tutto sullo stesso elemento (Fuoco, Ghiaccio, Fulmine, Veleno) così che se su una spell viene equipaggia un’abilità passiva che mi permette di infliggere in automatico un danno di Fuoco, la spell subito successiva potrebbe avere un’abilità che aumenta i danni di Fuoco del 15%. Et voilà, ecco che nasce una combo.
Mentre i Gambit sono potenziamenti degli incantesimi, le Auras sono potenziamenti passivi del personaggio. Gli slot aura disponibili, aumenteranno fino a un massimo di 4, col progredire delle run. C’è poco da dire in realtà: si tratta appunto di potenziamenti passivi, che sempre per come proceduralità comanda, potrebbero aiutarvi nella costruzione di una build, andando in combo con le magie già equipaggiate. Potreste puntare a una build per il regen di vita, una per il regen di mana, una per fare più danni o per rendere vulnerabili gli avversari agli effetti di stato.
Insomma, Astral Ascent dietro la maschera di indie in pixel art nasconde una bella profondità ludica. Come già detto, non parliamo di nulla di troppo innovativo dato che ricorda altri titoli con sistemi simili (mi viene in mente Spellbreak, così su due piedi) ed è forse qusto il più grande difetto di Astral Ascent: guardare in una direzione e vedere fin troppo nettamente da dove potrebbe arrivare quello che si esperisce. Ma si può facilmente perdonare, dato che funziona tutto alla grande.
Parliamo d’arte e non de sarcicce, per citare Boris.
Dunque, il discorso sulla resa visiva del gioco, è forse ciò che di più fa storcere il naso. Sembra quel neo che, illorda la magnifica e uniforme opera che si è difesa bene fino alla fine.
Ma partiamo dalle cose positive.
A livello di prestazioni ci siamo, il gioco è solido, mai una volta ha presentato bug, crash o strani artefatti grafici. A livello sonoro, il team francese ha compiuto un altro bel lavoro, riuscendo a creare musiche ambientali immersive, mixandole alla perfezione coi suoni ambientali.
La gestione stereofonica è ben eseguita e aiuta molto, tornando al discorso dell’istinto.
Molti attacchi, soprattutto dei boss, hanno suoni unici che permettono di riconoscerli, offrendo un ulteriore input nella frenesia generale, che male non fa.
Gli sfondi sono molto affascinanti, con figure torreggianti non meglio identificate (il mio livello di cultura generale, mi avrà sicuramente impedito di consocere gran parte degli elementi che componeva gli sfondi). I biomi sono il primo tasto dolente: al netto di cambiamenti cromatici, che permettono di capire quale sia il regno d’acqua, quale quello di fuoco e così via, non ci sono grosse sorprese. Anzi, l’occhio del giocatore si adatta con estrema facilità al cambiamento dei vari biomi, il che potrebbe essere un bene anche se, in questa sede, viene da ritenerlo un peccato vista la buona gestione della pixel art.
E veniamo al punto più deludente: il character design di protagonisti e Zodiacs. Partendo dai protagonisti, nessuno è disegnato con qualche tratto memorabile. Restano tutti in un assordante anonimato, che viene interrotto da diversi comprimari, molto più interessanti nel design. Come in un anime di seconda categoria, il character design, ciò che dovrebbe essere il biglietto da visita, risulta invece ciò che rischia di trascinare Astral Ascent nel più totale anonimato.
Per non parlare poi degli Zodiacs.
Potrebbe essere apprezzabile che non siano voluti scadere nel cliché, mutuato da Saint Seyia, di ricreare visivamente i segni dello Zodiaco, sequendo pedissequamente le associazioni a cui i nomi riportano (non hanno fatto Taurus con le corna, per dire). Il risultato però è la caduta in design anonimi e dimenticabili. Si sarebbe sicuramente potuto fare di più: potenzialmente, gli Zodiacs sarebbero potuti essere degli arieti per l’interesse generale verso il titolo. L’occhio vule la sua parte, soprattutto in un titolo che promette tanto, nonostante la sua natura indie.
Astral Ascent è la seconda opera dello studio Hibernian Workshop, che dimostra una grande crescita del team francese rispetto a Dark Devotion, soprattutto in termini di gameplay ma non di atmosfere e design generale. Tuttavia, il titolo risulta estremamente bilanciato, “easy to learn, hard to master” si potrebbe dire, con meccaniche di base molto semplici, in cui a dominare diventa soltanto l’istinto. Lo Zodiaco tutto, ci farà sentire ingabbiati, così come pare gli sviluppatori si sentano ingabbiati nel mondo dell’anonimato, non riuscendo a proporre design accattivanti. Giordano Bruno scriveva:”Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. […] Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco” e l’augurio è proprio che i ragazzi di Hibernian riescano a modificare ciò che non va in quello Zodiaco, perché quello che c’è all’esterno è di fattura eccelsa.
This post was published on 30 Novembre 2023 17:15
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