Quando Paradox Interactive annunciò che avrebbe ripreso in pompa magna i suoi lavori di publishing mi sono domandato a lungo che tipo di giochi avrebbero pubblicato; all’annuncio di Lamplighters league, pensai che questo fosse esattamente il tipo di gioco che volevo vedere: uno strategico GDR da una ambientazione ispirata e a tratti noir.
Dai primi trailer, mi sembrava anche di notare una forte ispirazione lovecraftiana. Una potenziale ricetta per il successo memorabile!
Quello che è uscito invece è più simile ad una ciambella senza buco, un gioco con forti dissonanze di qualità tra i vari comparti e un’esperienza che mi ha perplesso a lungo, anche da amante del genere.
La recensione che state per leggere non la scrivo a cuor leggero: la mia intera esperienza è riassumibile da un’alternanza di momenti in cui il gioco mi divertiva molto a momenti in cui andare avanti era una boria, o ancora peggio una tortura.
Lamplighters League inoltre è sviluppato dagli stessi sviluppatori della saga di Shadowrun e del successore di Battletech, quindi persone ben rodate nello sviluppo di questo genere di giochi e le aspettative erano alte.
Eppure…
Salvare il mondo, una missione alla volta
Le premesse di Lamplighters League sono deliziose: un gruppo di mercenari negli anni 30′ vengono assoldati dal classico ricco misterioso di turno, il quale poi si scopre essere l’ultimo della Lega dei Lampionai; questa è una società segreta devota a salvaguardare posti leggendari e storici dalle mani sbagliate. Questa volta però i lampionai sono alle spalle al muro mentre una improbabile alleanza di potenti chiamata la “Corte Esiliata” è sulle tracce della torre di babele e sono quasi alle porte.
Lo scopo dei protagonisti sarà quello di rallentare il progresso della corte e trovare le chiavi per entrare nella torre di Babele per primi e proteggere il tesoro che si trova in cima.
Nei primi minuti, il gioco presenta insomma una fusione tra l’ambientazione di Uncharted, Indiana Jones e un pizzico di ispirazione Lovecraftiana che non fa mai male.
La scrittura della trama è molto sul semplice se non proprio sul banale, finendo però per venir supportata da una scrittura dei protagonisti molto carismatica, senza contare l’ambientazione che di certo è affascinante.
I tre antagonisti della corte sono invece semplici e rappresentano tre possibili futuri distopici qualora dovessero battere i protagonisti: una è una cultista scalmanata con sogni di un mondo a servizio di antichi dei delle profondità (Cthulhu coff coff), l’altro è un Elon Musk ante-litteram con una particolare passione per i fantasmi e la schiavitù operaia, mentre il terzo è un fascistone con l’hobby della necromanzia e il sogno di essere l’imperatore del mondo.
Sarebbe stato uno sviluppo interessante aumentare le interazioni con gli antagonitsti ed esplorarne maggiormente il carattere; invece i membri della corte rimangono un po’ i classici nemici che desiderano la conquista del mondo tanto per.
Repetita Iuvant, ma anche troppo
A fianco ad un reparto narrativo ottimo e calzante per il genere vi è un gameplay che mi ha perplesso a lungo.
Di base il gameplay è molto ispirato a quello di XCOM. Le fasi di gioco principali sono due e ogni turno di gioco ci sono entrambe:
- L’hub dove pianificare le prossime mosse, livellare, potenziare il proprio equipaggiamento, gli alleati ecc
- Le missioni vere e proprie in cui controllare gli agenti
Durante la fase dell’hub vi è presente la mappa di gioco, la quale traccia anche il progresso dei tre antagonisti. Ogni turno sulla mappa ci saranno una serie di missioni possibili, alcune richiederanno di essere giocate e avranno un numero massimo di agenti che si potranno mandare in missione, altre invece saranno semplici indagini che occuperanno 1 agente per quel turno. Alcune di queste missioni saranno legate agli antagonisti e saboteranno il loro progresso, mentre altre portano avanti il progresso dei lampionai stessi.
Qualora queste missioni non dovessero essere affrontate, verranno scartate e la minaccia del corrispettivo antagonista aumenterà proporzionalmente alla difficoltà della missione. Ogni antagonista è dotato dunque di una barra circolare che rappresenta quanto è vicino alla torre di babele. Superati alcuni valori di minaccia, le missioni degli antagonisti diventeranno più difficili e i loro scagnozzi riceveranno potenziamenti. Insomma non c’è mai riposo per i Lampionai.
Il gioco quindi sin da subito introduce il dilemma principale: gestire sia la corte e le loro ambizioni che le missioni dei lampionai stessi per raggiungere la torre.
La difficoltà inoltre, scala in fretta: il progresso della corte è veloce e prima di familiarizzare con le dinamiche il gioco ci ricorderà che il tempo è denaro e ogni missione va scelta con attenzione e scrupolo. Ciò, insieme al numero limitato di risorse che si otterranno dalle missioni, crea un clima costantemente teso che mantiene sempre un ottimo grado di sfida. Questa incessante minaccia però è un’arma a doppio taglio: risulta estremamente petulante e vedere due dei tre antagonisti diventare più potenti alla fine di ogni turno vanifica la gioia del successo, strozzando sul nascere i momenti in cui il giocatore si sente competente e può misurare il suo progresso.
Dove il gioco lascia però più a desiderare sono le missioni. Anch’esse sono divise in due fasi: quella in tempo reale e il combattimento a turni.
Durante la fase in tempo reale ogni protagonista avrà accesso a una mossa speciale che gli permetterà di mettere fuori gioco dei nemici sulla mappa, ammiccando verso un gameplay stealth e la presenza di coni di visione, aree di udito e coperture continua a confermare questa sensazione. Tutto ciò è però una illusione; infatti in tutte le quasi venti ore di gioco, non sono mai riuscito a fare un intero scontro interamente stealth. L’impossibilità di coordinare contemporaneamente gli agenti per l’assenza della pausa, mischiati a un level design che rende arduo eliminare più di 2 o 3 nemici silenziosamente, rende questa intera parte del gameplay completamente priva di scopo. I potenziamenti degli agenti anche sono quasi unicamente indirizzati alle abilità da usare in combattimento, un altro segnale che la componente stealth real-time è lì quasi per rappresentanza.
Alcune missioni permettono il reclutamento di altri personaggi da utilizzare nelle missioni. L’intero roster è composto da poco meno di una decina di personaggi, ma le risorse di gioco e la velocità con cui la difficoltà cresce, non permette realmente di averne più di forse cinque all’attivo. Inoltre il fallimento non è realmente un’opzione, al contrario di altri giochi come XCOM dove è possibile recuperare e salvare la campagna dopo un fallimento. La pratica del “save-scumming” è quasi necessaria nella campagna.
Il combattimento in sé e per sé è semplice ed efficace se considerato isolato. Ogni personaggio nel suo turno ha due punti azione e ogni azione ha un costo di un punto; i protagonisti e gli antagonisti agiscono in turni separati, vi è un sistema di percentuali di successo, di critico, punti armatura ecc. Sebbene il design del combattimento funzioni, quello dei livelli e dei nemici è a dir poco frustrante.
I livelli presentano tutti la stessa struttura:
Combattimento 1 -> Obiettivo -> Combattimento 2 -> Esplorazione Facoltativa con eventuale combattimento -> Fuga
I combattimenti stessi sono differenziati tra loro semplicemente dal numero e tipo dei nemici coinvolti. Le mappe sono sempre bidimensionali mancando di verticalità e non c’è un reale approccio tattico unico nei combattimenti. Ipoteticamente basta ideare una singola strategia per categoria di nemici e applicarla a tutti gli scontri. Non mi è mai capitato, se non in rari casi, di dover pensare a come utilizzare la mappa di gioco a mio vantaggio durante il combattimento. Una mancanza molto grave per uno strategico a turni.
Il design dei nemici invece soffre di due problemi principali: un IA che naviga al limite tra il buggato e l’idiozia totale e un design degli scontri che è abbandonato al caso della generazione casuale all’inizio della missione. Una volta può essere bilanciato e divertente, la volta dopo si possono incontrare 26 nemici che fanno crashare il gioco 5 volte in 10 minuti.
Avrei preferito avere un numero limitato di scontri scelti a mano, che avere l’esperienza di gioco variare tra lo stupido e il divertente. Specialmente perché non esiste il salvataggio e il caricamento in gioco. Non si può caricare un salvataggio in gioco senza doverlo chiudere e riaprire, quindi addio ricaricare le missioni quando vengono generate male.
Il combattimento poi soffre di altri problemi, per citarne alcuni il pathfinding che vede i personaggi muoversi nel fuoco con l’impossibilità di spezzare un movimento (che spesso e volentieri mi faceva perdere turni che altrimenti sarebbero stati calcolati), una telecamera che spesso sabota il giocatore nelle fasi real-time e la ciliegina sulla torta: l’assenza di tooltip durante la missione che dicono cosa fa un oggetto fino a quando non è usato.
The Lamplighters League è divertente ma frustrante e comunque troppo frustrante per donare un’esperienza di gioco stabile. Per essere un gioco del suo genere non può permettersi alcuni di questi problemi. Ho fatto sessioni da diverse ore in cui amavo il gioco e altre che dopo 20 minuti mi portavano all’esasperazione e me lo facevano chiudere per la giornata.
Per di più ho scoperto scrivendo questa recensione che c’è un intero personaggio con una abilità unica bloccata dietro la deluxe edition (ben 8€ di personaggio).
Noir anni ’30
Il comparto tecnico del gioco è anch’esso molto curato e ispirato. L’interfaccia grafica e tutta l’arte 2D del gioco sono pieni di carattere e raccontano l’ambientazione in ogni suo dettaglio; dalla scelta del font a quella dei colori, tutto calza a pennello. Il 3D si presenta con un cell-shading e una patina che completano l’estetica noir in un ottimo impatto d’insieme. L’ottimizzazione probabilmente potrebbe essere migliore, ma c’è la presenza del DLSS e di altri strumenti di upscaling che aiutano nel caso di hardware più in difficoltà.
Il comparto sonoro segue lo stesso filone di quello tecnico e chiude in bellezza la costruzione dell’ambientazione. Tra i brani non ne spicca nessuno in particolare, ma fanno sempre il loro dovere e sicuramente verranno considerati per le future campagne di GDR lovecraftiane…
Conclusioni
The Lamplighters League è un gioco a tratti eccellente che soffre troppo di una implementazione del gameplay un po’ pigra e un po’ sommaria che finisce per rovinare l’immersione nel magnifico mondo creato dagli altri comparti di gioco. Harebrained Studios insomma colpisce il bersaglio ma di striscio, creando un gioco che mi ha divertito ma che non mi sento di consigliare se non ai più coraggiosi o gli amanti del genere.
PRO
- Un'ambientazione molto caratteristica
- Ottima scrittura dei personaggi
- Un sonoro e un comparto tecnico ispirata
CONTRO
- IA quasi assente
- Generazione casuale degli scontri frustrante
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