Questa recensione va aperta con una premessa:
Journey to Foundations è uscito un mese fa, il 26 Ottobre. Il codice è arrivato a ridosso del Lucca Comics e quindi per il primo avvio ho dovuto aspettare fino al ritorno. Poi mi sono scontrato molto rapidamente con la realtà dei giochi per VR: non importa quanto possano essere belli, per molte persone rimarranno sempre poco accessibili. Un po’ perché per giocare ci vogliono 10 minuti di sola preparazione, tra il giusto spazio e il setup, un po’ perché per chi come me non gioca ogni giorno al VR il motion sickness è un po’ il boss di fine livello. Fare sessioni di gioco più lunghe di 40 minuti è stato arduo e questo ha, insieme agli impegni di vita, ritardato la recensione fino ad oggi.
Journey To Foundation (JtF) è un’avventura in prima persona VR uscito il 26 Ottobre per Quest 2 e Playstation 5 sviluppato da Archiact e basato sul ciclo delle fondazioni di Asimov. Per gli amanti del sci-fi, rimasti a secco fino ad oggi, l’arrivo di JtF è una rinnovata speranza che forse le opere del padre delle tre leggi sulla robotica possono ancora suscitare il giusto interesse da parte del mondo dei videogiochi.
La sua natura di gioco VR lo porta a polarizzare l’esperienza del giocatore. O lo si ama per la sua natura VR o lo si odia. Non mi dilungherò personalmente in questa diatriba, poiché appartiene più alla natura dei giochi VR in sé che al gioco stesso. Ma
Ma quindi, Journey to Foundations, com’è?
Immediatamente il gioco ci mette nei panni dell’agente Ward, un agente della Commissione per la Sicurezza Pubblica dell’impero galattico. Un’organizzazione paramilitare non troppo differente da una gestapo meno violenta, il cui scopo è mantenere l’ordine nell’impero e impedire la sua caduta.
La premessa narrativa dietro ciò è che un profeta, secoli addietro, ha predetto la fine dell’impero galattico, e proprio a ridosso della data profetizzata si è avverata una crisi e tocca all’agente Ward risolverla.
L’evolversi dell’intreccio porterà l’agente Ward in una posizione critica che la vedrà protagonista e a capo di decisioni critiche che impatteranno il futuro dell’intera galassia.
Per aiutarsi nell’incarico, l’agente Ward farà utilizzo del suo potere psichico di leggere le emozioni e i pensieri superficiali, elemento che tornerà perfettamente utile per le sue indagini.
La trama è bella e ha il giusto ritmo.
Gli amanti di Asimov possono apprezzarla appieno e godere dei dettagli e riferimenti presente, ma per tutti gli altri risulta scarsamente accessibile, anche con l’enciclopedia offerta dal gioco. Mettere il giocatore nei panni di un personaggio che prende decisioni di vitale importanza senza il tempo di familiarizzare con il mondo ha come risultato un info-dump senza pari nei primi minuti di gioco. Le informazioni presentate sono poi così tante e di fila che molte delle nozioni verranno dimenticate.
Journey to Foundation soffre di qualcosa che molti giocatori di ruolo conoscono benissimo: la differenza di conoscenza tra giocatore e personaggio è causa di una forte dissonanza. È difficile immergersi nei momenti catartici in cui bisogna prendere delle decisioni se non si conosce bene il peso delle scelte.
Sebbene con le ore di gioco questa sensazione diminuisca, questa dissonanza è un forte deterrente e barriera per i giocatori. Aggiungendosi poi alla barriera di “gioco VR” crea un prodotto di qualità ma narrativamente difficile da godere.
Journey to Foundation è in tutto e per tutto un gioco d’avventura. Ci sono puzzle ambientali, momenti parkour e fasi di shooting, il tutto su delle rotaie cinematiche. In aggiunta ai classici del genere però JtF mette anche una grande enfasi sulle scelte del giocatore durante i dialoghi. Scelte che non sempre avranno conseguenze a lungo termine, ma che risultano molto spesso piacevoli e permettono un leggero roleplay.
Eppure, il gameplay di Journey to Foundation è riassumibile con “né carne né pesce“.
Durante il suo percorso l’agente Ward si trova a fare tante cose ma nessuna di queste spicca sulle altre; lo shooting è impreciso, i puzzle sono un po’ semplici e il parkour è limitato e non richiede particolare abilità per essere eseguito.
Proprio l’abilità di punta della protagonista non sempre è sfruttata al massimo, ci sono diverse occasioni sprecate e in alcuni momenti sembra quasi andare in secondo piano. Usare il potere non solo sbloccherà solo dialoghi in più, per giunta non sempre determinanti, ma il gioco spesso rovina l’esperienza mostrando la possibilità di un ulteriore punto di dialogo non sbloccato senza il potere. Forse sarebbe stato meglio lasciare al giocatore l’uso del potere, così da donargli anche il merito della scoperta.
In più il level design e le indicazioni delle quest non sono sempre chiare.
Solitamente i videogiochi trovano diversi strumenti per guidare inconsapevolmente il giocatore sulla strada giusta, (il rosso in Mirror’s Edge ad esempio) e in JtF ho percepito questa cosa mancare in alcuni livelli. Mi è capitato più volte di non capire cosa dovessi fare o non riuscire a distinguere qualcosa di “interagibile” da qualcosa di non.
Insomma Journey to Foundation dispone tante colonne nelle sue fondamenta, ma lascia sempre il pensiero che forse sarebbe stato più bello dedicarsi a meno colonne e costruirle più solide.
È tempo di una breve parentesi sul motion sickness: il gioco offre le classiche implementazioni dei movimenti e della rotazione della camera e sono implementate decentemente. Il problema sorge nelle fasi di azione e parkour, dove il movimento per teletrasporto risulta un enorme ostacolo al divertimento e il movimento fluido può generare forti sensazioni di motion sickness, come (purtroppo) è capitato al sottoscritto.
Questo è un problema ereditato un po’ dalla natura VR del gioco, ma che JtF non ha provato realmente a risolvere in nessun modo magari attraverso vignettature selezionabili o velocità di movimento della telecamera regolabili.
Per quanto riguarda il comparto tecnico, Journey to Foundation regge il test su Oculus Quest 2. Grazie all’utilizzo di texture fumettose e un leggero cel-shading, JtF dona scorci piacevoli e a nasconde con successo imperfezioni senza sacrificare troppo le performance.
Anche il comparto visivo di JtF è dunque senza particolari infamie o lodi: se da un lato il colpo d’occhio è sempre curato, i dettagli a volte possono essere carenti e soprattutto l’interfaccia grafica è un inferno da navigare.
Le musiche che incorniciano le gesta dell’agente Ward contribuiscono a costruire un atmosfera fantascientifica quasi nostalgica e accompagnano sempre con la giusta cadenza le azioni di gioco. Il doppiaggio è fatto di alti e bassi, con alcuni personaggi che risultano piatti e altri invece che raggiungono l’eccellenza.
La nota finale va ai sottotitoli, che vengono posti in basso come è solito fare, ma nei giochi VR risulta scomodo e obsoleto. L’industria dei videogiochi ha da tempo trovato possibili soluzioni a questo problema e in un gioco che mette enfasi sulla lettura delle emozioni, e quindi anche sulle espressioni facciali, abbassare lo sguardo di diversi gradi non solo è scomodo ma controproducente.
Nonostante tutti i suoi difetti, Journey to Foundation è un bel primo passo nella giusta direzione. È bello che le opere di Asimov ricevano attenzione dal mondo dei videogiochi e tutto sommato è un’esperienza godibile e varia. Al netto di tutti i bassi presenti, i picchi alti lasciano il segno e faranno contenti gli amanti del genere.
This post was published on 26 Novembre 2023 21:00
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