NDR: abbiamo scritto questa recensione dopo aver macinato una buona trentina di ore di gioco, abbastanza per arrivare a quasi completare la run di Claude e per valutare alcune differenze rispetto l’originale prendendo in esame la run con Rena; dio benedica il fast forward e gli skip dei filmati!
C’era una volta la saga di Star Ocean, nata dalle costole degli sviluppatori che si erano occupati del primissimo Tales Of e migrati poi sotto l’ala protettiva di Squaresoft sotto il nome Tri-Ace. Il primo Star Ocean vide i natali durante il corso degli ultimi giorni di vita del Super Famicom, con la prima Playstation alle porte pronta per rivoluzionare il mondo dei videogiochi.
Tra le prime rivoluzioni nate in casa Sony, ad esempio, c’è Final Fantasy 7: un videogioco che tra le molteplici cose che ha fatto (vedi far infestare di poste di Sephiroth le camerette dei ragazzini edgy) è riuscito anche a spodestare il mondo Nintendo dall’universo dei giochi di ruolo, trasformando Playstation nel sistema di riferimento.
È in questo contesto che Tri-Ace venticinque anni fa ha partorito con tanti sforzi Star Ocean: The Second Story, un videogioco che partendo dalle basi poste dal primo capitolo ha espanso il mondo dei giochi di ruolo alla giapponese in direzioni parzialmente inedite, incontrando purtroppo solo parzialmente la generosità del pubblico. Dal capitolo successivo della saga, l’ottimo Star Ocean: Till The End Of Time, la saga cercherà per come possibile di diminuire la distanza tematica con il modo cinematografico di fare RPG di Squaresoft, senza però avere il budget necessario.
The Second Story, però, è sempre rimasto in una maniera o nell’altra all’interno del cuore dei videogiocatori; vuoi per come ha ampliato alcune delle basi ludiche introdotte all’interno del primo capitolo nel mondo dei videogiochi, vuoi perché poteva vantare un worlbuilding molto interessante, in grado di mescolare fantastico e fantascienza con buon gusto, vuoi per la scelta di offrire al giocatore 2 route diverse, con contenuti esclusivi e un buon quantitativo di contenuti extra.
Questo amore per il gioco si è riversato in diverse re-release; la più importante è avvenuta nel 2008 a dieci anni dall’uscita originale del gioco con il sottotitolo Second Evolution. Questo titolo introduceva un doppiaggio molto esteso per la quasi totalità delle scene di gioco, una nuova traduzione, un’interessante upgrade grafico necessario per adattare il titolo allo schermo widescreen della console di riferimento (PSP in questo caso) e tante piccole altre migliorie.
Fast forward a quindici anni dopo per questo Star Ocean: The Second Story R, forse uno dei più sorprendenti porting-remake-remaster-reimagining degli ultimi anni, solita riprova di come anche nel mercato odierno, tristemente noto per microtransazioni e strambe modernità ci sia lo spazio artistico (e forse anche commerciale) per un JRPG vecchio stampo, chiaramente rimodernato il giusto per limare le problematiche del passato.
Star Ocean 2 comincia circa 20 anni dopo la fine del primo gioco, concentrandosi non tanto sulla figura di Ronyx (ovvero il protagonista di SO1) quanto sul figlio Claude, adolescente in tirocinio col padre chissà dove nell’universo. Durante una missione di esplorazione di un sito archeologico, il gruppo entra in contatto con un misterioso artefatto che, manco a farlo apposta, spedisce lo sventurato (ma anche un po’ troppo scavezzacollo) protagonista lontanissimo da casa, sul pianeta Expel.
Dopo aver ripreso conoscenza Claude vede un gigantesco animale selvatico assalire una ragazza del luogo, vestita ed equipaggiata in maniera molto meno tecnologica di sé. Nel tentativo di salvarla dall’attacco dell’animale Claude, violando un patto di non interferenza tecnologica che sarebbe potuto uscire tranquillamente da Star Trek, utilizza la sua pistola laser e fraternizza con la vittima della situazione, Rena.
Quest’ultima per sdebitarsi porta il nostro al suo villaggio e qui, in seguito alle voci che circolano sul suo possedere una spada di luce viene scambiato per l’eroe di una profezia del luogo, che vede un misterioso viaggiatore da lontano arrivare sul pianeta per salvare la situazione. Qui iniziano le avventure di Claude e Rena, due personaggi per due diverse route da seguire per arrivare alla conclusione del gioco, con parziali differenze che però se sommate permettono di comprendere la narrativa nella sua totalità.
Questo sistema, chiamato nel 1998 per l’occasione Dual Hero, è piaciuto sempre molto a Tri-Ace tanto da riutilizzarlo anche recentemente all’interno del suo Star Ocean: The Divine Force. Anche in questo remake non ci sono grandissime differenze con il passato; gli eventi per cui le narrative differiscono sono diversi ma non così tanto soverchianti; giocare con Claude o Rena offre sempre un’esperienza soddisfacente sotto praticamente ogni punto di vista, con i veri selling point dell’esperienza rappresentati dai personaggi che si possono incontrare esclusivamente in una run o l’altra.
Particolare attenzione la saga ha sempre riposto nelle relazioni interpersonali tra i vari personaggi che compongono il gruppo del nostro eroe; il titolo all’epoca prevedeva il sistema delle azioni private per approfondire questa o quest’altra sottostoria, modificando parzialmente anche il finale (tecnicamente ci sono 87 (!!!) varianti; poche cambiano in maniera radicale il succo della questione).
Prima ancora di Persona, la saga di Star Ocean collegava la bontà dei rapporti tra il protagonista e uno dei comprimari a vantaggi nel gameplay: attraverso un alto livello di intesa tra due personaggi, ad esempio, è possibile sbloccare abilità esclusive o semplicemente migliorare le performance dei personaggi sul campo di battaglia.
Dal punto di vista ludico è possibile saggiare fin da subito i diversi sforzi che sono stati portati avanti dallo sviluppatore. I concetti base sono rimasti sostanzialmente gli stessi. Star Ocean rimane un gioco di ruolo nipponico dal sistema profondamente action, con interessanti aggiunte di valore come la possibilità di parryare alcuni attacchi nemici, l’aggiunta delle meccaniche legate allo status break, ai leader, alla possibilità di ottenere bonus passivi semplice giocando bene e così via.
Il nucleo è del gioco è il seguente: all’interno di semplici arene tridimensionali viste dal lato, i personaggi del giocatore si scontrano in tempo reale con quelli degli avversari. Il sistema di gioco permette al giocatore di controllare soltanto uno tra i vari personaggi, il resto del gruppo viene controllato dall’intelligenza artificiale che è influenzabile attraverso il sistema di tattiche, che da loro un canovaccio di comportamento da seguire.
Passiamo ora alle aggiunte: di certo la possibilità di parryare attacchi attraverso la pressione di un tasto è una delle più importanti perché, di fatto, cerca di circuire uno dei problemi del gioco base; chiunque abbia giocato a Star Ocean. The Second Story/Encounter infatti si ricorderà di certo il quantitativo imbarazzante di stunlock in cui si poteva incorrere durante le battaglie con più avversari. Attraverso la schivata e i suoi timing molto precisi è possibile aggirare un avversario in un colpo solo, infliggendo poi attacchi più potenti per un breve lasso di tempo. Al netto delle difficoltà di esecuzione (perché i timing per parryare sono abbastanza severi da rispettare), questa aggiunta da al gameplay un layer in più che sicuramente farà felice qualche giocatore di vecchia data, senza andare a influenzare troppo le scelte di chi preferisce outfarmare gli avversari per poi malmenarli.
Alcuni nemici sono dotati di armature difficili da buttare giù, queste simboleggiate da una barra dedicata vicinissima a quella degli HP. Per poter ferire realmente questi nemici è necessario azzerare, a suon di colpi, proprio quella barra; se ci si riesce quello che succede è che l’avversario va in status Break, rimanendo stordito per qualche secondo e prendendo nel mentre danni extra. Questa meccanica diventa realmente interessante se inseriamo nell’equazione la presenza degli enemy leader, ovvero di nemici comuni potenziati dallo status leader che sono in grado di influenzare parte degli avversari presenti nella battaglia stessa. Se l’enemy leader possiede un armatura e il giocatore, dopo una pletora di attacchi, riesce a rimuoverla provocandogli lo status break questo si propagherà anche al resto del gruppo di avversari, generando un vero stordimento massa e aggiungendo un pizzico di strategia e profondità al sistema di gioco.
In condizioni di difficoltà normale questo potrebbe avere senso limitato; il gioco a difficoltà normale (earth mode) appare perfettamente approcciabile e pertanto non si sente la reale necessità strategica di utilizzare queste nuove meccaniche, il tutto nonostante la difficoltà sia stata leggermente aumentata rispetto le versioni PS1/PSP del gioco. Alzando la difficoltà, però, tutto acquista maggiore senso, complice anche la presenza della bonus gague. Quest’ultima non è altro che una specie di style meter di Devil May Cryana memoria: una barra che tanto più si gioca bene tanto più si riempe con tre livelli di ricompense. Queste ultime non sono altro che buff semipermanenti al proprio team durante il corso della battaglia e hanno entità tale da risultare particolarmente utili giocando con le difficoltà più elevate.
Un’altra aggiunta al battle system che farà sicuramente felice chi non ne vuole sapere di grindare per qualche ora è il sistema di chain encounter messo in piedi dai developer di Gemdrops & Tri-Ace. A differenza dell’originale, infatti, i mostri sono sempre visibili a schermo; la rimozione degli incontri casuali è una di quelle feature sostanzialmente obbligate all’interno di un JRPG moderno e solitamente viene introdotta in maniera secca, senza ricamarci nulla attorno.
Il sistema di chain encounter invece è quel layer di complessità in più a uno degli elementi core dell’esperienza videoludica da JRPG, permettendo al giocatore letteralmente di raggruppare i nemici neutrali così da affrontarli tutti quanti all’interno di una singola battaglia concatenata con le altre. Questo aumenta il livello di difficoltà degli scontri, chiaramente, ma permette di ottenere bonus alle risorse ottenute a fine battaglia, dando modo ai più interessati al grinding di ottimizzare ulteriormente i loro movimenti e le loro strategie.
Dulcis in fundo l’ultima aggiunta di rilievo integrata in questo remake di Star Ocean è un must dei videogiochi made in Japan: il minigioco di pesca che si va aggiungere al già ricco piatto iniziale. Tornano per l’occasione anche le abilità passive, un elemento che rimane molto interessante e che poco si vede all’interno degli RPG di stampo nipponico; pensate a queste abilità passive come a dei perk potenziabili di un Fallout o di un gioco di ruolo occidentale, con direzioni più legate al flusso del gameplay che all’interazione con il resto del mondo di gioco.
È davvero un peccato che ciò non siano state spesso utilizzate all’interno delle produzioni ruolistiche provenienti dal sol levante.
Arriviamo a quello che plausibilmente è il maggior selling point per il titolo ovvero il comparto tecnico (il che è tutto un dire per un gioco di ruolo di matrice nipponica). Durante il corso degli ultimi anni abbiamo visto uno stile grafico chiamato 2DHD entrare con sempre maggiore forza all’interno dell’immaginario videoludico comune, complice il successo di videogiochi come Octopath Traveler o l’utilizzo dello stesso all’interno di produzioni indipendenti come Wandering Swords.
Star Ocean: The Second Story R decide di fare un ulteriore passo in avanti con il suo 2Dx3D, ovvero un ibrido tra grafica bidimensionale e tridimensionale che aveva pochi precedenti all’interno del genere di riferimento.
Pensate alla grafica di Xenogears, con background tridimensionali e personaggi invece rappresentati attraverso sprite bidimensionali: con il 2Dx3D di The Second Story R parliamo di qualcosa di identico ma aggiornato tecnicamente alle tecnologie odierne.
Gli sprite bidimensionali di Claude, Rena e soci sono particolarmente dettagliati e splendidamente animati, per dirne una, con un plausibile utilizzo di una tecnologia voxel per la renderizzazione degli stessi a schermo.
Gli sfondi, invece, sono magnificenti nella stragrande maggioranza dei casi.
Già nelle versioni PS1 e PSP Stra Ocean 2 è sempre stato un bel vedere: il gioco può vantare di un worldbuilding accattivante e di tante idee interessanti nella messa in scena, che sono anche invecchiate bene con il passare degli anni. Il lavoro di ricostruzione certosina fatto da Gemdrops nello sviluppo di questo gioco è tale per cui difficilmente ci si potrà dire nostalgici del gioco originale; il risultato finale è veramente stupefacente e riesce nel difficile compito di donare un layer di profondità in più al già ricco impatto visivo del gioco originale.
La versione da noi giocata su Nintendo Switch è risultata praticamente perfetta tanto in modalità Handheld quanto in quella portable, con meno di una dozzina di cali di frame nelle situazioni più concitate. Un manto di novità avvolge anche il comparto sonoro, con il sempre buonissimo Motoi Sakuraba e dal suo team al lavoro. La colonna sonora è disponibile sia in versione arrangiata che in versione originale, tutto liberamente selezionabile con comodità attraverso le impostazioni di gioco.
Anche qui è principalmente una questione di gusti: la colonna sonora originale può vantare il nostalgico soundfont di Playstation 1 mentre quella ri-arrangiata permette di posare le orecchie su suoni più recenti ma non per questo meno interessanti; dipende tutto da quanto siete interessati a farvi affascinare dalla nostalgia.
Siamo alle ultime battute della recensione di un videogioco che ci è piaciuto davvero tanto e che crediamo possa rappresentare un nuovo termine di paragone quando parliamo di remake in ambito ruolistico. Non mancano però delle criticità che sarebbe ingiusto non evidenziare, specie sotto il comparto localizzazione.
Ora chiariamoci: chi vuole giocare a Star Ocean: The Second Story R e non conosce l’inglese è ampiamente suggerito a farlo in Italiano, il quale è presente per i testi ma non per il doppiaggio; quelli che invece conoscono bene l’inglese farebbero bene a giocarlo in quest’ultima lingua perché l’adattamento Italiano, almeno nella versione da noi provata quindi pre day one, è abbastanza claudicante nella forma scritta, con frasi che suonano sconnesse e termini non sempre al posto giusto.
Non abbiamo idea del come ciò sia stato possibile, dato anche il buon livello di qualità degli adattamenti italiani forniti da Square Enix che anche in questo caso gioca il ruolo del publisher ma tant’è; c’è il rischio che per un progetto secondario come questo Star Ocean l’azienda abbia scelto di puntare su un team di localizzazione meno costoso, oppure magari hanno fatto fare il lavoro sporco all’intelligenza artificiale lasciando poi la revisione a mano umana. Molto meglio l’adattamento inglese, che è stato rifatto anche sulla base dei contenuti esclusivi di questa versione e che segue da vicino l’ottimo livello di qualità che già la versione Playstation Portable del gioco poteva vantare.
Il resto dei problemi derivano unicamente dalle radici che il gioco ha: le route tra Claude e Rena sono meno dissimili di quanto si pensa, alcune bossfight possono risultare sbilanciate, alcune sezioni del gioco sono meno a fuoco di altre; niente di imperdonabile.
Star Ocean: The Second Story R è un grandissimo remake che speriamo diventi il benchmark con la quale si andranno a misurare tanti altri prodotti durante il corso dei prossimi anni. Parliamo di un videogioco che attualizza la formula di gameplay originale, ne attualizza il comparto tecnico in maniera estremamente efficace e non tradisce i valori fondanti che hanno contribuito al successo della versione Playstation 1. Al netto di un’ adattamento un po’ claudicante e dei limiti che erano già insiti nel videogioco originale, Star Ocean: The Second Story R è un prodotto incredibilmente interessante che speriamo riceva il successo commerciale che merita.
This post was published on 1 Novembre 2023 12:00
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