Uno degli articoli che con più ricorrenza abbiamo visto apparire sui siti specializzati in videogiochi è un tuffo nel passato di From Software. Se ad oggi From Software è uno dei mille tentacoli in cui si dipana il colosso editoriale di Kadokawa Shoten, un tempo le cose erano particolarmente diverse: c’erano gli oscurissimi dungeon di King’s Field, c’erano le oscure passeggiate nel silenzio di Echo Night e c’erano diversi prodtti non esattamente incredibili come Eternal Ring o Evergrace; tutti prodotti con scarso appeal commerciale ma con forti identità ludiche.
In questo brodo frommiano primordiale, però, troviamo anche LA saga, quella il cui successo ha permesso alla software house di mettere insieme i fondi necessari poi per l’imprevisto exploit dei souls. Lo stesso Hidetaka Miyazaki, director iridato di diversi dei videogiochi di maggior successo della compagnia e wannabe superstar presto in lista per superare Hideo Kojima, ha iniziato il suo percorso in From Software proprio lavorando come planner in Armored Core: Last Raven per Playstation 2.
Se negli ultimi anni abbiamo imparato ad associare in maniera quasi pavloviana From Software ai souls, da oggi dovremo per forza di cose aggiungere in questa definizione spicciola anche il nome di Armored Core, arrivato al sesto e abbastanza inaspettato capitolo in un caldo agosto del 2023.
Già dalla nostra anteprima era facile avere l’acquolina in bocca perché, da quanto il nostro Giacomo ha potuto provare, di bello da giocare c’era davvero tanto. Ora, dopo una quantità inenarrabile di game over e qualche decina di ore di gioco, siamo pronti per darvi qualcosa di simile a un giudizio conclusivo.
Che poi conclusivo non può mai essere perché sappiamo che nei titoli From il termine conclusivo arriva soltanto aver bestemmiato tutte le divinità esistenti e non negli universi dopo la TRVE MVLTIPLAYER EXPERIENCE. Questa recensione non contiene troppe esperienze multiplayer e pertanto, per definizione, non è completa: ci volete bene lo stesso, vero?
Lasciateci giusto anticipare una cosa: Armored Core VI: Fires Of Rubicon è il punto di arrivo per la saga e la maniera più diretta per vivere la più viscera esperienza mecha attualmente in commercio.
Ve li ricordate i demo disc per Playstation 1?
Ecco: il primo approccio con Armored Core di chi scrive è avvenuto proprio grazie a uno di quelli; i successivi sono stati poi dilatatissimi nel tempo: un playthrough di difficoltà aberrante con Last Raven su PS2 (solo a posteriori ho scoperto questo capitolo essere praticamente un expansion pack da giocare con i mech già potenziati importando il salvataggio del precedente capitolo) e qualche capatina su Armored Core V, un po’ maledetto dalla sua limitata palette di colori e da una scarsa voglia di esperienza hardcore in quel preciso momento storico.
Armored Core è stata da prima di Dark Souls all’avvento dello stesso, la saga di punta di From Software. Nato da alcuni esperimenti dell’allora director Yasuyoshi Karasawa su un prototipo di action game con per protagonista un robottone gigante su Playstation 1, il brand Armored Core è riuscito fin da subito a fare breccia nel cuore di tanti anime-fan grazie alla combinazione di diversi fattori. 2 sono senza dubbio i più rilevanti: l’aver soddisfatto un vuoto di mercato (non c’erano molti videogiochi action in circolazione che permettevano al giocatore di interpretare un pilota di real robot) e l’aver un fortissimo senso estetico, complice la collaborazione di Shoji Kawamori. Ecco: quest’ultimo nome è bene contestualizzarlo: parliamo di uno dei più importanti mecha designer della storia dell’animazione nipponica; uno che nel curriculum può vantare Macross, Patlabor, Ghost in the shell, OAV di Gundam, I cieli di escaflowne, Aquarion, Eureka Seven.
Assolutamente non l’ultimo arrivato per intenderci.
La saga di Armored Core, al momento della stesura di questa recensione conta tra spin off e serie principale 15 titoli diversi; From Software stessa, tra un AC e l’altro (sempre prima dell’esplosione dei souls) si è dilettata nello sviluppo di altri videogiochi a tema mecha tra cui ricordiamo il divertentissimo Metal Wolf Chaos XD (di cui trovate la recensione), la saga di Another Century, il pessimo Steel Batallion: Heavy Armor (quello col sistema di controllo legato al Kinect, per intenderci), il notevole Murakuko: Renegade Mech Pursuit e il sottovalutatissimo Chromehounds (alleghiamo video esplicativo sul tema).
Era quindi solo questione di tempo prima di vedere un altro Armored Core arrivare sugli scaffali e gli appassionati, dopo anni di silenzio radio e videogiochi dalle trame molto frammentate con bossfight piuttosto arrabbiate, hanno avuto di che felicitarsi.
Se non lo si fosse già capito dalle anteprime e dalle dichiarazioni di sviluppatori e persone che hanno provato il gioco, meglio essere chiari fin da subito: Armored Core VI: Fires Of Rubicon non è un souls-like.
Il titolo è in tutto e per tutto un classico videogioco della saga, potenziato in maniera enorme dal punto di vista tecnico e raffinato leggermente dal punto di vista ludico rispetto al passato così da potersi presentare come più appetibile a un nuovo pubblico.
Parliamo quindi di un videogioco action in terza persona dove il giocatore interpreta il pilota di gigantesche macchine da guerra completamente personalizzabili chiamati Armored Core. Questi giganteschi robottoni, alti decine e decine di metri, sono tra i più potenti strumenti di morte presenti all’interno del futuro in cui è ambientato il gioco e sono in dotazione tanto a forze militari di vario genere quanto a gruppi di mercenari organizzati.
La struttura del gameplay non vede quindi importanti variazioni se non nella profondità di alcune meccaniche e nelle possibilità offerte al giocatore tramite level design e game design. Come nei precedenti, se non più, importanza CAPITALE è data alla preparazione del proprio mech prima dell’inizio di una missione. Il giocatore che pensa di avviarne una per completarla al primo colpo, semplicemente, non ha capito con che gioco ha a che fare. Attraverso una varietà abbastanza marcata di nemici e situazioni, il game design sotteso al gioco costringe il giocatore ad apprendere un’unica verità: be like water o, per tradurla correttamente, ricordatevi di modificare il vostro AC in base alle circostanze.
Questo non vale soltanto per le missioni standard ma anche per le sfide 1v1 contro armored core guidati dalla CPU nella modalità Arena. Quest’ultima è di importanza capitale perché permette di accedere a due elementi molto interessanti: da una parte ci sono i chip OST, utilizzabili all’interno di un apposito menu per sbloccare specifici potenziamente passivi o attivi per il proprio mech.
Facciamo un passo indietro prima di gettarci in un mondo fatto di statistiche, numerini e game over per parlare della narrativa. Non tutti sanno che la saga di Armored Core, al netto di modi non particolarmente esaltanti di raccontare una trama, si è sempre contraddistinta per portare nel mondo dei videogiochi narrative ramificate e sopratutto adulte.
I precedenti capitoli della saga trattavano in maniera estremamente diretta (per quanto magari superficiale) argomenti come l’ecoterrorismo, il transumanesimo, le conseguenze del capitalismo e così via utilizzando contesti hard sci-fi. Il mondo di Armored Core è come spogliato da qualsiasi forma di pietà, sempre per colpa di risorse troppo importanti per essere lasciate a parte o per gli scopi più grandi di questa o quella megacorporazione.
Armored Core VI: Fires Of Rubicon prosegue esattamente su questo tracciato con maggiore chiarezza e maggiore forza espressiva. Fin dai trailer pubblicitari grande risalto è stato dato al setting, ISB2262, nome in codice Rubicon 3, è un pianeta colmo di una sostanza chiamata Coral; se impiegata come fonte energetica permette agli utilizzatori di ottenere vantaggi incredibili dal punto energetico, risultando quindi un asset di importanza enorme per le tante corporazioni in cui è divisa l’umanità nel futuro descritto nel gioco.
Come però abbiamo già visto accadere in piccolo sulla terra, il Coral porta con sé molteplici rischi. Rubicon, ad esempio, non è più lo stesso dopo i bagliori di ibis, un evento accaduto mezzo secolo prima dell’inizio del gioco in cui un intero mare di Coral finì per infiammarsi, contaminando in maniera irreversibile la superficie del pianeta e cambiando per sempre la geografia di Rubicon.
Il giocatore nei panni di C4-621, un essere umano dotato di un sistema di controllo cerebrale Coral, nella cutscene iniziale viene letteralmente spedito sulla superficie del pianeta in maniera illegale all’interno di un Armored Core; questo ingresso rocambolesco è stato permesso da Walter, un supervisore che si occupa di dare lavori e possibilità ai mercenari indipendenti.
La storia di Armored Core VI, partendo da qui, finisce altrove e lontanissimo: nel corso di circa trenta/quaranta ore di gioco, tra game over e menu crawling, il giocatore potrà fare molte cose tanto con la sua umanità quanto con quello che Rubicon è. La struttura del gioco, infatti, incentiva la rigiocabilità offrendo dei new game plus molto interessanti che guardano da vicino alle sorprese che Nier: Automata ha messo sul piatto qualche anno fa; non vi diciamo di più per non rovinarvi la sorpresa!
Come intuibile il blocco centrale dell’esperienza di Armored Core è rappresentato dal sistema di combattimento e dal sistema di assemblaggio del mecha.
Il primo prende gli stilemi di uno shooter in terza persona per reimmaginarlo in un contesto decisamente più veloce e profondo. Il nostro Armored Core può camminare, muoversi velocemente, effettuare schivate ravvicinate e scattare grazie al potere dei suoi propulsori; tutto ciò può essere fatto imbracciando ben 4 armi diverse (2 alle braccia e 2 sulle spalle) che, volendo, possono fare fuoco tutte contemporaneamente.
Tutti i movimenti che sono legati in qualche maniera all’impiego dei propulsori richiedono energia, indicata sotto forma di barra nella parte bassa dello schermo. Il quantitativo massimo di energia e la velocità con cui la barra si ricarica sono parametri che dipendono dal generatore installato all’interno dell’Armored Core, uno tra mille componenti che i giocatori impareranno presto a conoscere come le proprie tasche.
No, scherziamo: non ci sono 1000 componenti; per assemblare un buon AC ne bastano una decina ma è bene mettersi in testa fin da subito che bisogna leggere molto, fare i conti e studiare prima di mettere in piedi delle strategie in grado di superare le missioni più toste o i boss più incasinati. Il livello di complessità offerto da Armored Core nell’assemblaggio è incredibile: le armi possono infliggere diverse tipologie di danno e avere effetti secondari in grado di incentivare lo stordimento o il danneggiamento; le strumentazioni da avere sulle spalle possono sia offrire fuoco di supporto che semplice protezione attraverso scudi di vario genere; un buon torso può fare la differenza resistere a tre o quindici colpi, i sistemi di puntamento FCS permettono di gestire il bersagliamento dei nemici e la precisione per il lock on dei missili.
Per parlare anche soltanto delle gambe dei mecha sarebbe necessario un articolo ad hoc: gli arti a giuntura inverse, ad esempio, permettono di eseguire salti molto più alti a costo di una minore stabilità generale; i gli arti tetrapodi permettono di stabilizzarsi a mezz’aria, trasformando l’AC in una fortezza volante; gli arti a cingolato hanno letteralmente un intero metagame interno basato sulle caratteristiche uniche di tre particolari modelli; c’è davvero da impazzire dietro la costruzione dei mecha.
Fortunatamente buona parte di queste nozioni vengono consegnate al giocatore in forma controllata all’interno di una modalità addestramento che consigliamo altamente di completare durante il corso del primo capitolo; da una parte è un buon modo per ottenere particolari pezzi per il proprio Armored Core, dall’altra invece permette di impratichirsi con alcune situazioni che molto spesso faranno capolino durante il corso delle partite.
Tutto questo ben di dio viene retto da un gameplay che, pad alla mano, è incredibilmente soddisfacente. In primis pilotare un Armored Core è un’esperienza molto materica, che da una parte galvanizza per la potenza di distruzione di queste incredibili macchine di guerra, dall’altra invece fa sentire la pesantezza delle leghe metalliche e la reattività dei movimenti.
Per gestire livelli dalla verticalità più accentuata rispetto al passato From Software ha deciso di inserire, in punti solitamente chiave, delle catapulte che sono in grado di sparare a centinaia di metri di altezza il nostro mech; da qui starà poi al giocatore scegliere come utilizzarle. In base alla propria build, ad esempio, è possibile utilizzarle per bombardare il terreno con i propri missili con o armi esplosive oppure è possibile utilizzarle per guadagnare terreno prezioso per scappare dai nemici più minacciosi alla ricerca di una strategia.
Come nei precedenti capitoli in Armored Core non esiste un selettore di difficoltà: il giocatore deve imparare a sue spese, game over dopo game over, cosa funzione, cosa no e sopratutto in quali situazioni fare una scelta è meglio di farne un’altra. Di certo tra tutti i videogiochi From questo è uno di quelli con uno degli inizi più frustranti, con un tutorial boss tutt’altro che banale, complice anche qualche stortura dell’interfaccia.
Quest’ultima, infatti, per quanto abbastanza leggibile non è molto brava nel far capire al giocatore da dove stanno arrivando i colpi, specie quando ci si trova dietro copertura. Alcuni nemici, esattamente come il giocatore, sono dotati di missili a ricerca in grado di aggirare muri e container, andando a provocare ingenti danni al nostro povero robottino; se a questo aggiungiamo il fatto che i colpi esplosivi hanno come caratteristica principale la destabilizzazione del robot la frittata è fatta.
Se nei souls avevamo la poise, in Sekiro la postura qui abbiamo il parametro ACS; il meccanismo è sostanzialmente lo stesso: al riempirsi della barra ACS il mecha colpito finirà come stordito, ricevendo danni diretti (ovvero non parzialmente assorbiti da nessun tipo di armatura o difesa); velocizzare la velocità di riempimento della barra negli avversari può essere vitale per abbattere rapidamente i nemici più ostici ma imparare a tenere sott’occhio la propria barra significa risparmiarsi moltissimi game over. Esattamente come abbiamo imparato negli altri giochi della software house per dover ricominciare dai checkpoint non ci servono molti colpi, specie se il proprio robot è stato destabilizzato.
In realtà qualche semplificazione rispetto al passato c’è stato ma niente che effettivamente vada a modificare troppo l’esperienza. Armored Core VI: Fires Of Rubicon è un videogioco strutturato a missioni; queste sanno anche essere piuttosto lunghe e sanno lanciare contro il giocatore minacce che richiederanno ben più di un tentativo.
Per ovviare al problema From Software ha avuto la brillante idea di introdurre 3 tipologie di semplificazioni: la stragrande maggioranza delle missioni sono dotate di checkpoint da cui poter ricominciare in caso di game over; il giocatore è dotato di 3 kit per la riparazione del mech (questi permettono di recuperare parzialmente i punti salute del mech) e le missioni più lunghe prevedono anche dei rifornimenti con ristoro completo di munizioni e kit di riparazione.
Ad ogni game over si avrà la possibilità di ritornare nella schermata di assemblaggio per modificare il proprio mecha con gli altri pezzi che si hanno in inventario, così da migliorare il proprio approccio nei confronti delle situazioni proposte. Queste scelte riescono in un duplice e agognato obbiettivo: rendere il videogioco più accessibile nei confronti di tutti i giocatori senza snaturare troppo l’esperienza e evitare l’eccessivo menu crawling che invece infestava i precedenti capitoli.
La somma delle meccaniche di gameplay di Armored Core VI: Fires Of Rubicon porta il coinvolgimento a livelli mai esperiti prima nella saga: ritrovarsi con il cuore a mille e il volto sudato in seguito a una bossfight riuscita grazie alla propria capacità di analisi e pazienza è qualcosa che vi porterete nel curriculum videoludico per un molto tempo.
Durante la nostra prova abbiamo fatto anche qualche partita in multiplayer, non potendo però giocare più di tanto a causa delle non esattamente ottimali condizioni del modem del nostro caporedattore (grazie digital divide).
Nei match in cui non abbiamo avuto problemi di lag derivanti da fili di rame non esattamente al passo con i tempi ci siamo divertiti anche se ne abbiamo prese in gran quantità; speriamo di poter tornare con un bel speciale a tema multigiocatore only nel prossimo futuro.
Abbiamo provato Armored Core VI: Fires Of Rubicon su Playstation 5 prevalentemente in modalità performance, cercando sempre di ottenere il massimo numero possibile di frames al secondo. Le motivazioni sono lapalissiane: essendo un videogioco davvero molto legato alla rapidità dell’azione, avere sessanta frames al secondo è il minimo indispensabile per non soccombere davanti le difficili bossfight affrontate durante il corso delle nostre venti ore di gioco.
Di cali di frames non ne abbiamo visti molti e il perché, in realtà, ci è anche abbastanza chiaro: rispetto a Elden Ring ci sono molti meno elementi a schermo, senza contare che la conta poligonale con cui il motore grafico deve combattere è più limitata. Il colpo d’occhio è comunque ottimo, complice l’impianto estetico portato avanti da From Software e gli effetti particellari che animano le esplosioni che punteggiano tutta l’esperienza. Gli occhi avranno di che rimanere soddisfatti, specie se vi piace l’hard sci-fi e le atmosfere deprimenti dei pianeti dopo il passaggio del più avido degli esseri viventi.
Discorso identico si può fare per l’ottima colonna sonora, con buone musiche d’ambiente e galvanizzanti brani per le boss battle perfettamente in linea con le produzioni precedenti della sagai (volete sapere di che parliamo? Prendetevi 3 ore e ascoltatevi questo splendido mixtape ).
Finora abbiamo parlato soltanto bene dell’avventura robotica di From Software e le motivazioni sono chiarissime: parliamo di un videogioco dalla profondità incredibile, dall’aspetto tecnico notevolissimo e dalle potenzialità estreme sul lungo periodo, con un comparto multiplayer molto interessante per quanto poco si è potuto capire dalla nostra prova limitata
Quello che invece ci fa ancora storcere il naso, e stavolta ancora più di quanto non sia già successo in passato, è il ripresentarsi di due particolari problematiche già note agli appassionati della software house: telecamera e bilanciamento di specifiche bossfight.
Se sulle seconde siamo anche disposti a quasi chiudere un occhio (arrivate al quarto atto e poi veniteci a scrivere in privato il numero di bestemmie dette durante l’ultimo scontro del capitolo), sulla telecamera diventa ancora più difficile soprassedere.
Ancora una volta From Software, quando mette contro al giocatore avversari più grandi di lui, non capisce di dover dare una sistemata alla povera telecamera. L’effetto qui è ulteriormente amplificato a causa della velocità elevata a cui determinati scontri avvengono, portando a dei game over francamente evitabili con una telecamera gestita in maniera migliore.
Mentre è probabile che la difficoltà venga gestita meglio nel giro di un paio di patch, lo stesso non possiamo dire per la telecamera che immaginiamo abbia bisogno di qualche trucchetto più radicale per venire messa a posto; gran peccato perché From è dal primo Dark Souls che non riesce a usare una telecamera infallibile nei suoi videogiochi.
Attraverso una raffinazione del suo passato videoludico, Armored Core VI: Fires Of Rubicon riesce nell’impossibile e non delude nessuno.
Guidare un Armored Core è galvanizzante come non mai, la profondità del sistema di assemblaggio manderà in brodo di giuggiole tutti i minmaxer di questo mondo e l’ottimo comparto tecnico messo in piedi da From, almeno su Playstation 5, regge per tutta la durata dell’avventura. Peccato per i soliti, ormai abbastanza frustranti, errori che From Software commette con le sue produzioni, tra telecamere imprecise e bilanciamenti da correggere; niente che impedisca realmente di gustarsi l’esperienza, comunque. Se amate i robottoni compratelo, se non li amate compratelo ugualmente e lasciatevi maltrattare da una software house in stato di grazia.
This post was published on 23 Agosto 2023 17:00
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