Lo studio italiano Invader Studio torna sui nostri schermi con il prequel di quel Daymare: 1998 che si era fatto notare per la sua dichiarazione d’amore rivolta ai survival horror classici, Resident Evil in primis, ma che aveva anche palesato enormi problemi che non gli permisero di poter essere considerato molto più di un accorato omaggio alla serie di Capcom.
Daymare: 1994 Sandcastle ci rimette nei panni di un agente speciale della H.A.D.E.S., l’unità speciale incaricata di mettere in sicurezza aree in cui sono avvenute eventi che sarebbe meglio non venissero troppo alla luce. Il progetto fin da subito è sembrato più ambizioso del primo capitolo e con un potenziale tutto da sfruttare. I ragazzi di Invader ci saranno riusciti?
Il gioco ci mette nei panni di Dalila Reyes, agente della H.A.D.E.S. esperta in telecomunicazione, hacking e tutto ciò che ha a che vedere con la scienza e la tecnologia. Un normale giorno in ufficio coi colleghi si trasforma ben presto nell’ennesima missione top secret: nella città di Rachel, in Nevada, uno strano incidente coinvolge uno scuolabus, e non sembra rassicurante il fatto che proprio in quella zona ci sia la famigerata Area 51.
Dalila Reyes viene inviata in zona insieme ad altri due agenti, Foster e Radek, a controllare la situazione, ma arrivata sul posto le cose si metteranno subito male. Il presidente ha già incaricato una sua squadra, la Section 8, di evitare che qualcuno possa ficcarci il naso, e questo è il meno. Infatti, tutta l’area sembra diventata il teatro di una carneficina che ha mietuto vittime proprio tra i membri della Section 8, imbattutisi in qualcosa di spevantoso.
Dalila fa delle scoperte incredibili che coinvolgono fenomeni elettromagnetici in grado di rianimare i cadaveri, e se ciò non bastasse, Foster e Radek non sembrano raccontarla tutta giusta, mentre la stessa protagonista inizia a vedere i fantasmi del passato. Il segreto è nascosto nel sottosuolo, nell’occultatissimo Castle, una struttura che agisce nell’ombra.
La storia di Daymare: 1994 Sandcastle ha, da parecchie angolazioni, dei punti di contatto con il modello di riferimento del team italiano, ovvero Resident Evil. Non solo per una mera questione di plot, di eventi, che in Daymare in realtà si differenziano per un diverso modo di trattare l’argomento dell’esperimento dai risvolti catastrofici, meno arzigogolato dal punto di vista “scientifico”, come è ovvio che sia visto che il gioco italiano conta a oggi solo due capitoli, ma anche meno intrigante; è proprio il mood ad avere un trait d’union con la serie Capcom.
In giochi di questo tipo, la storia non è mai eccelsa. Resident Evil ha creato personaggi iconici, ma nessuno di questi è davvero di spessore dal punto di vista della caratterizzazione – tanto che i più ricordano Chris perché cambia fisico in ogni capitolo e dà cazzotti alle rocce – eppure risaltano, hanno carisma. Non sappiamo se Daymare riuscirà a far diventare iconici i suoi personaggi, tuttavia per ora nessuno di essi risalta in modo particolare (forse Radek ha delle potenzialità) anche a causa di poca cura nella creazione dei loro volti che risultano anonimi e poveri di dettagli, a differenza delle ambientazioni su cui il team ha lavorato bene tramite Unreal Engine. Ora si potrebbe obiettare: perché mettere a confronto Capcom, veterana dell’industria, e Invader Studio? Non è giusto. Senza dubbio, ma non è colpa nostra se Daymare è infarcito di references. È un omaggio, graditissimo soprattutto da chi ama RE, ma pensare con la propria testa forse sarebbe meglio, senza cercare la citazione a ogni costo.
Ecco, dal punto di vista narrativo, il gioco risulta troppo derivativo. Inoltre, in D1998 ci era sembrato interessante il voler mostrare la storia da tre punti di vista diversi, quelli di Liev, di Raven e di un personaggio estraneo all’organizzazione, Samuel Walker, invece nel suo prequel si è deciso di passare a un solo protagonista (non è un difetto, solo una considerazione).
Daymare: 1994 come impostazione è più vicino ai remake dei Resident Evil che non ai titoli classici della serie. Non si tratta di un horror puro, ma di un action che di tanto in tanto cerca di dare di sé un’impressione diversa, puntando in alcune sequenze sull’atmosfera e sul sound design. Quando Invader Studio prova a creare atmosfera, proponendo al giocatore camminate in vicoli poco illuminati di una cittadina che ha la vibes di Raccoon City, esplorazione e ricerca di schede magnetiche in laboratori medici, più qualche enigma dalla vena old school, riesce nel suo intento perché è in queste situazioni che si palesa una passione viscerale per l’horror che fu.
La nostra parte preferita di tutta l’avventura, della durata di circa 8 ore, 10 se si è completisti, è quella ambientata nell’Area Abitativa A , una zona residenziale che appare come un RE in miniatura. Il problema è che queste sequenze più “soft”, non riescono a reggere una struttura che si basa principalmente sugli scontri contro i mostri. Il combat system di D1994 letteralmente schiaccia e demolisce la parte horror, e le fa male, e provoca dolore3 fisico e psicologico anche al giocatore perché il combat system di D1994 è davvero problematico e poco divertente.
Parlare del gunplay e del combat system di D1994 è come aprire il vaso di Pandora. Iniziamo col dire che nel gioco sono presenti solo tre tipi di nemici, i decoy blu/rossi, i decoy potenziati e gli sparker. A parte quelli potenziati che sputano proiettili elettrizzanti, il resto esegue un solo tipo di attacco: la presa. Ah, e corrono, corrono… e si teletrasportano. Questi nemici, infatti, sono generati dal fenomeno elettromagnetico di cui sopra che rianima i cadaveri tramite una sfera di energia blu o rossa.
I decoy base sono dei maratoneti e inizieranno a correrci contro come dei disperati per poi abbracciarci e toglierci numerosi punti vita. Il personaggio, però, non è stato dotato di una mobility adeguata che permetta di prendere delle contromisure: noi possiamo solo correre a nostra volta (e ovviamente sparare), ma spesso non ci sono i tempi tecnici per poter affrontare più di un nemico alla volta e sfuggire dalle loro grinfie. Non c’è la schivata che ormai viene implementata anche nei Resident Evil, mentre in D1994 non è contemplata, e non si capisce il perché di questa scelta, a maggior ragione se consideriamo che il titolo di Invader è un action e la protagonista è un’agente speciale addestrata. Non avremmo voluto un roll, ma almeno un movimento laterale.
Riuscire a mettersi a distanza di sicurezza è un’utopia perché cambiare direzione e correre via richiede un quantità di tempo che i nemici non ti lasciano: sono tutti troppo veloci, e se questo non bastasse lo sparker è in grado di oneshottare. Basta un suo singolo abbraccio ed è game over. Se la mobility non aiuta, allora saranno le armi a venirci in soccorso, giusto? E invece no, perché il nostro arsenale, ridotto a due armi, non ha potere d’arresto. Il fucile a pompa è, invero, efficace in quanto uccide anche con un singolo colpo e riesce ad atterrare i decoy rossi che sono invulnerabili alle armi convenzionali, ma l’arma principale sarà la mitraglietta vista la penuria di cartucce, e questa né fa barcollare né interrompe la corsa dei mostri. In pratica, è un’arma che fa solo scena. E neanche tanta considerando che il feedback delle armi è inesistente e le animazioni dei nemici non restituiscono la sensazione di aver colpito qualcosa.
L’unico strumento che alza la qualità del combat system è il frost grip, una sorta di guanto che sfrutta il potere elementale del ghiaccio. Con questo possiamo congelare i nemici e risolvere anche alcuni enigmi che richiedono il raffreddamento di tubature e simili. Il frost grip è potenziabile permettendoci di usare sul campo di battaglia altre funzionalità come la mina a muro che congela i nemici nella sua portata, la bomba di ghiaccio, lo scudo che protegge dai proiettili di energia. Con questo accessorio è fondamentale, inoltre, congelare le sfere di energia prima che queste rianimino i cadaveri, in modo da terminare prima i combattimenti. Il frost grip è dunque un’aggiunta molto interessante e, sulla carta, divertente. Il problema è che il combat system va a sminuire anche ciò che c’è di buono. O almeno, è il comportamento avversario a non essere stato pensato in modo coerente con il contesto con cui deve interagire.
Non è una questione di difficoltà, i mostri non sono particolarmente ostici da abbattere, tuttavia il loro comportamento durante gli scontri non è semplicemente prevedibile e non può essere contrastato giocando pulito, e già questo si nota a livello normale. A un certo punto, abbiamo deciso di passare alla modalità storia per capire se fossimo noi a non aver compreso qualcosa. Ebbene, le stesse criticità si sono presentate al livello più basso di difficoltà, ciò significa che è stato concepito male il combat system.
Nella pratica, gli scontri in D1994 si sono svolti tutti allo stesso modo: i decoy ci corrono addosso, cerchiamo di cambiare rotta e metterci a distanza di sicurezza, ma non ci sono i tempi tecnici per farlo, quindi veniamo presi e perdiamo punti vita; nel mentre riusciamo a uccidere un nemico blu, ma la sfera di energia ne rianima un altro, allora con il frost grip cerchiamo di congelare il decoy potenziato che nel frattempo ci sputa proiettili elettrici, ma veniamo presi di nuovo da dietro. Con un po’ di fortuna, congeliamo il decoy rosso e lo sbricioliamo con l’attacco esecuzione che il guanto ci permette di fare ai danni dei mostri surgelati come trote, cerchiamo di congelare anche la sfera rossa per far terminare il calvario, tuttavia non abbiamo il tempo perché un nemico si è teletrasportato e ci ha nuovamente abbracciato… così in loop per 10 ore. Ingestibile e sinceramente poco divertente.
Inoltre, dobbiamo far presente che la boss fight finale è davvero allucinante, gestita in modo risibile e che ha come unico obiettivo quello di far perdere tempo e pazienza al giocatore. Lo ribadiamo: i ragazzi di Invader Studio con i combattimenti purtroppo non ci sanno tanto fare, pertanto per noi dovrebbero concentrarsi prevalentemente sull’atmosfera nei loro prossimi progetti. È un consiglio non richiesto che ci teniamo comunque a dare.
Daymare: 1994 Sandcastle ricade negli stessi errori del passato. Il gioco aveva tutte le carte in regola per fare molto meglio, ma si è perso sul più bello. Apprezzabili i riferimenti alla serie di RE, anche se forse sarebbe ora di uscire dal tunnel e tentare di fare qualcosa di veramente personale. Ambientazioni e atmosfera ci sono, il gioco infatti quando vuole fare l’horror raffinato riesce a dire la sua. I problemi sorgono quando si inizia combattere. Gli scontri sono gestiti in maniera caotica, approssimativa e frustrante. Il comportamento nemico non è in linea con le possibilità date al personaggio principale, le armi non restituiscono alcun feedback, tutto si riduce nella ripetizione ossessiva delle stesse azioni inappaganti. Anche il frost grip, l’aggiunta più interessante, viene svilito da un combat system da rivedere totalmente.
This post was published on 4 Settembre 2023 11:32
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