Jeppe Carlsen è un nome saltato spesso all’orecchio di chi si tiene informato sull’industria videoludica indie, a lui infatti dobbiamo due perle che hanno creato un vero e proprio filone filone di giochi basati su puzzle e platform, ovvero Limbo e Inside. Il lead designer danese ha lasciato Playdead, lo studio creatore di quelle due opere, per fondarne uno nuovo insieme a Jakob Schmid, Geometric Interactive.
Il primo videogioco a prendere forma negli uffici del nuovo studio è Cocoon, un titolo che non si limita ad attingere dai giochi che hanno ispirato il sopra citato filone, anzi, lo reinterpreta nuovamente facendo addirittura un lavoro di sottrazione, cioè eliminando alcune delle meccaniche tipiche dei Limbo-like, per concentrarsi su pochi concetti.
Cocoon è un puzzle game ispiratissimo che ha molto da dire, nonostante non venga pronunciata nemmeno una parola in tuta l’esperienza. Vediamo quali sono gli elementi che lo contraddistinguono e perché siamo convinti che si tratti di uno dei migliori indie degli ultimi anni.
Parlare di trama in Cocoon è impresa ardua. Il videogioco di Geometric Interactive inizia con il protagonista, un insetto con fattezze e animazioni quasi antropomorfe, che nasce uscendo da un bozzolo e comincia il suo viaggio. Un viaggio di cui non sappiamo assolutamente nulla e di cui sapremo ancora meno andando avanti, perché Cocoon è forse il gioco più criptico dal punto di vista narrativo tra quelli che compongono tutta quella schiera di opere discendenti di Limbo.
Se in altre opere del genere esistono quantomeno elementi concreti in grado di contestualizzare gli eventi (la ricerca di nostra sorella in Limbo, la fuga di un bambino da una società distopica in Inside, l’invasione aliena in Somerville e Planet of Lana, per esempio), in Cocoon è tutto lasciato alla libera interpretazione del giocatore che, tra l’altro, deve anche fare lo “sforzo” di immedesimarsi in una specie di falena.
La narrativa criptica non può essere considerata né un difetto né un pregio, è puramente soggettivo preferire una storia chiara, seppur complessa nell’intreccio, o apprezzare una storia che non vuole palesare i suoi intenti. Senza dubbio, quel lavoro di sottrazione di cui abbiamo parlato nell’introduzione è stato applicato in modo significativo alla narrativa.
Nei “panni” di questa creatura, esploriamo mondi sconosciuti di cui apprendiamo qualcosina poco a poco, ma solo visivamente, perché non ci sono dialoghi, non ci sono testi, non ci sono documenti e note. Il nostro apprendimento del mondo di gioco, pertanto, è una continua scoperta che, però, non ci porterà mai a svelare pienamente i suoi segreti.
Il fine ultimo di Cocoon, infatti, non è fare in modo che il giocatore ne sappia di più, bensì quello di convincerlo ad avanzare nonostante non ne capisca sempre i motivi, proprio come farebbe una creatura appena nata da un bozzolo che è obbligata ad adeguarsi a ciò che ha intorno. E proprio qui riscontriamo il primo obiettivo centrato dagli sviluppatori: sono riusciti a darci le motivazioni per proseguire nonostante non ci siano mai state date tutte le tessere del puzzle per ricostruire il contesto.
Come ci sono riusciti? Grazie ai due elementi cardine dell’esperienza: un’estetica che infonde curiosità e, soprattutto, il design degli enigmi.
Cocoon esteticamente è un gioiello, si passa da deserti a laghetti in radure verdeggianti, da rovine aliene a luoghi in cui ogni elemento su schermo sembra essere organico e pulsante; in un mondo specifico ci è sembrato di giocare a Scorn in miniatura, ovviamente in una versione meno macabra e gore. Tutte le ambientazioni avranno un minimo comune denominatore: la presenza di tecnologie e strutture aliene.
Non conosciamo nemmeno il nome del luogo in cui ci troviamo, non sappiamo se gli “stranieri” siamo noi o se nasciamo dove saremmo dovuti nascere, in un mondo però colonizzato da creature extradimensionali in possesso di una tecnologia superiore, ma quel che è certo è che non siamo gli esseri più evoluti in quel posto.
Sia le aree più desertiche sia quelle in cui la natura è rigogliosa, tutto sembra essere stato meccanizzato, portato a un livello più avanzato. Colonne monolitiche, droni, porte alte decine di metri in metallo impenetrabile, piattaforme utilizzate come mezzi di trasporto, tutto appare come il frutto di una mente superiore.
E in Cocoon non ci sono nemici che possano confermare o smentire le nostre teorie perché, nonostante tutto, i mondi con cui entreremo in contatto sono apparentemente tranquilli, nessuno ci darà mai fastidio durante l’esplorazione, nessuno cercherà di ucciderci. Invero, ci sono quattro boss da sconfiggere con l’astuzia durante il corso dell’avventura, ma anche loro, se ci prenderanno, si limiteranno a scaraventarci fuori dalla loro area. In Cocoon, infatti, non esiste un game over, scelta azzeccatissima che consente al giocatore di immergersi senza fastidiosi intoppi che sarebbero anticlimatici rispetto al vero obiettivo del gioco.
I quattro boss sono stati ben ideati, hanno splendide animazioni, mentre le arene di combattimento risultano intuitive, dinamiche e sempre ben leggibili. Ogni boss, una volta sconfitto, ci permette di avere accesso a una sfera, ovvero i mondi che siamo chiamati a esplorare e inglobare gli uni negli altri, per dare vita alla meccanica principale del gioco: il viaggio tra i mondi.
Anche di queste sfere non sappiamo nulla: perché le varie aree sono state sigillate in globi e questi chi li ha creati? Ci sono in tutto quattro sfere di quattro colori diversi – arancione, verde, viola e bianca – ognuna con un proprio potere che il giocatore deve sfruttare per risolvere enigmi di varia natura. Le sfere, dunque, sono sia luoghi fisici in cui è possibile entrare sia strumenti da usare singolarmente in casi specifici. Quella arancione mostra percorsi nascosti, la sfera verde rende fisici e immateriali le colonne monolitiche nere con cui è possibile scalare zone elevate, quella viola è in grado di scomparire e ricomparire in un luogo diverso, quella bianca può essere usata per sparare raggi di luce per attivare dei portali.
Le sfere, poggiate su specifiche pedane, consentono al protagonista di viaggiare nel mondo lì inglobato, la meccanica che rende tutto più articolato e ingegnoso è rappresentata dalla possibilità di inglobare i mondi nei mondi, trasportando una sfera di un colore diverso all’interno di quella principale adagiata sulla piattaforma di viaggio. Quando avremo una o due sfere, gli enigmi non ci daranno filo da torcere, ma già dalla terza in poi le cose si faranno più serie perché ogni mondo segue le proprie regole e ogni globo ha un potere che può essere utilizzato anche nei mondi delle altre sfere.
Detta così sembra la cosa più complicata della storia dei puzzle game, in realtà è tutto talmente intuitivo che il giocatore non avrà mai la sensazione di essersi perso un pezzo e di trovarsi in una situazione di impasse. E badate, ciò non significa che gli enigmi siano facili, sono semplicemente ben studiati per dare soddisfazione, per spremere a dovere le meningi senza mai risultare frustranti. Gli enigmi inoltre sono rispettosi del tempo del giocatore grazie a scelte di design molto intelligenti.
In primo luogo, in Cocoon ogni cosa si può fare con un solo tasto, difatti le interazioni sono tutte eseguibili premendo il tasto A. Questo si rende possibile grazie al famoso lavoro di sottrazione di cui sopra: Cocoon è un puzzle game che non contempla elementi di altri generi, ad esempio il platform nudo e crudo, considerando che il protagonista, nonostante sia un insetto alato, non vola e non salta. In secondo luogo, alcune aree verranno chiuse alle nostre spalle per limitare le opzioni di interazione durante gli enigmi: il giocatore così non può tornare troppo indietro nel timore di aver lasciato indietro un indizio visivo, ciò che è presente sotto i nostri occhi, nella maggior parte dei casi, sarà anche tutto ciò che ci serve per risolvere l’enigma.
Il terzo fattore che asciuga i tempi è la fluidità. Tornare sulle nostre decisioni per riprendere una sfera e inglobarla in modo diverso o interagire nuovamente con alcuni elementi ma in ordine diverso per capire come avanzare non sarà mai una perdita di tempo, perché non ci sono tempi morti, non ci sono caricamenti, la progressione è veloce, i movimenti del protagonista sono leggeri. Solo nell’ultimo quarto di gioco il continuo passaggio tra un mondo e l’altro potrebbe risultare tedioso perché con quattro sfere le combinazioni diventano davvero tante, in quel caso sono presenti un po’ di lungaggini che potevano essere ridotte.
Cocoon, d’altra parte, non è un gioco lungo, per arrivare ai titoli di coda ci vogliono circa 5 ore. E va bene così.
Enigmi così articolati e ricchi di combinazioni, ma allo stesso tempo semplici da interpretare, sono una vera gioia per tutti i tipi di giocatore, anche quelli meno avvezzi ai puzzle game.
Cocoon è un puzzle game sorprendente. Nato da alcune menti dietro a Limbo e Inside, si fa apprezzare per il modo in cui reinterpreta quei concetti, li asciuga e li rende accessibili proponendoli in una struttura semplice e articolata nello stesso momento. Esteticamente sublime, Cocoon è un viaggio tra i mondi leggero, sofisticato e rilassante, con enigmi ben studiati, articolati e sempre rispettosi del tempo del giocatore. La trama come da tradizione è criptica, inserita in un contesto con ben poche spiegazioni, ma affascinante. Solo verso la fine si può trovare qualche lungaggine, ma è un peccato veniale. Cocoon è un’opera solidissima che getta nuove basi per il genere.
This post was published on 6 Ottobre 2023 11:43
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