Dove eravamo rimasti? Nel freddo estremo di una regione remota del Canada, dove il detective Carl Faubert, ex veterano della Guerra di Corea, si reca dopo essere stato ingaggiato dal magnate William Hamilton per scoprire il mistero dietro ad alcuni atti vandalici legati alla sua impresa mineraria. Arrivato sul posto, il protagonista trova una situazione completamente differente da come se l’aspettasse: i villaggi sono deserti, c’è un’atmosfera strana, quasi sovrannaturale, e l’uomo che lo ha assunto è morto.
Nel primo capitolo di Kona, la vicenda prendeva fin da subito una piega pericolosa per la salute fisica e mentale di Carl, con un omicidio da risolvere, individui con le rotelle fuori posto, visioni che sembravano provenire da un altro piano sensoriale e anche un feroce wendigo pronto a farci la pelle.
Un bel mix che i ragazzi di Parabole hanno cercato di ampliare in Kona 2: Brume, proponendo una formula conservativa, ma con maggiore profondità narrativa ed esplorativa. Saranno riusciti a proporre un’esperienza degna di essere ricordata?
Il primo capitolo si concludeva con una rovinosa fuga, e proprio da lì riprendiamo le redini della situazione, anzi i remi, perché inizieremo a bordo di una barchetta alla ricerca di una riva sicura e di una verità che è ancora uccel di bosco. La nostra missione non cambia, bisogna svelare il mistero dietro alla morte di Hamilton, ma soprattutto dietro a ciò che sta accadendo in quelle terre innevate.
In Kona 2 esploriamo la fittizia regione del Manastan, luogo che sembra il vero punto nevralgico di tutta la vicenda, dove tutto ha avuto inizio, fino a una escalation di morte ed eventi surreali. Carl Faubert raggiunge la lussuosa residenza di Hamilton e lì comincia a fare le prime scoperte che pian piano confermeranno le teorie più assurde.
Il ricco industriale ha fondato la Hamilton Mining Corp (HMC) allo scopo di estrarre rame, tuttavia le cose non sono come sembrano. La gente del posto inizia a protestare duramente, qualcosa di veramente inquietante sta succedendo alle piante, agli animali selvatici che diventano progressivamente più aggressivi, alle stesse persone. Hamilton stesso appare una persona diversa, fino alla sua tragica fine.
Il detective Faubert scava più a fondo e capisce che l’uomo ha voluto fare il passo più lungo della gamba e della sua limitata conoscenza – a mo’ di racconto lovecraftiano – toccando qualcosa che non doveva toccare. Il rame non è altro che una copertura e a testimoniarlo è la fitta nebbia (la “brume” del titolo) portatrice di angoscianti visioni che ha avvolto vaste zone del Manastan.
Come detto in introduzione, Kona 2 cerca di allargare il suo tessuto narrativo inserendo motivi classici della letteratura horror/fantastica – come il ritrovamento di un oggetto proveniente da un mondo sconosciuto – e di proporli con una presenza più fitta di incontri con personaggi che ne sanno molto più di noi, conservando però la fonte numero uno di informazioni: i documenti.
Nel gioco di Parabole c’è una gran quantità di note, diari, appunti che crea una lore abbastanza ramificata, in grado di rispondere alla maggior parte delle domande che il giocatore si pone durante l’avventura. La trama di per sé non è difficile da comprendere, non è annodata in modo inestricabile, ma va approfondita leggendo attentamente i documenti.
Non mancano, poi, le deduzioni dello stesso Carl Faubert che, tramite voce narrante, infrangono il silenzio intorno alla tormenta ogni qualvolta assisteremo a qualcosa di importante. In linea generale, la narrativa di Kona 2 rimane di tipo ambientale, ma risulta più diretta rispetto a quella del primo capitolo.
Nel primo capitolo, l’esplorazione era maggiormente legata agli spazi esterni, sterminati, ricoperti da una coltre di neve e ghiaccio che rendevano difficile orientarsi, relegando a pochi metri quadrati gli spazi interni. Baite, capanni, stazioni di servizio erano i luoghi più comuni in Kona e non richiedevano un grande sforzo per essere esplorati; qui erano presenti perlopiù NPC con richieste particolari, risorse da raccogliere e utilizzare principalmente all’esterno, e qualche requisito da soddisfare per non rimanere congelati – come attivare un generatore – tuttavia la regione selvaggia aveva la precedenza,
E sia chiaro, è così anche in Kona 2: Brume. È l’esterno a farla da padrona, la necessità di trovare uno spazio riparato per riscaldarsi e poi ripartire subito verso una nuova zona estremamente fredda. Anzi, la mappa di Kona 2 è molto più grande, quindi la regione esplorabile è nettamente più vasta rispetto a quella del primo capitolo e quindi centrale nelle nostre investigazioni, però in Kona 2 sono state aggiunte location chiuse che non hanno unicamente il ruolo di luoghi di passaggio, bensì impegnano il giocatore in intere sessioni di gioco, anche lunghe alcune ore, perché simili nella struttura e nella progressione a quelle che troveremmo in prodotti come Resident Evil.
Senza voler scomodare i mostri sacri delle ambientazioni, Villa Spencer e la stazione di polizia di Raccoon City, è palese che Parabole nella costruzione delle maggiori location esplorabili in Kona 2 abbia voluto riprendere quell’ossatura. Si nota principalmente dalla magione di William Hamilton, costituita da più piani, ricca di stanze, corridoi e che invita il giocatore a perdersi per risolvere tutti i misteri ivi celati.
In queste situazioni, il giocatore “horror-survivalista”, sebbene Kona 2 sia un survival-thriller, si troverà a suo agio nella ricerca di chiavi, schede magnetiche, codici per sbloccare una porta. Niente di complesso, in verità, grazie a una struttura labirintica comunque leggibile e a una mappa che viene aggiornata man mano che si trova qualcosa di importante. Le porte chiuse, ad esempio, vengono evidenziate con l’icona di un lucchetto se si tratta di una chiave semplice o con un disegnino viola che indica una chiusura elettronica.
Questa non sempre è precisa con l’indicazione dell’obiettivo, anzi, in una situazione ci si è anche buggata dopo una morte provocata da fumi tossici, lasciando un oggetto chiave sulla mappa che avevamo già preso e inserito nel posto giusto senza che la nostra morte avesse resettato nulla. Con le patch si presume che questi piccoli difetti verranno risolti.
Come accennato, Kona 2 è un survival thriller che ha come dinamica caratterizzante la necessità di trovare luoghi riscaldati e fonti di calore di fortuna per non rimanere uccisi dal freddo. Quando si è esposti alle intemperie è fondamentale trovare i falò sparsi per la mappa che fungono anche da checkpoint, solitamente vicini a piccoli accampamenti improvvisati con tende e strumenti da campeggio. Negli spazi chiusi, invece, ci sarà quasi sempre la presenza di uno o più (dipende dalla grandezza del luogo) stufette da rifornire di legname.
La dinamica di base, pertanto, è rimasta invariata, ma ci sono delle specifiche da fare su altri aspetti survival che in Kona 2 sembrano essere stati ridimensionati. Premettiamo che il gioco offre tre modalità: la modalità detective che riduce al minimo le meccaniche survival, la modalità avventuriero che è equiparabile alla difficoltà normale e che propone i tratti survival come sono stati pensati dallo sviluppatore, e la modalità sopravvivenza in cui il giocatore deve stare molto attento alle risorse e al suo stato fisico.
Da questo punto di vista, Kona 2 cerca di essere accessibile a tutti: sia agli amanti dei survival sia a coloro i quali non apprezzano particolarmente dover controllare parametri diversi dalla salute. Per esigenze di gameplay, però, ci è parso che in linea generale gli aspetti survival siano stati asciugati e semplificati. Nel primo Kona, il modo principale per spostarsi era l’automobile di Faubert che ci permetteva anche di riscaldarci. La vettura inoltre aveva due necessità/possibilità: doveva essere rifornita di benzina presso la stazione di servizio e poteva essere caricata di legname.
In questo sequel, l’automobile non c’è. Ci si sposta con la barca nelle zone circondate dal lago e con la slitta trainata dagli husky sulla terraferma. Vien da sé che una slitta non ha bisogno di benzina, mentre il trasporto di legname non è più uno sforzo richiesto perché la legna si trova quasi sempre vicino alle stufe.
Altri requisiti survival sono il dover riparare di tanto in tanto scalette rotte, impianti elettrici non funzionanti e cose così utilizzando la risorsa chiamata materiale sfuso e l’utilizzo della torcia che ha bisogno di un frequente cambio di batterie.
Il gioco prevede anche combattimenti contro i “nemici di nebbia”, solitamente animali selvatici come lupi e orsi generati dalla nebbia che provoca le strane visioni di cui sopra. A nostra disposizione abbiamo un’accetta per il corpo a corpo, un revolver e una carabina. Il gunplay è molto basico, con un feedback che non fa gridare al miracolo. Il gioco non è tarato certo per essere un fps, quindi tanto basta.
Non mancheranno poi incursioni improvvise del wendigo che ci inseguirà sulla neve. Queste fasi potevano essere strutturate meglio con un maggiore dinamismo, anche se ci rendiamo conto che correre per una distesa tutta bianca e piatta non sia come essere inseguiti in un complesso di fabbricati, negozi e abitazioni. Diciamo che in linea di massima manca un po’ di pathos durante questi incontri.
Dal punto di vista grafico, Kona 2 si mostra gradevole negli spazi chiusi, senza essere mai eclatante, mentre la bianca distesa del Manastan è, appunto, una distesa bianca, che ricrea comunque bene la sensazione di ampiezza, solitudine e freddo estremo con le forti raffiche di vento che sferzano il nostro progredire e scarsa visibilità a creare incertezza nell’incedere. Un incedere che ci porterà via circa 8-10 ore, molte di più rispetto al gioco originale che poteva essere portato a termine in circa 5-6 ore.
Kona 2: Brume è un gioco carico di atmosfera che migliora leggermente il primo capitolo dal punto di vista narrativo ed esplorativo a discapito però di alcuni aspetti survival che sembrano essere stati rivisti al ribasso. Questo può essere visto sia come un pregio sia come un difetto (o in maniera neutra, perché no), dipende da che tipo di giocatori siete. Ci sono però tre modalità che vanno a modificare questi parametri, con la modalità sopravvivenza che rende tutto un po’ più “hardcore”. Il gioco mantiene in generale i tratti del suo predecessore, con un focus sull’esplorazione esterna e la necessità di trovare fonti di calore. Gli incontri con il wendigo ci sono parsi un po’ deboli a causa di una struttura degli inseguimenti piatta. Basico il gunplay, mentre l’esplorabilità e il puzzle solving delle strutture interne più grandi risulta gradevole agli occhi di un appassionato di survival horror, a cui quelle fasi strizzano l’occhio.
This post was published on 18 Ottobre 2023 15:00
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