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Recensioni

Fort Solis – Recensione del thriller narrativo ambientato sul Pianeta Rosso (PS5)

Lo studio britannico Fallen Leaf e il team polacco Black Drakkar Games, di recente fondazione (marzo 2021), ci portano sul pianeta più amato dagli autori di storie sci-fi: Marte, e più precisamente nella colonia mineraria di Fort Solis che dà il nome al videogioco.

Prima di iniziare la recensione vera e propria è giusto informare i lettori su un paio di cose che potrebbero non aver arguito dai trailer mostrati fino a oggi: chi ha visto distrattamente qualche immagine per poi convincersi ad acquistare il gioco pensando di trovarsi per le mani un horror sulla falsariga di Dead Space e The Callisto Protocol, da cui attinge un po’ esteticamente, dovrà rifare i propri calcoli perché Fort Solis non c’entra nulla con questi titoli, infatti si tratta di un’esperienza narrativa più simile a un walking simulator.

Non è un horror, tra l’altro, bensì un thriller, ma questo è sempre stato esplicitato dalle informazioni rilasciate dagli sviluppatori. Tuttavia, è giusto premetterlo in modo che chi legge la recensione sappia già di cosa si sta parlando.

Fai l’ingegnere, è una passeggiata, dicevano…

C’è poco da fare, se sei un ingegnere nel 2080, e oltre, e ti mandano a riparare qualcosa su un pianeta diverso dalla Terra o una nave spaziale in avaria, sono davvero dolori di pancia. E infatti, in Fort Solis i due protagonisti, Jack Leary e Jessica Appleton, sono ingegneri mandati su una colonia mineraria marziana a toccare cose, ma ben presto i due colleghi e amici si renderanno conto che la struttura è stata e continua a essere teatro di qualcosa di poco chiaro e potenzialmente pericolosissimo.

Addentrandosi in Fort Solis, Jack troverà una scia di morte: l’equipaggio è scomparso, le tracce di sangue non promettono nulla di buono e i terminali raccontano una storia che man mano si fa sempre più misteriosa e inquietante. Di base, la storia è questa, sarebbe fuori luogo dire di più, a maggior ragione se si considera che Fort Solis dura 3 ore, massimo 4. Sì, la durata del gioco è risicata, ma va riconosciuta una certa intensità nelle poche cutscene presenti.

Il titolo è ben recitato grazie a un cast di buon livello in cui spicca Troy Baker che interpreta Wyatt Taylor, un personaggio di cui non vogliamo parlarvi troppo, essendo molto importante nell’economia narrativa; Jack e Jessica, invece, sono interpretati da Roger Clark che ha prestato voce e volto nel motion capture di Red Dead Redemption 2, e Julia Brown (World of Fire, Foundation). Ottimo anche il doppiaggio inglese (non ci sono i sottotitoli in italiano) e di livello è anche la messa in scena in generale, tra sonoro e aspetto tecnico. Fort Solis utilizza Unreal Engine 5 e lo fa bene, con un livello di dettaglio alto e una certa credibilità degli ambienti e nei modelli… ciò che manca è però il guizzo estetico, qualcosa che renda il gioco riconoscibile e non solo una prova di forza in stile tech demo.

Perché stiamo già parlando di sonoro, doppiaggio, grafica, cose che solitamente vengono descritte più in là in una recensione? Perché sono le caratteristiche che funzionano meglio, infatti, come detto precedentemente, nonostante il gioco sia molto breve, riesce a farsi apprezzare dal punto di vista narrativo per una messa in scena ben costruita. L’intensità del gioco scema leggermente quando la storia viene raccontata in game attraverso la visione di filmati registrati dai membri dell’equipaggio e l’ascolto degli audio che si trovano su microschede SD sparse per le stanze.

In questi casi, si rimane passivi anche per interi minuti, visto che in una singola stanza è possibile trovare tre filmati e un audio.

Interazione consequenziale e QTE

Sul gameplay vanno dette alcune cose che, a nostro parere, hanno bilanciato in negativo la bontà del carattere filmico dell’opera. Come abbiamo già sottolineato, Fort Solis è un videogioco story-driven, ma non inteso come gioco con una forte componente narrativa che accompagna un gameplay solido, ma inteso proprio come gioco che sfrutta anche nel gameplay la sua natura cinematografica. Insomma, lo ribadiamo, è a tutti gli effetti un walking simulator.

E fin qui, niente in contrario. Tuttavia chi scrive questa recensione ritiene che i videogiochi narrativi debbano iniziare a presentare specificità molto forti per non ridursi a essere derivazioni di titoli omologhi. Fort Solis queste specificità non le ha e quando prova a mettere del gameplay non riesce appieno a farlo funzionare a dovere.

In Fort Solis si esplora la struttura della colonia mineraria e occasionalmente il suo esterno con una progressione fortemente guidata. L’interazione ambientale è relegata a pochi punti specifici che seguono una sequenza pre-impostata. In pratica, gli spot interattivi, molto visibili anche da lunghe distanze grazie a un cerchietto bianco che li indica, non sono tutti disponibili fin da subito, ma vanno sbloccati per effetto dell’interazione consequenziale. Ad esempio, se in una stanza dobbiamo interagire con un calendario per scoprire una password e con il terminale, entrambi i punti non saranno interattivi, ma solo uno che poi sbloccherà la possibilità di interagire con l’altro.

Questo comporta un leggero appiattimento dell’esplorazione che risulta molto semplice e lineare in modo forse ossessivo. L’esplorazione appare guidata anche a causa di un level design “rettilineo” e una progressione assoggettata alla trama. All’inizio, quando vedremo un corridoio pieno di stanze, potremmo subire l’ “effetto labirinto”, in realtà dopo pochi minuti risulterà evidente che basta seguire l’obiettivo testuale per sapere dove andare senza bisogno di toccare tutto, orientandosi con gli schermi informativi delle porte (molto meglio che con la mappa, poco precisa). La segnalazione dell’obiettivo può essere disattivata dal menu delle impostazioni, ma non cambia moltissimo perché molte delle porte chiuse lo rimarranno per tutto il gioco, mentre quelle che richiedono una scheda d’accesso si potranno aprire praticamente solo quando sarà richiesto dalla trama, facendoci esplorare le zone interdette quando sarà la storia a volercelo far fare.

Insomma, inutile andare in giro.

E vogliamo chiarire una cosa: ci sta che un titolo story-driven, catalogabile come walking simulator, l’esplorazione sia guidata e limitata, ma spesso nei ws l’interazione viene proprio eliminata, mentre in Fort Solis è stata aggiunta in modo poco stimolante. Aggiungiamoci poi che manca il comando della corsa, cosa che rende l’avanzamento a tratti snervante a causa di un personaggio leeeento e pesante. Di tanto in tanto, sarà necessario trovare batterie per rimettere in funzione delle porte e password per violare i terminali privati, anche in questi casi siamo di fronte a una progressione su binari, infatti queste si trovano o nella stessa stanza in cui vanno utilizzate o in quella adiacente.

La feature di gameplay più dinamica è rappresentata dai QTE. Questi a volte risultano imprecisi con la pressione del tasto che non viene rilevata, ma dopo averne affrontati una buona parte ci si rende conto del problema principale: sono finti. I QTE in Fort Solis non cambiano l’esito in nessuna circostanza, sia che si fallisca sia che si abbia successo. Se si fallisce un QTE, può capitare di metterci un po’ di più durante una scalata, di prendere un pugno aggiuntivo in una scazzottata, nient’altro. I QTE hanno un intento preciso nei giochi: se fallisci le cose vanno in un senso (game over o allungamento di una battaglia in un action/conseguenza alternativa in un narrativo), se li fai correttamente le cose vanno come avevano deciso gli sviluppatori.

In Fort Solis le cose vanno come hanno deciso gli sviluppatori, in entrambi i casi. A questo punto, è lecito chiedersi perché aggiungerli.

Commento finale

Fort Solis è una bella esperienza dal punto di vista filmico, ovvero tutto ciò che ruota al suo essere narrativo funziona grazie a cast, regia e storia che reggono la baracca e ad elementi e processi tecnici di livello (recitazione, doppiaggio, qualità grafica). Le cose si bilanciano in negativo quando la sua natura story-driven appiattisce troppo il videogioco in sé, pertanto abbiamo progressione, interazione e le poche meccaniche di gameplay che non riescono a rimanere stimolanti per le ore di gioco, sebbene siano solo tre o quattro. I QTE soprattutto ci hanno lasciato un po’ straniti perché il loro inserimento ci è apparso forzato, considerando che sono letteralmente finti, cioè non hanno alcun impatto sulle scene. Scene, ribadiamo, girate benissimo e con una notevole intensità.

This post was published on 22 Agosto 2023 20:00

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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