Posto strano, il Purgatorio.
Un eterno limbo che, secondo la Divina Commedia, ha la specifica funzione di portare chiunque vi si trovi a un percorso di riflessione e pentimento, un cammino per avvicinarsi di più a Dio e di conseguenza alla redenzione. Quello di Whateverland, che è poi il nome stesso del limbo in cui ci troveremo a giocare, funziona un po’ diversamente: il punta e clicca sviluppato da Caligari Games e Drageus Games dovrebbe essere quantomeno un post di afflizione e per alcuni sicuramente lo è… eppure, per tanti altri è esattamente dove vorrebbero essere.
Un rifugio da quella realtà che in qualche modo li ha feriti, illusi, traditi. Un posto dover potersi sentire liberi.
Devo ammettere di essere rimasta sorpresa dall’approccio che gli autori hanno voluto dare al loro personale limbo, che può essere compreso nella sua interezza (o quantomeno fin dove la sua volubile proprietaria ce lo permette) solo parlando approfonditamente con i bizzarri personaggi che lo abitano.
Forte di un’estetica disegnata interamente a mano che, nella sua stravaganza, finisce con il piacere (non è uno stile che a colpo d’occhio potrebbe colpire favorevolmente), Whateverland è un’esperienza punta e clicca piacevole, non lineare, impreziosita da finali multipli e dalla possibilità di seguire una linea d’azione proba oppure disonesta, in base a cosa ci sentiamo di fare. Non brilla sempre per chiarezza di informazioni, ci sarebbe voluto un po’ più di polishing e una maggior raffinatezza sui controlli, che su console tendono a essere piuttosto imprecisi, ma complessivamente ha il suo fascino e il suo perché.
Con il suo debutto su PlayStation, a un anno circa dal lancio su PC, cogliamo l’occasione per seguire Vincent nel suo percorso di redenzione (o no?) e scoprire cosa sia davvero la famosa Whateverland.
Il gioco racconta la storia di Vincent, un ladro che si intrufola nella casa isolata di proprietà di un’anziana donna, Beatrice, per rubare una preziosa collana dal suo caveau. Quello che non sa, però, è che in realtà sta sfidando una potente e vendicativa strega: colto sul fatto, Vincent viene intrappolato nel mondo creato dalla stessa Beatrice, Whateverland appunto, e in compagnia del tanto irritante quanto simpatico spettro Nick dovrà trovare una via d’uscita. Oppure no, non tutti in fondo vogliono lasciare il limbo: se ce la farà o no, e in che termini, dipende da noi e dalle decisioni che prenderemo.
Una volta preso il controllo di Vincent, ci troviamo di fronte a un punta e clicca piuttosto atipico: pur avendo un inventario dove immagazzinare i (pochi) oggetti raccolti nel corso dell’avventura, questi non possono essere presi e utilizzati a piacere persino sbagliando consapevolmente, come accade per dire in Monkey Island, dove a volte usare cose a caso era consuetudine per sentire i commenti di Guybrush.
Whateverland, invece, è molto lineare in tal senso laddove non lo è il percorso da intraprendere per arrivare alla fine: se abbiamo l’oggetto utile in una determinata circostanza, poniamo ad esempio una chiave, interagendo con la porta da aprire vedremo apparire un ingranaggio tra le opzioni e cliccando sull’icona ci penserà Vincent a fare tutto. Questo da un lato è positivo, perché esclude la frustrante serie di tentativi che spesso accompagna giochi simili, a maggior ragione quando le spiegazioni mancano o le soluzioni sono fin troppo sopra le righe per essere indovinate senza pensare ben fuori dagli schemi.
Premesso questo, ovvero che il vostro inventario è letteralmente un magazzino in cui stipare oggetti e non permette pressoché alcuna interazione, fosse anche solo per esaminare quello che abbiamo, il bello di Whateverland è la sua non linearità: il nostro obiettivo è recuperare sette pezzi dell’incantesimo utile a evocare Beatrice ed esprimere la volontà di lasciare Whateverland, ciascuno dei quali è conservato da uno dei bizzarri personaggi che abitano il limbo. Fatta eccezione per l’ultimo, che richiede sia di avere tutte le precedenti parti di incantesimo sia essere diventati i secondi campioni del minigioco locale, il resto può essere affrontato nell’ordine che preferiamo ma, soprattutto, come riteniamo sia più indicato.
Vincent è un ladro e questo ci mette davanti a due strade: seguire la sua vocazione, impadronendoci di ciò che ci serve con un misto di forza e astuzia, oppure, poiché Whateverland vive di baratto, ascoltare le richieste degli abitanti e intraprendere la filosofia del “do ut des”.
Nulla ci impedisce di abbracciare la natura di Vincent, fare l’esatto opposto oppure optare per una via di mezzo, alternando scassinare e compiere buone azioni a seconda della situazione. Alla fine verremo giudicati per ciò che avremo fatto, nel bene come nel male: dopotutto l’ultima parola spetta sempre e comunque alla volubile Beatrice, che in questo gioco fa le veci del buon Dante e, come scopriremo, butta nel suo personale Purgatorio chi le ha fatto un torto di qualche tipo o anche persone che chiedono il suo aiuto per i propri dilemmi terreni – l’ho già detto che Whateverland è un luogo bizzarro, sì? – Bene, giocando ne avrete ulteriormente prova.
Avendo provato entrambi i percorsi, prima quello buono e poi quello negativo, devo riconoscere che il secondo è il più stimolante in termini di puzzle: laddove il primo richiede un po’ più di lavoro nello spostarsi da una zona all’altra nella nostra personale missione di benefattori, rispettare le inclinazioni di Vincent in quanto ladro ci mette davanti a enigmi decisamente migliori; meno “divertenti” magari, passatemi il termine, ma è un concetto tanto personale da rendere difficile includerlo nell’equazione. Ad esempio, nel voler riappacificare due sorelle mi sono ritrovata a disegnare su carta un dungeon e i suoi pericoli per aiutare un’aspirante scrittrice con una scena d’azione: per quanto mi riguarda è stata una bella svolta ma non tutti potrebbero pensarla così, dato che richiede più creatività che non testa.
Innegabile, invece, è il fatto che forzare le serrature richieda di far lavorare la nostra materia grigia, spesso anche in condizioni un po’ troppo di svantaggio, soprattutto se consideriamo la stratificazione dei puzzle. Come ho già anticipato, Whateverland a volte è molto parco di suggerimenti e qualche difficoltà con gli input non aiuta a capire se la nostra soluzione possa essere applicata o meno. Detto questo, è anche comprensibile che la scelta di un percorso buono sia in un certo senso “facilitata”, o quantomeno portata all’estrosità che non all’ingegno vero e proprio.
Poiché questo limbo è, almeno in linea teorica, un posto in cui Beatrice ci mette alla prova per capire se abbiamo davvero la possibilità di scelta, alla fine, ostacolarci nel perseguire il lato oscuro della forza ha senso. Tuttavia, c’è un piccolo particolare sul finale che potrebbe sovvertire il nostro destino, pur avendo scelto la via del ladro… a patto che nel corso della storia si siano comunque compiute precise scelte. Insomma, dal punto di vista della varietà di finali e approcci, Whateverland ha senza dubbio tanto da dire e, pur differendo in modo evidente, entrambi i percorsi godono di enigmi soddisfacenti a modo loro – dipende tutto dal grado di sfida che prediligete, senza dimenticare che niente vi vieta di provare un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Chissà se riuscirete lo stesso a convincere Beatrice, alla fine.
Un peccato che, a dispetto di un taccuino sempre consultabile, il gioco sia parco di indizi. Consultare gli appunti ci permette di vedere quanti e quali percorsi possiamo intraprendere nell’interfacciarci con i personaggi che hanno le parti di incantesimo, nonché in quale punto si può deviare verso uno o l’altro percorso, tuttavia a volte le note risultano ugualmente poco esplicative e non ci resta che vagare da un punto all’altro per trovare il modo di uscirne (soprattutto se decidiamo di aiutare gli abitanti). Non aiuta poi il fatto che, scegliendo uno dei due approcci ma senza ancora applicarlo definitivamente, non sia possibile tornare sui propri passi: non mi è stato chiaro se si trattasse di un bug o no, di cui purtroppo il gioco non manca, ma ci sono state un paio di occasioni in cui pur avendo i mezzi sia per percorrere la strada buona sia quella negativa, una delle due mi è stata preclusa – in genere l’ultima selezionata.
Per fare un esempio pratico. Uno degli abitanti, un vecchio aristocratico russo che è diventato tutt’uno col suo divano da tanto è pigro, è sfortunatamente in possesso di uno dei frammenti di incantesimo: se lo vogliamo abbiamo due strade, riparare il sistema di ventilazione oppure farlo addormentare con un gas soporifero e derubarlo – il che richiede comunque riparare l’intero sistema di ventilazione. Parlare con il servitore per farsi rivelare dove tiene l’incantesimo è l’azione che ci fa intraprendere il percorso del ladro fino a ottenere una bombola di gas.
Qui arriva la magagna: finché non la prendiamo, siamo comunque liberi di riparare il sistema di aerazione e aiutare il vecchio aristocratico. Tuttavia, appena ci impossessiamo del gas, anche riparando il sistema di ventilazione il gioco non considera la cosa fin quando non facciamo addormentare l’aristocratico, obbligandoci quindi al percorso negativo per il solo fatto di avere con noi la bombola. Come ho scritto, non mi è chiaro se si tratti di un bug, ma se così non fosse sarebbe una costrizione poco piacevole, poiché l’ultima scelta dovrebbe essere quella che conta – a maggior ragione se, come in questo caso, entrambe spingono a riparare comunque l’impianto.
Whateverland non va troppo a fondo nella propria storia, eppure ho apprezzato l’approccio degli sviluppatori al purgatorio dantesco, con una Beatrice al posto del Sommo Poeta che tuttavia, da lui, mantiene il fatto di cacciare in questo limbo soprattutto chiunque le abbia fatto un torto (si sa che Dante, nella sua Divina Commedia, viaggiava molto per simpatie). Altrettanto interessante è il fatto di porre in essere come questa eternità di espiazione sia, per tanti, in realtà una via di fuga da una vita terrena insopportabile per un motivo o l’altro – ci sono accenni di violenza e abusi, sottili ma presenti nelle parole degli abitanti, e in particolare la storia del giovane Francois, pur nella sua semplicità, se vi dedicherete a scoprirla riuscirà comunque a colpirvi più o meno a fondo. Con il materiale di base, è quasi un peccato che il gioco duri una manciata di ore, dalle tre alle quattro in base a quanto tempo vi rubano gli enigmi, quale strada decidete di prendere, se parlate con tutti gli abitanti, eccetera eccetera.
Il personaggio di Vincent è probabilmente quello che ne esce peggio, per una caratterizzazione bene o male assente (per quanto parte sia demandata a noi giocatori) e per il fatto di essere fin troppo avatar e poco personaggio; questo anche a causa di un doppiaggio monocorde, che seppur in parte giustificato (sarà lui stesso a dire non essere in grado di esprimere emozioni) alla lunga gli fa perdere lo spessore che, invece, avrebbe potuto avere. In generale, sarebbe stato interessante saperne di più su di lui.
Whateverland resta un’esperienza accattivante, con alcuni puzzle davvero ingegnosi e una storia magari non troppo approfondita ma in grado di toccare alcune corde: un mondo bizzarro quanto i suoi abitanti, in cui Vincent e Nick si muovono spinti da un obiettivo comune, diventando una coppia atipica ma in grado di funzionare (sempre se non scegliamo di maltrattarlo troppo), tra frecciatine e scambi sempre mordaci. Un maggiore polishing e più cura in generale, considerati i bug che a volte mi hanno costretto a ricaricare partita, avrebbero senza dubbio giovato a un’avventura nel complesso breve ma con evidenti punti di forza – come ad esempio la trasposizione del Purgatorio dantesco.
This post was published on 20 Settembre 2023 21:30
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