Di GdR, orientali od occidentali che dir si voglia, non si è mai saturi. Dovunque ci si giri, ce n’è sempre uno nuovo ad aspettarci, sia esso una produzione “minore” ma di grandissimo pregio come Chained Echoes oppure la famosa serie AAA di turno. Nel mezzo, poi, troviamo giochi che non riescono a emergere per un motivo o per l’altro ma comunque comunicano qualcosa, a maggior ragione se vanno a espandere un mondo conosciuto.
Questo è il caso di Monochrome Mobius: Rights and Wrongs Forgotten, sviluppato da Aquaplus e Design Act, che si colloca a metà tra Utawarerumono: Prelude to the Fallen e la serie Mask, facendosi dunque preludio di quest’ultima. Il fatto che parli di personaggi, luoghi o persino eventi noti ai fan di Utawarerumono non impedisce tuttavia di godere questa storia a sé – semplicemente, chi conosce gli altri videogiochi coglierà qualche dettaglio in più. Da sottolineare inoltre come quelli citati siano tutti visual novel, rendendo dunque Monochrome Mobius: Rights and Wrongs Forgotten un capitolo unico nella sua natura di GdR.
L’ho giocato per diverse ore su PlayStation 5 e per quanto abbia degli spunti interessanti, galleggia in quella dimensione in cui non riesce a essere né carne né pesce. A fronte di una storia interessante tanto quanto il suo sistema di combattimento “ad anelli”, al netto di certi elementi che avrebbero meritato un maggior approfondimento o addirittura una risoluzione di per sé, negli altri aspetti non brilla in modo particolare. Potrebbe essere un’aggiunta imperdibile per gli appassionati dell’universo narrativo mentre per i giocatori novizi, e ripeto che la storia può essere compresa anche senza conoscenze pregresse, il gioco non offre molte ragioni per essere preso in considerazione.
Vediamo dunque cosa ha funzionato e cosa no in Monochrome Mobius: Rights and Wrongs Forgotten.
La storia si apre con i personaggi di Pashpakur e Shunya, padre e figlia impegnati nell’attivazione di uno strano marchingegno che dovrebbe fungere da teletrasporto. Prima che possano riuscirci del tutto, i loro inseguitori capitanati da un certo Mayacowl, che si rivolge a Pashpakur apostrofandolo come un traditore, li raggiungono e cercano di fermarli. Scegliendo di restare indietro per tenerli a bada, lui riesce a far passare Shunya attraverso il teletrasporto seguita da un gruppo esiguo di nemici. Il destino di Pashpakur resta incerto, nonostante si possa presagire il peggio.
Dall’altra parte, Shunya si incontrerà con Oshtor, un giovane uomo che vive in un villaggio rurale e proprio Pashpakur le ha chiesto di cercare. Con estrema sorpresa di entrambi, sembra che Pashpakur sia anche il padre di Oshtor: una rivelazione che solleva tantissime domande, soprattutto perché Oshtor dichiara di aver perso il padre tempo prima. Qualcosa non torna e c’è la possibilità che Shunya stia mentendo; al contempo, però, Oshtor viene roso dal tarlo del dubbio motivo per cui accetta di accompagnare la ragazza nella sua missione per ricongiungersi a chi continua a chiamare padre.
Come prevedibile, questo viaggio non è che l’inizio di una grande avventura dove intrighi e misteri la fanno da padrone: una storia come ho anticipato interessante, sebbene pecchi nel lasciare alcuni aspetti in sospeso o proprio irrisolti e metta in scena alcuni stereotipi fastidiosi a cominciare dalla stessa Shunya, che alterna momenti di serietà ad altri dove non ci resta che simpatizzare con Oshtor mentre ci auguriamo le capiti qualche disgrazia temporanea. Pur essendo divisa in più capitoli, a carattere generale l’ho vista come una narrazione spartita tra due grandi atti: il primo che segna la conoscenza di Oshtor e Shunya, una serie di scoperte legate alla figura del padre, la formazione di nuovi legami e il prepararsi a ciò che verrà, il tutto a concludersi con un evento fondamentale per la terra natale di Shunya e il generale sviluppo delle dinamiche del gruppo; il secondo invece è dove l’asticella si alza, i pericoli si fanno tanti e più concreti, e le vicende prendono definitivamente forma fino a raggiungere un finale meritevole. Ci sono dei rallentamenti soprattutto in questo secondo atto, così come alcune questioni lasciate in sospeso o trattate con un po’ troppa superficialità, ma posso dire senza dubbio che la storia ha il suo perché e potrebbe essere una ragione per arrivare fino in fondo.
Potrebbe, appunto, se tutto il suo contorno non fosse piuttosto blando con l’eccezione del sistema di combattimento – che però da solo non può reggere il peso di una struttura ludica non proprio brillante.
Partiamo proprio da quest’ultimo. Monochrome Mobius: Rights and Wrongs Forgotten presenta un sistema di combattimento la cui turnazione si basa su tre anelli concentrici: dal più esterno ed esteso al più interno e ristretto, i personaggi (siano essi alleati o nemici) si muovono in senso orario per raggiungere quello zenit che permette loro di attaccare. C’è la possibilità, con specifici attacchi, di spingere indietro gli avversari in modo da riassestare gli equilibri o semplicemente prevenire un attacco e favorire invece uno dei nostri personaggi, il che offre un piccolo senso di strategia.
La parte più interessante però è proprio la presenza di tre anelli e, dunque, la necessità di raggiungere il più interno per massimizzare la frequenza dei nostri attacchi: ciò è possibile solo colpendo fisicamente un nemico “stordito”. Virgoletto perché chi si trova in questa condizione non è davvero incapacitato, può comunque attaccare, ma lascia il fianco scoperto proprio alla possibilità di avanzare verso gli anelli più interni. Esiste un indicatore di “stagger” invisibile e diverso per ogni nemico, o personaggio della nostra squadra, riempito il quale si entra in questo stato confusionale che dà modo alla controparte di avvantaggiarsi. Si può avanzare verso l’interno anche approfittando dell’Overzeal, una sorta di stato potenziato che si raggiunge lentamente nel corso della battaglia. Al di là del potenziare gli attacchi, attiva l’opzione speciale per muoversi dal terzo al secondo anello, o dal secondo al primo in base a dove ci si trova, andando dunque a porci in una condizione più favorevole.
Poiché non è visibile l’indicatore di “stagger”, una pianificazione precisa non è davvero possibile ma a furia di combattere faremo l’occhio a quali attacchi funzionano meglio rispetto ad altri o quali creature sono più facili da stordire. Ciascun personaggio ha le proprie specializzazioni, come ad esempio Oshtor che è un ottimo spadaccino e in quanto tale andrebbe potenziato sul versante attacco, laddove invece Shunya è una maga/guaritrice e andrebbe sviluppata in tal senso. Nulla che non si sia già visto, ovviamente, poiché però il sistema di level up prevede la distribuzione di punti su una o più statistiche a scelta del nostro personaggio occorre avere bene in mente i ruoli e le capacità di tutti per non rischiare di sprecarli.
Si possono apprendere nuove abilità salendo di livello, aumentando il livello di una statistica oppure anche semplicemente progredendo con la storia. Che si tratti di attacchi fisici o magici, tutti hanno il loro costo in MP in base alla loro efficacia, ragion per cui non se ne può abusare; soprattutto perché il gioco non permette di recuperare MP se non riposando nelle locande o agli occasionali falò sparsi per le mappe (oppure salendo di livello, come ultima ratio). I punti di salvataggio, infatti, ripristinano solo la salute. L’ho trovata una soluzione interessante soprattutto perché spinge all’uso di quegli oggetti che altrimenti, come spesso capita nei GdR, mettono radici nel nostro inventario e non vengono utilizzati per questo o quel motivo: in Monochrome Mobius: Rights and Wrongs Forgotten, invece, che si tratti di oggetti curativi o di ripristino MP, hanno un ruolo importante e non bisogna mai andare in giro senza essere ben equipaggiati. Non solo, alcuni stati alterati come il veleno permangono dopo la battaglia e sebbene quest’ultimo si esaurisca dopo aver percorso una certa distanza, è sempre bene non approfittarsi della cosa e avere sempre con sé un antidoto di emergenza.
Nel complesso, dunque, il sistema di combattimento è ben congegnato, mantiene il giusto bilanciamento tra ripetitività (tipica dei GdR a turni in cui ci fossilizziamo sugli stessi, efficienti pattern) e strategia, ed è accompagnato da un sistema di level up in cui dobbiamo usare la testa per sviluppare al meglio i nostri personaggi. Sfortunatamente, il fatto che i nemici diano poca esperienza spinge fin dalle prime ore a evitare i combattimenti (non casuali, per fortuna) e aspettare i boss di trama o di eventuali missioni secondarie: il tempo, poco o tanto che sia, speso sui nemici sparsi lungo le varie ambientazioni non vale le ricompense ottenute. Il gioco non richiede grinding per proseguire, il che è un grosso valore aggiunto perché non obbliga a scontri che risulterebbero ancora più pesanti di quanto già non siano, tuttavia il fatto di attraversare le grosse mappe schivando ogni nemico perché non c’è soddisfazione nell’affrontarli risulta comunque un problema. A maggior ragione se anche il senso di esplorazione non è promosso a dovere.
Monochrome Mobius: Rights and Wrongs Forgotten non è un open world bensì un open map: presenta aree estese, spesso piuttosto articolate, da scoprire a mano a mano che ci muoviamo al loro interno. Il nostro obiettivo principale è indicato da un punto esclamativo giallo, quando abbastanza vicino, o da alcune frecce dello stesso colore quando le distanze aumentano. Non tutte le ambientazioni colpiscono, anche per via di un utilizzo delle texture discutibile, ma se ne possono trovare alcune piacevoli da vedere. Non si può dire lo stesso per quanto riguarda l’esplorazione, poiché se da un lato la mancanza di elementi “quality of life” possa sottolineare un richiamo ai GdR vecchia scuola, dall’altro alla non troppo lunga stanca e, a causa anche della mancanza di ricompense meritevoli o di combattimenti poco remunerativi, spinge il giocatore ad attraversare la mappa ignorando tutto ciò che non sia l’obiettivo principale.
Non mancano cittadine, villaggi o dungeon ad arricchirlo (in questi ultimi è possibile spostarsi rapidamente all’ingresso ma è un viaggio di sola andata), tuttavia proprio per le ragioni di cui sopra non si sente la necessità di perdervi troppo tempo. Le missioni secondarie, che dovrebbero aiutare in tal senso, non lo fanno poi molto perché l’indicatore del nostro obiettivo non si manifesta sulla mappa a meno di non trovarsi entro un certo raggio; poiché molto spesso le indicazioni dateci dal committente restano vaghe, non ci rimane che esplorare la mappa finché non vediamo apparire l’indicatore e capire come fare a raggiungerlo. Questo non vuol dire che non abbiano i loro lati positivi: le richieste non sono particolarmente variegate, basandosi su ciò che il gioco ha da offrire (leggasi, non ci sono abilità particolari da sfruttare per caratterizzare alcuni di questi incarichi) ma devo ammettere che gli eventuali combattimenti in cui ci troveremo coinvolti rappresentano una buona sfida. Un altro punto a favore di queste missioni è che permettono di sbloccare alcune aree – un po’ come succede in Final Fantasy XVI – e questo è senza dubbio una spinta in più a portarle a termine.
Al di là di questo, purtroppo, l’esplorazione si riduce troppo spesso a correre attraverso la mappa per raggiungere il successivo punto di svolta della storia.
Dal punto di vista artistico, Monochrome Mobius: Rights and Wrongs Forgotten brilla negli sprite dei personaggi e nelle schermate à la visual novel, che sono sempre bellissime a vedersi. Per quanto riguarda modelli 3D e texture, invece, è tutto molto povero: se i personaggi principali ne escono abbastanza bene, tutto quello che è di contorno a partire dagli stessi PNG sono molto brutti a vedersi, spesso nemmeno ombreggiati abbastanza da mitigare almeno in parte la mediocrità della resa estetica.
Niente da dire invece sul comparto sonoro, che con oltre cento tracce si conferma un punto saldo nella serie Utawarerumono. Al solito, non tutte eccellono ma nel complesso lo si promuove senza difficoltà.
Monochrome Mobius: Rights and Wrongs Forgotten è un gioco con pochi alti e un po’ troppi bassi, caratterizzato da una storia accattivante, ben costruita nel suo complesso al netto di qualche imperfezione, ma trascinato giù dal suo gameplay un po’ troppo datato e da scelte di design non sempre condivisibili. Laddove il sistema di combattimeno da un certo grado di originalità e offre diverse opportunità strategiche, valorizzando anche l’uso degli ogetti, la scarsa remunerazione dei combattimenti base spinge a evitarli del tutto per lanciarsi contro le boss fight; non aiuta anche un’esplorazione affatto stimolante, che ci porterà ad attraversare le grandi mappe di gioco senza curarci troppo di cos’hanno da offrire – che sarebbe in ogni caso molto poco. Infine, se gli sprite dei personaggi e le schermate disegnate sono molto gradevoli a vedersi, lo stesso non si può dire di modelli 3D e texture che risultano molto, troppo povere.
This post was published on 4 Settembre 2023 19:30
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