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Recensione Final Fantasy XVI | (PS5) | Oltre ogni più rosea aspettativa

Non so davvero da dove cominciare con questa recensione di Final Fantasy XVI perché sarebbe necessario fare un lunghissimo discorso su tutto quello che questo capitolo vuol dire, tanto per la fanbase quanto per l’azienda Square Enix. 

Il primo Final Fantasy single player di Naoki Yoshida, messia della saga che ha salvato il quattordicesimo capitolo dall’oblio trasformandolo in un’ancora di salvezza (specie economica); il primo Final Fantasy doppiato in Italiano (e con ottimi risultati); il primo Final Fantasy puramente action, forte del supporto tecnico di un capacissimo Ryota Suzuki (precedentemente in forza a Capcom, una delle menti dietro DMC V, Monster Hunter World e Dragons Dogma, non l’ultimo arrivato); dato il battage pubblicitario messo in piedi da Sony, per molti sarà il primo Final Fantasy in assoluto.

Ed è proprio su quest’ultimo punto che sento di dovermi soffermare per dire una cosa che sicuramente farà arrabbiare tanti ma che sarebbe un peccato omettere: sono felice di dire che è difficile cominciare da un Final Fantasy migliore di questo. Checcé se ne voglia dire, la sedicesima fantasia finale è il più importante e centrato capitolo della saga sin dai tempi di Final Fantasy IX, complice un rispetto immane per le radici immaginifiche e culturali che hanno alimentato per gran parte del tempo la saga. 

Parole dure di un uomo veramente strano direbbero i Simpson ma sono sicuro che chiunque abbia una profonda conoscenza del brand non potrà che essere d’accordo con me dopo essere arrivati ai titoli di coda.

Final Thrones o Game Of Fantasy o, più laconicamente, “non è un problema che ci riguarda”

Partiamo subito con un argomento caldo che ha generato qualche polemica in giro dopo l’uscita della demo: quanta somiglianza c’è tra Game Of Thrones e Final Fantasy XVI?

La risposta corretta, in questo caso, non solo è il giusto ma è anche e che ce ne frega a noi.

Chiunque abbia visto la serie televisiva sarà in grado di riconoscere diversi parallelismi tra le due opere ma questo non inficia in alcun modo la fruibilità dell’opera di Creative Business Unit III.

Yoshida stesso ha confermato l’importanza della serie TV (e quindi anche del romanzo di Martin) in una recente intervista con Eurogamer, sottolineando come ci sia stata l’intenzione di dare al titolo di Square Enix gli elementi necessari a far risonare Valisthea con il pubblico in maniera simile a quanto è stato fatto dagli showrunner con Westeros, almeno per le sue prime stagioni. 

Risalta velocemente all’occhio la presenza di evidenti citazioni: il personaggio di Goetz, ad esempio, riprende l’idea Hodoriana del gigante buono ma un po’ tonto; l’amicizia tra Torgal e Clive? Jon Snow e i metalupi non sono poi così distanti da loro. 

I possibili parallelismi vanno anche oltre i personaggi o i rapporti tra di loro; Valisthea è un regno funestato da tradimenti, da guerre intestine e lotte per il potere; non mancano nemmeno le minacce “ambientali” che modificano gli equilibri del mondo (cfr. la piaga di FF16 e la lunga notte di GOT) e un’onnipresente violenza giustificata per i motivi più disparati. 

Il grigiume morale che caratterizza Valisthea è onnipresente nell’opera di Yoshida & Co. Gli eroi che noi guidiamo fanno cose orribili per portare avanti i propri ideali, esattamente come lo fanno gli altri vettori di potere che animano le nazioni ed i popoli intorno a rosario. 

Tutti questi elementi ci permette di classificare il titolo come un prodotto videoludico dalle atmosfere più grimdark che universalmente vicine a Game Of Thrones, con un sacco di ingredienti seriosi e adulti che da vicino ricordano anche le incursioni più matsuniane della saga come Final Fantasy Tactics e Final Fantasy 12.

Geopolitica, dolore, autodeterminazione e sofferenza sono quindi alcuni degli ingredienti fondamentali che caratterizzano l’esperienza di gioco. Fortunatamente per noi, però, l’animo fantasyano più leggero e sprezzante, memore dei capitoli bidimensionali della saga (e del nono capitolo) non solo è presente ma risulta anche amalgamato in maniera pregevolissima all’interno del mondo di gioco, sia nei personaggi che negli scambi di battute tra questi. 

Fardelli pesanti come cristalli

Ecco, settecento parole senza ancora riuscire a descrivere nulla di nulla: che gran peccato abbiamo commesso. 

Final Fantasy XVI parla di Clive Rosfield, rampollo della casata governante del ducato di Rosaria. Quest’ultimo è solo uno dei tanti regni che compongono Valisthea, un arcipelago principlamente rappresentato da 2 grandi isole (Ciclonia ad ovest e Cineria a Est) e setting assoluto per questo sedicesimo capitolo. 

Come ampiamente preannunciato dal materiale pubblicitario, il giocatore avrà modo di accompagnare Clive Rosfield durante tre specifici periodi della sua vita, tutti collegati in qualche maniera al suo essere un dominante. Quest’ultimo termine sta a indicare gli esseri umani che nel mondo di gioco hanno il potere di manifestare un Eikon, potentissime creature magiche che incarnano uno degli otto elementi e che rappresentano alcune tra le figure più importanti per Valisthea tutta. 

Il mondo di gioco, infatti, è un luogo dove la magia ha pesantemente influenzato il corso della storia: i dominanti sono spesso il fiore all’occhiello degli eserciti o siedono nei luoghi di potere, sfruttando il loro Eikon nel momento del bisogno. L’umanità stessa è dipendente non tanto dagli Eikon quanto dai cristalli madre, gigantesche montagne vetrose da cui è possibile ricavare dei più piccoli e comodi cristalli: questi ultimi rappresentano la più versatile delle risorse disponibili su Valisthea, capace di creare fiamme, generare acqua potabile, creare correnti ventose e tanto altro ancora.

I cristalli permettono agli esseri umani di utilizzare la magia per i loro scopi ma non hanno una potenza illimitata: attraverso l’utilizzo continuo ritornano a essere semplice pietra; a complicare ulteriormente la situazione arrivano però i portatori, ovvero esseri umani in grado di incanalare la magia senza l’ausilio dei cristalli. 

Non ci vuole molto per capire che quindi la figura del portatore diventa sovrapponibile a quella dei cristalli: risorse potenzialmente infinite da sfruttare per i propri comodi, con ogni nazione che declina un rapporto di possesso e subordinazione di questi esseri umani secondo tradizioni e usanze specifiche. 

Dominanti, Eikon, cristalli e portatori sono gli elementi fondamentali di un worldbuilding solidissimo che mette sul piatto una pletora di tematiche molto più adulte di quelle affrontate durante il corso dei precedenti capitoli. 

Dalla crudeltà della guerra allo schiavismo, passando per i desideri aristocratici di un mondo dominato dai puri, con in mezzo tutto quello che ci si può immaginare sul mondo medievale: i bordelli come luoghi dove trovare informazioni, con cortigiane che fanno avances piuttosto spinte ai soldati di guardia dei villaggi, alle relazioni omosessuali nascoste agli occhi degli altri per paura che la cosa incrini il buon nome di questo o quell’altro personaggio; non mancano, chiaramente, gli stupri e i massacri che ogni esercito si ritrovava a praticare con immane barbaria sui vinti, gli ultimi, gli sconfitti. 

Durante il corso delle 40 sfiziosissime ore di gioco che ci abbiamo messo per completare la main quest e qualche secondaria, sempre nei panni di Clive Rosfield, ci siamo ritrovati a viaggiare per tutta Valisthea conoscendo un nutrito cast di personaggi e commettendo atti terroristici manco fossimo l’Avalanche di Final Fantasy 7 (la legittimità dell’ecoterrorismo, tra le altre cose, è uno dei possibili dibattiti estraibili da un gioco con una chiave di lettura ecologista):  tutto questo per costruire un mondo dove nessuno debba essere usato come strumento dagli altri, in cui tutti possano vivere e morire alle proprie condizioni

Il grande strappo

Inutile girarci intorno: chi è alla ricerca di un videogioco con i combattimenti a turni, gli status alterati, le debolezze, le resistenze e tutto il resto farà bene ad andare altrove: Final Fantasy XVI non presenta questi elementi al suo interno. Il gameplay messo in piedi da Ryota Suzuki, sant’uomo, bilancia le complessità parametriche e le possibilità di personalizzazione dei precedenti capitoli in favore di un gameplay più lineare, in cui gli elementi personalizzabili sono pochi ma in grado di variare in maniera l’esperienza pad alla mano. 

Lo scheletro su cui si basa tutta l’avventura è abbastanza semplice: Clive può saltare, lanciare magie, attaccare e utilizzare le abilità degli Eikon che è in grado di richiamare. Questi ultimi sono equiparabili agli stili di un Devil May Cry e sono caratterizzati da un talento (una abilità con caratteristiche in prevalenza non offensive AKA parata, schivata, laccio per avvicinare i nemici, etc etc) e da un paio di abilità offensive.

Queste ultime sono piuttosto variegate tra loro: oltre ai classici cazzottoni dalla potenza di terremoti, alle mosse che sbalzano in aria i nemici e ai raggi ultrasonici sono presenti anche trappole da piazzare in giro, mine da aggrappare addosso ai nemici, homing attacks e tanto, tanto TANTO altro ancora.  Ogni Eikon ha un set di quattro diverse skill selezionabili; il giocatore ne può equipaggiare 2 contemporaneamente per ogni Eikon equipaggiato; questi sono intercambiabili liberamente attraverso la pressione del tasto L2. 

Tutto quello che non riguarda gli Eikon è rappresentato dalle manovre offensive di base: attacchi base, attacchi caricabili (bufferabili durante l’esecuzione di altre manovre), attacchi dalla distanza (caricabili e bufferabili pure questi), setup per combo aeree, affondi in scatto (simili allo stinger di Devil May Cry), pestoni sui nemici per continuare a rimanere in volo e altre cose ancora, alcune più spoiler di altre. Tutto questo si può studiare con calma all’interno di un’apposita modalità di test, oltre che essere leggibili in termini teorici all’interno dell’apposito menu. 

Questo arsenale, per quanto non immenso come il parco mosse di un Bayonetta o un DMC, permette al titolo di sostenere un gameplay loop fatto di schivate, attacchi base e abilità degli eikon. Grande importanza viene data alla gestione dei cooldown delle abilità attraverso una comodissima interfaccia, con rilevanza totale posta nei confronti delle rotation che sicuramente sono molto care a Yoshida visto il suo successo con Final Fantasy XIV.

Pur senza la sensazione di controllo assoluta di un DMC o il tatticismo più marcato di Dragon’s Dogma, Final Fantasy XVI riesce a essere una cosa quasi nuova proponendo un’azione frenetica ma comunque ragionata, in cui conta saper bilanciare le mosse offensive, le mosse difensive, i cooldown delle varie abilità e contano i riflessi; la bassa difficoltà di esecuzione di molte delle manovre, tra le altre cose, andrà sicuramente incontro a tutti quei giocatori che hanno poca dimestichezza con l’universo action. 

La velocità non eccessiva dell’azione, unità ai cooldown delle abilità dona al gameplay un ritmo compassato il giusto, capace di creare indirettamente una specie di sistema di turnazione dinamico, in cui il giocatore deve impegnarsi a capire cosa scegliere e cosa combinare tra un attacco e l’altro.

Meglio impiegare l’attuale posizione dei nemici per utilizzare un’abilità con il crowd control o puntare a far vacillare l’avversario più grande, così da poterlo abbattere con una rotation ben congegnata di abilità? 

Tra difficoltà e complessità

Abbattere i nemici non è soltanto colpire di cappa e spada (o magia) fino a vedere la barra degli HP azzerarsi. Per abbattere le minacce più imponenti, i nemici più corazzati, gli avversari più temibili è necessario colpirli talmente duro e talmente forte da farli vacillare.

Far vacillare un nemico è una meccanica centrale al sistema di combattimento che riprende da vicino la crisi presente nel tredicesimo capitolo. Colpire in maniera ripetuta un’avversario ci permetterà di stordirlo, rendendolo inerme ai nostri colpi che progressivamente infliggeranno sempre più danno. Il vacillamento è però una condizione temporanea, motivo per cui dobbiamo sceglie in maniera attenta cosa fare durante questi momenti di debolezza al fine di massimizzare i danni possibili.

Solitamente questo genere di soluzione crea il rischio concreto di trasformare tutti i nemici in damage sponges, ovvero in sacchi di carne invalicabili da abbattere letteralmente sprecando tempo. Fortunatamente dopo quaranta ore di gioco ci sentiamo di dire che il problema non si pone realmente poiché la maggioranza dei nemici non ha barre per il vacillamento; quelli che invece le presentano hanno HP pool mai particolarmente esagerate e riescono ad avere moveset abbastanza variegati da essere sempre un minimo pericolosi per Clive. 

Purtroppo c’è da notare come il livello di difficoltà, in linea con i capitoli precedenti della saga, sia tarato tristemente verso il basso. Senza mai farmare particolarmente, completando giusto alcune quest secondarie, non ci siamo mai trovati in seria difficoltà nell’abbattere i nemici della storia principale. Alcune delle quest secondarie ci hanno fatto alzare lo sguardo al cielo alla ricerca di comprensione da parte del divino ma, tolte le sfide dell’endgame, abbiamo trovato il gioco particolarmente lontano dalla difficoltà media di un DMC o di un Bayonetta. 

Riteniamo che la scelta sia stata fatta in maniera super consapevole da CBUIII. Un livello di difficoltà super accessibile permette ai giocatori avvezzi alle turnazioni di non abbandonare il gioco alla prima difficoltà, vivendo nel contempo una delle esperienze cinematiche più interessanti del panorama videoludico attuale. Chi è alla ricerca dell’esperienza hardcore troverà pane per i suoi denti nel NG+ (che purtroppo non abbiamo potuto provare in maniera approfondita, ma che quattro schiaffi ce li ha tranquillamente regalati) oltre che in particolari tipologie di contenuti secondari. 

Mai così imponenti

Inutile nasconderci dietro un filo d’erba: è bastato vedere le battaglie tra Eikon presenti nel materiale pubblicitario per farci salire un coccolone. Questo perché le battaglie a turni, per quanto visivamente interessanti grazie ai lavori avanguardistici fatti da Squaresoft in termini di animazioni e prodigi tecnici, nel 2023 sono ampiamente superate, specie se inserite all’interno di un contesto produttivo dai così alti valori tecnici. 

(inciso doveroso: Final Fantasy XVI è un videogioco che non cerca di fare gli occhioni dolci al pubblico storico della saga, quanto più di far vedere a tutto il mondo cosa è in grado di fare Square Enix quando riesce a far convivere una produzione ad alto budget con uno studio di sviluppo in grado di non autodistruggersi; la scelta della trasformazione del gioco in action, come sottolineato da Yoshida in diverse interviste, è servita per continuare a dare alla saga un piglio innovativo seguendo le tendenze di mercato, il nuovo pubblico che potrebbe volersi approcciare alla saga e la cultura videoludica attuale, il tutto con grande rispetto per quelli che sono i veri elementi fondativi del brand Final Fantasy)

Questo sedicesimo capitolo, forte di un’evidente passione degli sviluppatori per i Kaiju, gli schiaffoni intergalattici, Dragon Ball, Attack on Titan e tanto altro ancora non fa altro che cercare di alzare in maniera continua l’asticella dell’assurdo, il tutto proponendo combattimenti di una spettacolarità e di un’epicità che difficilmente si sono viste sul mercato.

Se le sfide contro i boss umani rientrano all’interno del già visto (ma probabilmente non con quel comparto tecnico), le sfide contro gli Eikon rappresentano uno dei sogni bagnati di Square Enix: rendere giocabili i filmati in FMV che hanno reso immortali i capitoli Playstation 1 e 2 della saga. Parlare di quello che succede a schermo quando gli scontri diventano eikoncentrici è quantomeno difficile. 

Proviamo a mettere su carta quello che invece succede sul pad: il gameplay si semplifica, evapora il concetto di rotation, scompaiono i compagni di squadra (di questi parleremo più approfonditamente fra poco) e rallenta il ritmo di gioco. Come nelle migliori sezioni di Nier, in base alle necessità della narrativa, al giocatore spetterà il compito di prendere a schiaffoni il suo avversario per poi vedere tutto trasformarsi in una spettacolare sezione shoot em up, giusto per tornare nel giro di un paio di QTE a delle sezioni più classicheggianti.

Ma come: un gameplay action così semplice non rischia di stancare?
Plausibilmente si ma è difficile lamentarsi quando:

  • a schermo succedono cose irracontabili per bellezza e proporzioni
  • la prospettiva degli scontri varia in maniera costante in base al quantitativo di HP dell’avversario
  • Il moveset dell’avversario si arricchisce andando avanti nello scontro
  • i QTE sottolineano i momenti più epici

Plausibilmente queste scelte non piaceranno a tutti e lo capiamo: non a tutti piace l’idea di non avere il controllo completo della situazione ma crediamo sia difficilissimo rimanere indifferenti davanti determinate scene, un po’ per la tamarria splendidamente giapponese che c’è, un po’ per la carica emotiva che alcuni scontri portano con sé.

Di mappe e passatempi

Dal punto di vista strutturale Final Fantasy XVI è una versione condensata e ridotta di Final Fantasy XII. Grandi mappe aperte che si aprono progressivamente sempre di più andando avanti con la storia, liberamente selezionabili attraverso una mappa del mondo non liberamente esplorabile. 

Rispetto a quanto fatto in passato, specie con i capitoli che vanno dal dodicesimo capitolo in giù, Valisthea è molto bella da vedere ma un po’ meno da esplorare. Questo perché il level design sostanzialmente rende le aree esplorabili non troppo interessanti da spulciare: ogni tanto ci sono cavità e rientranze con dei forzieri ma le ricompense di questi non sono mai particolarmente interessanti.

Tutta questa linearità porta a quella che forse è la rottura più importante nei confronti del passato della serie: è fortemente ridimensionato il senso di esplorazione. Non ci sono grossi segreti con cui interfacciarsi e la quasi totalità delle location ha senso all’interno delle moltissime missioni secondarie che le riguardano direttamente.

Anche queste ultime faranno storcere il naso ai più: strutturalmente sono abbastanza simili tra di loro, con alle volte un animo da pura fetch quest (vai al punto A, torna indietro, uccidi dieci lupi). Questo di per sé potrebbe essere un problema all’interno di un prodotto dal gameplay poco soddisfacente, cosa che invece non accade in Final Fantasy XVI a causa della natura del gameplay loop stesso. 

Fortunatamente la stragrande maggioranza delle quest secondarie presentano un livello di scrittura tale da obnubilare eventuali problemi di bilanciamento in termini di struttura e/o ricompense.
Ogni quest secondaria prevede interazione con personaggi in qualche modo collegati alla trama principale e riesce nel difficilissimo compito di aiutare il giocatore a capire meglio il mondo in cui il gioco è ambientato attraverso una continua fascinazione per l’ignoto e per i background.

Il risultato finale è quindi quello di un lunghissimo set di attività non obbligatorie che però ci si sente estremamente invogliati a fare non soltanto per il gameplay loop, quanto più per le informazioni extra legate alla narrazione generale che si possono ottenere.

Purtroppo, e lo dico con il cuore in mano, mancano i minigiochi brutti e un po’ scrausi dei Final Fantasy storici; poco male comunque poiché c’è pletora tale di contenuti secondari a cui approcciarsi tra cacce (eh si, tornano i ricercati) e missioni varie che possiamo tranquillamente soprassedere sulla loro mancanza.

L’occhio ha avuto decisamente la sua parte

Alla domanda cosa rende un Final Fantasy tale, Naoki Yoshida ha risposto in maniera molto semplice: l’anima cinematografica dell’esperienza. All’atto pratico sin dal quarto capitolo della saga, il primo con un bagaglio tecnico tale da permettere soluzioni cinematografiche, il brand di Final Fantasy si è sempre mosso dando grande rilievo all’essere in qualche modo parte dell’avanguardia tecnica

Se all’epoca del Super Nintendo il gioco poteva vantare utilizzi incredibili della Mode 7, lo spazio di archiviazione collegati ai CD-Rom ha permesso l’inserimento di scene in Full Motion Video che hanno influenzato pesantemente l’approccio cinematografico al videogioco. Le successive iterazioni della saga, su PS2, PS3 e PS4 hanno generalmente alzato ancora di più l’asticella, proponendo di volta in volta scene più complesse, più spettacolari, più memorabili (al netto di inevitabili scivoloni registici).

Final Fantasy XVI non solo non fa differenza, ma lavora in maniera encomiabile per integrare le cutscene in computer grafica all’interno del gameplay. A volte lo fa ibridando la computer grafica all’interno di scene in-engine (esattamente come nella storica triade su PS1), altre volte lo fa durante le battaglie con gli Eikon attraverso animazioni dalla qualità visiva spaventosa.
Il risultato finale, come già anticipato quando abbiamo parlato del gameplay, è assolutamente di primissimo livello e siamo abbastanza certi sarà un vero e proprio standard a cui aspirare per chiunque, nel corso dei prossimi anni, voglia portare avanti un simile discorso in termini di impostazione cinematografica.

Tutto questo discorso, chiaramente, sarebbe irrilevante se a schermo comparisse un videogioco in cui il comparto estetico è realizzato secondo una progettualità (perché si, l’estetica si può definire come elemento progettuale all’interno di un più complesso sistema di regole e indicazioni, più informazioni in questo splendido articolo di Stay Nerd) mal funzionante. Fortunatamente il brand di Final Fantasy, anche nella sua iterazione peggiore (tredicesimo e quindicesimo capitolo, a voi la scelta), ha sempre avuto estetiche in grado di risultare quantomeno incredibilmente affascinanti per l’occhio e questo sedicesimo capitolo, forte di team capace e ben guidato, riesce ampiamente a rivaleggiare coni titoli più blasonati della stessa saga, nonostante uno spazio minore dato alla fantasia (in senso assoluto).

L’opera di Yoshida e soci propone un mondo medievaleggiante di una bellezza sconcertante, con un colpo d’occhio di una qualità che lascia volentieri sgomenti. Tutto gira in maniera particolarmente solida su Playstation 5, con i 30 FPS che vengono assicurati nel 99.99% dei casi in modalità prestazioni e che, nella stragrande maggioranza delle battaglie, vede l’engine navigare intorno ai fatidici 60 FPS.

Discorso diverso per la modalità qualità, che invece ondeggia intorno ai trenta frames per secondo senza portare allo sguardo un livello di qualità visiva tale da renderla preferibile alle prestazioni. Occasione sprecata quindi? A nostro parere no, ma per un problema intrinseco nella modalità qualità che non è altro che uno strumento di marketing per cercare di essere appetibile a chi, nei videogiochi, ricerca il sollazzo tecnico, la corsa al fotorealismo, sterile fedeltà grafica ad ogni costo. Data la natura action del gioco, dato il forte dinamismo del suo sistema di combattimento, la modalità qualità con i suoi cali di frame peggiora l’esperienza complessiva.

Tutto quello che la modalità prestazioni offre è abbastanza, tanto in termini di solidità dell’engine, quanto di dettagli a schermo, colpo d’occhio ed effetti particellari; il risultato finale è che non si sente realmente la necessità della modalità qualità e troviamo la lamentela abbastanza fine a sé stessa.
Nota d’encomio finale agli effetti particellari: visivamente i m p r e s s i o n a n t i e protagonisti di gran parte degli elementi che rendono Final Fantasy XVI un videogioco visivamente spettacolare, tra animazioni che lasciano a bocca aperta e aspirazioni cinematografiche pienamente rispettate.

La scarna modalità foto (di cui speriamo un update con qualche opzioncina in più in futuro) ci ha comunque permesso di ottenere immagini che lasciano intendere il livello di cura nel comparto tecnico. Nelle scene più importanti, tra le altre cose, i modelli poligonali dei personaggi principali passano da quelli normali a versioni con ancora più dettagli e poligoni, per un risultato finale sbalorditivo. Quasi inutile parlare invece dello stile adottato, con un character design di una coolness incredibile: davvero tanti complimenti a Kazuya Takahashi per l‘incredibile lavoro svolto. Personaggi come Clive, Cid, Barnabas, Joshua o anche soltanto Dion Lesage sono qui per restare nell’immaginario comune legato alla serie.

Finalmente in Italiano

Siamo quasi in chiusura e non possiamo esimerci dal parlare del comparto sonoro. Final Fantasy XVI è il primo capitolo della saga ad avere il doppiaggio in Italiano e, con grande gioia, possiamo dire CHE DOPPIAGGIO.

Al netto di qualche scelta discutibile in fase di adattamento (ma niente che pregiudichi la qualità complessiva del lavoro: il senso della storia e del 99.9% delle scene è il medesimo nell’originale inglese), abbiamo trovato il doppiaggio italiano di altissima qualità, con tante grandi voci per i personaggi più importanti del titolo.
Le uniche cose che riteniamo possano far storcere il naso ai più sono le voci dei bambini, dotate di timbriche un po’ strane e leggermente fuoriposto.

Fortunatamente ci sono giusto 2 personaggi bambini che parlano durante il corso dell’intera opera e quindi il fastidio provato si può racchiudere in forse un minuto complessivo di parlato: abbastanza per non farci lamentare troppo.

Parliamo invece delle musiche e di Masayoshi Soken, che dopo aver conquistato il cuore di molti attraverso le OST di Final Fantasy XIV e delle sue espansioni qui raggiungere direttamente i piani alti della musicosfera.

L’approccio di Soken alle musiche di Final Fantasy XVI non fa in alcun modo rimpiangere Uematsu attraverso un sapiente uso delle melodie, strutturando poi l’uso delle stesse seguendo una funzione quasi narrativa delle scene. I temi realizzati dal compositore giapponese, che speriamo di sentire ancora per tantissimo tempo con altri lavori legati al brand, hanno il grande pregio di essere fischiettabili ma di saper accompagnare con grande forza le immagini che compaiono a schermo. 

Così a naso vogliamo citare il Battle Theme, una specie di versione medievaleggiante e infinitamente più epica di Don’t Be Afraid, l’Eikon Battle Theme che sfrutta in maniera saggia una dinamica stop & go per enfatizzare i momenti cardine e donare un’aria ancora più epica al tutto, Whirlind che descrive alcune delle location in cui è ambientato il gioco… ne avremmo ancora per qualche migliaio di parole quindi vi lascio nelle sapienti mani del talentuosissimo Alex Moukala che ha descritto in maniera molto dettagliata la cosa.

La chiusura del cerchio

Durante tutta la stesura di questa recensione, che con queste parole si avvicina pericolosamente alle 25500 battute, non ho fatto altro che chiedermi se esista davvero un modo per spiegare a chi legge che arrivare alla fine delle avventure di Clive mi ha fatto provare emozioni molto simili a quelle che mi hanno trasportato verso la fine del World Of Ruin in Final Fantasy VI o che mi hanno fatto sentire parte di un pellegrinaggio dolorissimo alla fine di Final Fantasy X.

Provare emozioni per colpa di un videogioco non rende quest’ultimo di qualità, ma continuare a pensare in maniera ossessiva a un videogioco anche dopo averlo portato a termine a causa di una certa nostalgia, vuoi verso il gameplay loop, vuoi verso le atmosfere, è già un parametro molto più interessante su cui fare affidamento.

Final Fantasy XVI quindi ha vinto la sfida del mio cuore grazie a personaggi sapientemente gestiti, ad un worldbuilding forse non originalissimo ma dall’indubbia efficacia, grazie ad un comparto tecnico fuori scala e un comparto sonoro/musicale che ricorderò con tanto affetto (e riascolterò fino al vomito, probabilmente).

La speranza è che questo gioco sia in grado di parlare a tutti, sopratutto a quelli che pensano nell’esistenza di un canone Final Fantasyano (di cui forse parleremo un giorno in un altro articolo) composto da combattimenti a turni e chissà cos’altro. 

Final Fantasy è molto più di un sistema di combattimento o dei chocobo con i box di testo con scritto sopra “kuè”; è decisamente più simile a incontrare un luogo fascinoso di cui si vuole conoscere ogni anfratto e in cui ogni personaggio sembra avere una storia interessante da raccontare.

Per quanto mi riguarda da qui in poi se li fanno tutti così belli possiamo lasciare da parte il combattimento a turni (magari mettendoci un pelo di esplorazione in più) una volta per tutte.

Conclusioni

Final Fantasy XVI è un videogioco dalla forza espressiva incredibile, che splende nonostante qualche equilibrio precario e qualche necessaria cesura con un passato tanto imponente quanto ingombrante. Clive, Jill, Joshua e soci sono personaggi che rimarranno plausibilmente per molto nel cuore di chi avrà il coraggio di dire a sé stesso che “il combattimento a turni non è tutto”, così come lo farà Valisthea tutta.

Creative Business Unit III ha dimostrato di essere davvero la gallina dalle uova d’oro di Square Enix, con professionisti dalle abilità superlative ed una visione incredibilmente molto più consapevole di tanti veterani di cosa renda un Final Fantasy davvero tale. Non siate le malelingue che rimpiangono il passato: se volete i turni il mondo è pieno di videogiochi con quelli!

Siate chi non ha paura di abbracciare il futuro e immergetevi in una delle avventure più fascinose dell’attuale generazione videoludica (e non solo)

This post was published on 21 Giugno 2023 16:00

Graziano Salini

Perennemente alla ricerca di legami tra argomenti distanti tra loro, con una certa predilezione per musica e videogiochi. Faccio il possibile per fare in modo che ci siano meno errori di concetto possibili sugli articoli di Player.it, grande fan degli errori grammaticali invece, quelli fanno sempre ridere. Quando non sto amministrando questo sito lavoro mi occupo di spiegare cose difficili in maniere semplici su altri siti, su tematiche molto meno allegre dei videogiochi.

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