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Recensioni

Dragonheir: Silent Gods | Recensione (PC) | Gacha di ruolo

Che cosa cerchiamo quando ci approcciamo ad un videogioco di ruolo?

Una grande storia?
Delle meccaniche di combattimento che premino il pensiero strategico?
Un mondo affascinante e magico da esplorare per scoprirne i segreti?
Qualunque sia la vostra risposta (che potrebbe benissimo contenere tutte e 3 queste affermazioni), difficilmente potrete immaginare di calare in modo soddisfacente tali meccaniche all’interno di un gacha game.

Come potrebbero conciliarsi le intricate meccaniche proprie di un GDR con le esigenze di immediatezza e semplicità di fruizione di cui necessita un gioco basato sul modello economico del free-to-play con banner, stagioni e microtransazioni?

Dragonheir: Silent Gods si propone il difficile compito di inserirsi nell’interstizio tra i due generi, fondendoli in un perturbante “gacha di ruolo“. Per farlo, tenta di presentarsi come GDR senza compromessi, anzi degno erede di una tradizione che, ancor prima dei capostipiti del genere sul medium videoludico, attinge agli storici rappresentanti pen-and-paper (in particolare, ovviamente, a Dungeons and Dragons) a partire dall’iconico utilizzo di un d20 virtuale, atto a rivendicare una diretta filiazione dai padri nobili del genere. A fronte di un titolo che mostra valori produttivi notevoli e che riesce sostanzialmente a fare tutto ciò che si prefigge, l’obiettivo si direbbe totalmente raggiunto. Ma è in fondo proprio questa sua doppia natura ad impedirgli di raggiungere un’eccellenza che, a parere del sottoscritto, non sarà mai raggiungibile da parte di videogiochi che adottano questo modello economico.

“Che cosa desiderate?”, una domanda legittima di fronte ad un gioco che ibrida due modelli così diversi tra loro

Al netto di questo giudizio che tenevo ad esprimere in prima battuta, è indubitabile che l’opera di SGRA Studio sia probabilmente quanto di meglio visto finora nel suo genere: un titolo denso di attività, variegato e potenzialmente infinito, oltre che graficamente spettacolare considerando la sua natura prevalentemente mobile (sebbene ne sarà rilasciata anche una versione PC, che è quella recensita).

Guida del Dungeon Master

Si avvia Dragonheir: Silent Gods e un brivido di emozione pervade il giocatore amante di GDR: appare la schermata di creazione del personaggio. E non si limita a pochi click con scelte di pura estetica, tutt’altro: si stabiliscono razze, classi, si assegnano punteggi per attributi, e si fa strada nel cuore la sensazione di aver a che fare con un’esperienza ludica inaspettata in un free-to-play. La cura posta nella fase di creazione, infatti, porta subito alla mente i grandi rappresentanti del CRPG come Baldur’s Gate, Pathfinder e innumerevoli altri, tutti debitori dei capostipiti del genere come Ultima o Wizardry, a loro volta più o meno pedisseque reiterazioni delle meccaniche cardine dei giochi di ruolo pen-and-paper cui questo genere videoludico deve sostanzialmente la sua esistenza.

Background, attributi, classi… c’è l’armamentario completo

Le ragioni dell’entusiasmo, insomma non stanno certo nella novità di queste meccaniche, bensì proprio nel loro iper-classicismo. Tutto, nelle fasi iniziali del gioco, rimanda ai canoni del genere, a partire dall’animazione di un d20 virtuale che rolla durante la schermata di caricamento. Ben lungi dall’essere un mero omaggio visivo, il dado virtuale risulta essere una componente cardine dell’esperienza di Dragonheir: Silent Gods, contribuendo a favorirne la legittimazione da parte del giocatore fan del genere. Il titolo di SGRA Studio sembra voler gridare al mondo “guardatemi, cari amanti del GDR: sono il videogioco free-to-play che tutti voi stavate aspettando!”.

Ciò è ancor più evidente quando si supera la fase di creazione e ci si introduce al gioco tramite la sua premessa narrativa: il nostro protagonista si ritrova privo di memoria, alla mercé di poteri molto più grandi di lui e perso nel Chaos Universum, una dimensione interplanare che fa da crocevia verso innumerevoli piani di realtà che costituiscono l’universo di gioco. Siamo insomma dalle parti dell’incipit alla Planescape: Torment, sebbene lontani dall’eccentricità di luoghi e situazioni che contraddistinguevano la pietra miliare di Black Isle Studios.

La narrativa Dragonheir: Silent Gods ci metterà di fronte ad una terribile minaccia che rischia di disintegrare l’intero universo

Al contrario, Dragonheir: Silent Gods offre una narrativa che trasuda classicità da tutti i pori: senza scendere nei dettagli di una trama di cui all’oggi esiste comunque solo una prima fase, si può dire che attinga a piene mani a tutto quel repertorio di scenari da fantasy ultra-epico che ruota attorno all’archetipo dell’eroe prescelto dal destino per salvare l’impalcatura stessa dell’universo, minacciata dal terribile Child of Chaos fuggito dall’esilio nel quale era stato imprigionato dalla Dragon Queen 1200 anni prima. E come si può fermare tale minaccia? Affrontandola frontalmente in un duello decisivo? Ma nemmeno per idea! Bisogna invece esplorare in lungo e in largo ogni angolo dei piani di realtà conosciuti per recuperare artefatti magici indispensabili allo scopo. E così ogni ricerca conduce ad un’altra, e ad un’altra ancora, oltre che all’incontro con nuovi personaggi e alla scoperta di nuovi luoghi… Sapete come funziona, immagino.

Salvare il mondo: il pane quotidiano di qualunque giocatore di GDR!

Da questo non si deve dedurre che la narrativa non sia piacevole, o la scrittura sia pigra: classico non vuol dire per forza scontato o svogliato. Complice anche una direzione artistica particolarmente ispirata, in grado di fornire ad ambientazioni e personaggi un’identità spiccata, il canovaccio ci presenta comprimari efficaci nelle loro funzioni, accattivanti nel design e gradevoli nella sceneggiatura, così come la scrittura delle quest, anche quelle secondarie e più banalmente fetch, si preoccupano di condire le richieste dell’NPC di turno di una cornice narrativa più o meno approfondita, con registri che oscillano sapientemente dal comico al drammatico, dal politico al sentimentale, andando a tracciare una rete di relazioni e rapporti tra individui, comunità e razze che concorre a disegnare un worldbuilding che coinvolge ed intrattiene, di cui si vuol scoprire di più, nonostante quel “di più” non esca mai dai binari già tracciati da decine e decine di predecessori.

Manuale del giocatore

Ad un livello più concreto, Dragonheir: Silent Gods offre un vasto mondo di gioco (in costante espansione con il rilascio di future stagioni) denso di attività. Come ogni buon RPG che si rispetti, il nostro diario si riempirà ben presto di compiti principali e secondari, che otterremo avanzando nella trama principale o semplicemente bighellonando in giro per il mondo e parlando con NPC o interagendo con vari elementi del mondo. Sebbene la maggior parte delle volte ci sarà chiesto di combattere (e vedremo fra poco le caratteristiche del combat system), la mappa a mondo aperto contiene vari luoghi di interesse che si traducono in attività piuttosto variegate: dal cercare tesori nascosti a risolvere puzzle visivi; dal rispondere ad indovinelli impossibili al cimentarsi in minigiochi stile tower defense; dal craftare oggetti ed espandere il campo base ad effettuare prove di attributo con roll del d20 per spostare oggetti pesanti o avere la meglio in un dibattito, il titolo è un continuo campionario di attività rappresentative del genere di riferimento, con un’offerta ludica potenzialmente infinita che offre ogni pochi passi una pletora di attività, ognuna con la propria ricompensa in caso di buona riuscita.

Il mondo aperto di Dragonheir: Silent Gods ci lascia spesso liberi di scorrazzare per il mondo alla ricerca di nuove quest

Il roll del d20, peraltro, non è solo un vezzo di contorno ma un elemento centrale in molte dinamiche di gioco, tanto che l’esito di un lancio può indirizzare la piega di certi eventi, determinando l’epilogo di una missione o la riuscita o meno di una certa impresa. Intendiamoci, non siamo assolutamente ai livelli di sofisticazione di una branch narrative a finali multipli, ma alla miglior approssimazione cui un GDR mobile possa ambire da questo punto di vista. Da sottolineare inoltre come Dragonheir: Silent Gods implementi anche il multiplayer, cooperativo e competitivo, che aumenta ulteriormente l’offerta ludica tramite dungeon da affrontare con compagni casuali o specifici (si possono tra l’altro creare alleanze di giocatori o richiedere l’ingresso in una già esistente) nonché l’arena in cui cimentarsi in scontri PvP con ricchi premi in palio.

Le prove di attributo funzionano in modo simile agli ability check di D&D

Proprio il combat system è l’unico, vero elemento di rottura rispetto ai canoni del videogioco di ruolo classico: rifuggendo sia il classico sistema a turni sia un approccio action, il gioco opta per un sistema semi-automatico in tempo reale che, al di là dell’iniziale sensazione di “giocarsi da solo” che tutti i sistemi di autobattling solitamente suscitano, non esula dal richiedere un minimo di approccio strategico alla battaglia. Il combattimento avviene infatti all’interno di un’area suddivisa in settori quadrati da una griglia. Ogni combattente, sia della fazione avversaria che della nostra, occupa un quadrato della rispettiva metà campo. Il giocatore può schierare in battaglia un massimo di 5 guerrieri, e la scelta su dove posizionarlo avrà un’influenza diretta e concreta su svolgimento ed esito dello scontro.

Ci sono personaggi che lottano a corto raggio ed altri che attaccano dalla distanza; ci sono guerrieri votati all’offesa (fuoco), alla difesa (ghiaccio), supporto (fulmine) e debuffer (veleno), a seconda dell’affinità elementale di appartenenza. Ci sono incantesimi traccianti e ad area, offensivi e difensivi. Ci sono devastanti abilità uniche per ogni personaggio, attivabili al riempimento di una sorta di ATB, il cui tempismo di utilizzo rimane a discrezione del giocatore e può fare la differenza tra una vittoria e una sconfitta. E ci sono, infine, occasionali modificatori che appaiono sul campo di battaglia influenzandone alcune aree, ad esempio tornado che trasportano alle spalle degli avversari, aree benefiche o malefiche che curano o infliggono danni nel tempo, eccetera.

La griglia di gioco scompare una volta iniziato il combattimento, lasciandoci gustare lo spettacolo

Si tratta insomma di un sistema con tante variabili che, sebbene una volta avviato il combattimento non dia occasione di interazione al giocatore (eccetto sferrare le già citate abilità uniche), necessita di uno studio preliminare dell’arena di gioco e delle caratteristiche degli avversari (tutti liberamente esaminabili in fase di schieramento) per agire con cognizione di causa.

Ovviamente la sua natura orientata all’autobattling ben si adatta alla piattaforma mobile, mentre tende a mostrare il fianco su PC già dopo poche ore. In questo senso corre in aiuto l’opzione per duplicare la velocità del combattimento ed automatizzare anche l’utilizzo delle abilità, che permette di avere ragione molto velocemente di quegli scontri che non ci interessa o non serve preparare con cura. La difficoltà delle battaglie è ben bilanciata, tra incontri casuali (i nemici comunque sono visibili sulla mappa di gioco) solitamente triviali e boss fight più articolate ed impegnative (che spesso richiederanno qualche level up per essere vinte a dovere), il cui esito dipenderà in fin dei conti da quanti e quali personaggi avete a disposizione.

Ed è proprio su questo punto che Dragonheir: Silent Gods finisce per mostrarsi per quello che è: un gacha game, con tutti i limiti che questo comporta.

Manuale dei mostri

Un combattente di classe Leggendaria

A parte una manciata di personaggi che si uniranno spontaneamente a voi nell’introduzione del gioco, i combattenti vanno pescati, facendo uso di una risorsa scarsa ovvero dei dadi magici che, svolgendo le attività free-to-play del gioco, possono essere ottenuti solo in modica quantità. Ve ne sono di due tipi, ciascuno offre percentuali di pescata differenti e solo uno dei due permette di avere chances di ottenere combattenti di grado Leggendario, il più alto di tutti (con una risicata probabilità del 3%).

I fan di Suikoden saranno contenti di sapere che in totale vi sono oltre 200 combattenti, ognuno dotato di una propria abilità speciale unica, il che vi permette di sperimentare varie combinazioni di personaggi in combattimento per mettere a punto la combinazione adatta di volta in volta al tipo di scontro: talvolta un approccio prettamente aggressivo sarà premiante, mentre in altri casi un party più incentrato su abilità di supporto sarà fondamentale per far fronte alle insidie degli avversari o dell’area di gioco.

Nonostante l’autobattling il gioco offre bossfights davvero epiche

La build messami a disposizione per la prova non prevedeva ovviamente esborsi in denaro, anzi mi ha garantito risorse pressoché infinite che permettevano pescaggi a ripetizione. Mi sono così divertito a schierare 5 personaggi maxati in grado di asfaltare praticamente qualsiasi cosa, oltre che provare combinazioni di vari elementi alternati a party mono-elementali per usufruire di bonus sinergici extra. Tutto molto divertente… finché non devi spendere per farlo.

La review build non mi ha ovviamente permesso di capire quale sarà la politica di prezzi adottata da SGRA Studio per il suo gioco, ma sappiamo benissimo quanto il modello gacha non sia famoso per la generosità nei confronti del giocatore, anzi solitamente fa di tutto per confonderlo e ingolosirlo con una moltitudine di valute virtuali diverse, ognuna necessaria a sbloccare specifici task o acquistare determinati oggetti o abilità, in una spirale infinita di acquisiti compulsivi. Purtroppo non ho alcun elemento informativo su questo aspetto del gioco, ma le aspettative non possono essere certo positive.

Voglio essere ancora più chiaro: considero il modello gacha svilente del game design di qualsiasi gioco, morbosamente famelico nei confronti del giocatore, che attira nelle sue grinfie con sbrilluccichi e moine varie, vessandolo al contempo con grinding estenuanti sperando che la combinazione dei due fattori lo induca ad aprire il portafogli.
Non vedo come un sistema del genere possa mai, in alcun caso, essere di beneficio per il divertimento del giocatore o di stimolo per la creatività dello sviluppatore. Sono anzi convinto che tale modello ingabbi e subordini le aspirazioni dei designer alle esigenze del money-grabbing, sottoponendo chi gioca ad una volgare questua che affossa ogni velleità artistica o ludica.

Dragonheir: Silent Gods non sarà esente da tutto questo, e come potrebbe? Sotto il vestito nobile e quasi salvifico del GDR free-to-play che tutti sognavano giace l’impalcatura di banner, stagioni, percentuali probabilistiche di pescaggio e sistemi di pity, valute in-game e off-game, sterminata teoria di oggettini/cristalli/gettoni/ necessari per sbloccare questo e quell’altro, che minacciano di tradursi nelle solite derive pay-to-win e “caccia alle balene” su cui si reggono tutte le operazioni di questo tipo. Il gioco prevede pure un soft reset stagionale, che permette di trasferire alla season successiva solo alcuni degli elementi di gioco accumulati, azzerando il resto. Per dirne una, manterremo tutti i personaggi che abbiamo pescato, ma saranno tutti retrocessi a livello 1. Un espediente che incentiva una sola cosa: la reiterazione degli acquisti in-game.

Stagione che viene, bottino che va

Arrivo così ad un impasse, in cui sebbene abbia provato genuino divertimento durante la prova del gioco, non so davvero se e a chi consigliarlo. I tanti punti a favore del titolo, tra cui un comparto tecnico di prim’ordine, una gameplay variegato e l’estrema fedeltà alle meccaniche classiche del genere di riferimento, lo rendono per certi versi un GDR da provare assolutamente, tanto più che è free-to-play. D’altra parte, i limiti connessi al suo impianto gacha renderà quasi sicuramente inevitabile la comparsa dei difetti tipici del genere, tra cui il grinding matto e disperatissimo e la costante tentazione/frustrazione del pay-to-win. Se non altro, nel 2023, possiamo ritenerci ormai adulti e vaccinati dal punto di vista della consapevolezza di che cosa sia una gacha game e quali rischi comporti. Credo dunque che ogni giocatore con un minimo di anni di esperienza sulle spalle abbia gli strumenti per valutare se si tratti di un’esperienza che possa fare o meno al caso suo.

Quel che è certo è che, se questo impianto di gioco incontra il vostro gusto o comunque non vi fa scappare a gambe levate, Dragonheir: Silent Gods è probabilmente il miglior GDR free-to-play al momento in circolazione, specialmente per i puristi che cercano anche in forma videoludica le meccaniche più classiche del genere.

Giudizio finale

Dragonheir: Silent Gods riesce a centrare il difficilissimo obiettivo di rendere questo impianto di gioco sopportabile anche ad un denigratore dei free-to-play come il sottoscritto. SGRA Studio ha attinto a piene mani dalla storia del genere, pescando meccaniche sia dai giochi di ruolo pen-and-paper sia dalle controparti videoludiche, dando vita ad un pot-pourri che si rivela divertente e variegato, pur nella sua classicità di fondo.
I limiti dell’operazione risiedono, senza stupore, in quelle meccaniche gacha che, prima o poi, escono allo scoperto con le conseguenze nefaste che si portano dietro, contribuendo a far insorgere il rischio tedio dopo qualche decina di ore di gioco.
Tuttavia, se per voi i videogiochi che adottano questo modello economico non sono un problema, Dragonheir: Silent Gods potrebbe diventare la vostra prossima droga legale.

This post was published on 2 Ottobre 2023 19:30

Alessandro Giovannini

Puoi scrivermi in modo sicuro a: alessandro.giovannini.1990@proton.me Cinema e videogiochi: le mie due più grandi passioni. Da bambino mi alzavo presto la mattina per giocare con il Sega Mega Drive II prima di andare a scuola; passavo i pomeriggi a guardare Terminator 2 fino a consumare il nastro della VHS; impiegavo le serate a cimentarmi nelle avventure grafiche di Lucas Arts su un glorioso PC con Windows 95 in compagnia di mio fratello. Poi è venuta la laurea in cinema, nonché le esperienze di redattore presso siti di informazione cinematografica e gaming. Su Player mi sono specializzato in analisi di mercato e monografie su developers e franchise storici della gaming industry. Ho anche lanciato la newsletter Gamer's Digest che offre una rassegna settimanale della principali novità dell'industria del gaming. Primo videogioco: The Adventures of Captain Comic (DOS) Videogioco console casalinga preferito: Final Fantasy VII (PSX) Videogioco console mobile preferito: Advance Wars (GBA) Piattaforme di gioco possedute: Super Famicom, Game Boy Color, Mega Drive II, PSX, PS2, PS3, PS4, Xbox One S, PC.

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