Quello che a molti, dopo il primo trailer, sembrò il terzo capitolo della serie, si è poi fin da subito rivelato una sorta di remake, anche se una definizione univoca non è stata fornita neanche da Bloober Team. La versione attuale di Layers of Fear (che è passata anche da un cambio di nome con l’eliminazione della S finale dalla parola fear) è una “reimagination” dei due capitoli principali e del DLC Inheritance (a cui si aggiungono altri contenuti che andremo ad analizzare).
La reinterpretazione dell’orrore di Bloober Team passa principalmente per un nuovo motore grafico, quell’Unreal Engine 5 che promette di fare scintille nel prossimo futuro. Diciamo fin da subito che chi ha già giocato, e apprezzato, i Layers of Fear avrà modo di riviverli senza trovare un numero elevato di nuovi contenuti, ma comunque qualcosina in più che può avere la forza di convincere gli appassionati di horror a immergersi nuovamente in quelle atmosfere. Mentre, chi non si è mai avvicinato ai titoli Bloober in questione potrà farlo con la versione evidentemente più completa e curata.
Soprattutto a quest’ultimi, è rivolta questa recensione.
La storia di Layers of Fear è strettamente legata all’arte, con protagonisti che ne sono rimasti avviluppati in modo malato e senza via d’uscita. La loro mente è intrappolata in un mondo parallelo che solo l’arte sarebbe stata capace di creare, perché Layers of Fear racconta storie di chi non è riuscito ad allontanarsi abbastanza dalle proprie creazioni, scambiandole con la realtà e portando alla pazzia anche gli si sta intorno.
Proprio nelle prime battute del gioco, scopriamo il primo contenuto inedito di questa versione di Layers of Fear: la storia della scrittrice. Ella è un personaggio che viene utilizzato da tramite, come collegamento tra i vari capitoli della serie. La donna, per trovare pace e ispirazione, si rifugia come un eremita in un faro. Qui, tra le pressioni dell’editore e l’inquietudine, cerca di portare a compimento i capitoli del suo libro che corrispondono appunto ai giochi della serie.
Diciamo inquietudine perché la scrittrice capirà che quel faro non è esattamente un luogo sereno. La solitudine e la desolazione di quel posto amplificano ciò che lei vede ritenendolo reale. Ma sarà così? O è la sua mente a vacillare? Sebbene le sequenze della scrittrice siano brevi intervalli tra i capitoli principali, con un gameplay molto basilare e un’interazione ridotta all’osso, la sua storia non è solo uno strumento narrativo, ma un corpus a sé stante che rende organiche le varie parti delle opere centrali.
Infatti, grazie alla scrittrice, possiamo disporre sullo stesso piano i due capitoli principali che prima erano separati avendo protagonisti diversi e soprattutto due contesti artistici differenti (i DLC di cui parleremo dopo, invece, sono già collegati al primo LoF, senza bisogno di ulteriori espedienti narrativi).
Il primo LoF racconta le vicende del pittore, un artista un tempo stimatissimo che poi è caduto nel baratro. Il primo capitolo è un esempio di opera che annulla l’artista facendogli dimenticare di essere un essere umano circondato da altri esseri umani. Il pittore è ossessionato dalla sua opera magna incompiuta, un ritratto che diventa sempre più distorto e orripilante a ogni pennellata. L’uomo ha ormai perso il senno, ha allontanato dalla sua vita gli amici e la famiglia, non è più in grado di sostenere i suoi doveri nella società e nel focolare domestico.
La storia, come anche quelle dei DLC e del secondo capitolo, viene raccontata attraverso principalmente la lettura dei numerosi documenti e i commenti provenienti dal passato che sopraggiungono ogni qualvolta si esamina un oggetto che abbia avuto un ruolo, anche marginale, nella vita dei protagonisti.
Layers of Fear è difatti una serie prettamente narrativa, in cui il gameplay è ridotto all’osso, a mo’ di walking simulator che fa dell’atmosfera e dell’esplorazione intimista i suoi punti di forza. La storia del pittore è quella che nettamente affronta in modo viscerale e senza filtri la tematica della pazzia, mettendo di fronte al giocatore scenari, parole e artifici visivi in grado di rappresentare al meglio il disagio mentale di chi non vive più nel mondo reale, ma all’interno della propria visione malata e macabra dell’arte.
Proprio questa sua visione fa da motore anche alle storie di Inheritance, il DLC uscito nel 2016, e The Final Note, il secondo contenuto inedito di questa versione aggiornata. La sua famiglia, infatti, rimane vittima di quella pazzia che si trasferisce nella figlia e nella moglie, portando a credere che quella famiglia in realtà sia maledetta da tempi non sospetti.
La parola Inheritance, che significa ereditarietà, può avere due interpretazioni differenti nell’arco narrativo di LoF. La figlia del pittore, protagonista del DLC, ha diritto a un’eredità patrimoniale, tuttavia la vera eredità che si palesa nel gioco è quella del disagio mentale. Il DLC, seppur nella sua brevità (1 ora e mezzo/2 ore), tratta bene la tematica del trauma.
Il giocatore rivive l’infanzia della ragazza che, fin da bambina, ha subito le conseguenze di una vita vissuta all’ombra di un padre ossessionato dalla propria arte. Anche un semplice disegno infantile poteva essere motivo di scontro e severi rimproveri per il suo stile non aderente a come il padre concepiva la pittura. Dal punto di vista estetico/stilistico, pertanto, il DLC si discosta lievemente dal tiolo base per la sua connotazione a tratti quasi fiabesca, con una visuale distorta degli ambienti perché visti dagli occhi di una bambina che vede tutto troppo più grande di lei.
Inheritance è un’esperienza meno macabra e con una minor attinenza al marchio di fabbrica dei giochi Bloober, ovvero la sensazione di disorientamento che il giocatore prova quando lo scenario cambia sotto i suoi occhi.
Si torna invece alle origini in The Final Note, il DLC inedito con protagonista la moglie del pittore. Anche con lei ci si addentra in un contesto artistico, perché la donna è una musicista. In verità, va detto che The Final Note presenta meno specificità di LoF e LoF2, difatti i rimandi alla musica non sono così evidenti. L’esperienza visiva e narrativa si basa principalmente sul concetto di prigione, poiché la donna si sente imprigionata in un corpo che rigetta a causa delle gravi ustioni che si è procurata in un incendio. Proprio questo avvenimento avalla ancora di più la tesi della famiglia maledetta.
La maggior parte del DLC si svolge nel tentativo di spezzare le catene che tengono ben chiuse stanze e intere aree della casa, tramite la risoluzione di enigmi e situazioni disorientanti di cui bisogna venire a capo addentrandosi sempre più a fondo del proprio disagio.
Il secondo capitolo ci mette nei panni di un attore ingaggiato per prendere parte alle riprese di un film ambientato sul transatlantico Icarus. La settima arte, vista da spettatori, è piena di luci e paillettes, ma agli occhi del protagonista è un mostro che ti insegue senza tregua, perché spogliarsi della propria pelle per indossare quella di mille personaggi può portare alla follia.
La vita artistica dell’attore ci viene raccontata attraverso i flashback della sua infanzia, un tempo in cui si divertiva a inscenare battaglie tra pirati e viaggi intergalattici insieme alla sorella, costruendosi un mondo di fantasia che gli ha permesso di rifugiarsi dal mondo reale. LoF2 si discosta dall’atmosfera della saga del pittore, portandoci in un contesto sognante e surreale che cita la cinematografia dei pionieri, in particolar modo Georges Méliès, considerato il padre del cinema fantastico, e quella grottesca e visivamente disturbante di David Lynch.
Anche in questo caso, non abbiamo una narrativa che accompagna il giocatore attraverso dialoghi ben definiti e cutscene, ma un intreccio che il giocatore deve ricostruire leggendo decine di documenti e interpretando i molteplici percorsi della mente che il gioco ci mette di fronte. In linea di massima, abbiamo trovato la narrativa di LoF2 meno potente di quella del capitolo precedente, perché meno concreta nella rappresentazione, avendo questa adottato metodi fin troppo surreali e allucinatori.
Come avrete notato, ci siamo dilungati nell’analisi della narrativa lasciando meno spazio al gameplay, poiché per parlare della giocabilità e delle meccaniche dei LoF non è necessario fare una disamina particolarmente articolata.
Camminare lungo corridoi, aprire porte, leggere documenti e risolvere enigmi perlopiù basati sulla prospettiva e sui cambi di inquadratura. Per parlare del core gameplay dei LoF bisogna tornare al marchio di fabbrica di Bloober che abbiamo citato precedentemente, ovvero la modifica in tempo reale degli scenari che porta il giocatore al disorientamento.
La progressione di gioco, pertanto, è legata a come si comporta lo scenario mentre lo esploriamo. Trovarsi chiusi in mezzo a quattro mura e pensare di non avere via di scampo, poi girarsi e trovare una porta che prima non c’era, procedere lungo un corridoio e trovare una porta chiusa, tornare indietro e accorgersi che il percorso è cambiato, entrare in una stanza e vederla capovolgersi davanti ai nostri occhi, questi sono i tipici espedienti orrorifici di Bloober.
Layers of Fear è difatti uno dei primi esempi di giochi ispirati a P.T. con cui condivide anche elementi estetici ricorrenti. La formula funziona ancora adesso anche se in questa versione definitiva non ci sarebbe dispiaciuto trovare anche delle nuove soluzioni alternative, soprattutto in momenti in cui la reiterazione di certe dinamiche tende a esagerare (ad esempio, essere chiusi in una stanza e potervi uscire solo dopo taaaanti secondi di attesa perché bisogna aspettare che si triggeri lo script).
In verità, una meccanica nuova e rivisitata c’è, cioè l’uso della torcia. Sia nei capitoli principali sia nei DLC, la torcia può essere usata sia per respingere i nemici sia per liberare degli oggetti da una sorta di corruzione. Nel primo LoF infatti, di tanto in tanto, verremo disturbati da una specie di fantasma che ci “uccide” se ci prende (in realtà, non c’è un vero game over, si ricomincia subito comunque con tutte le cose già fatte salvate). Tenendo premuti i grilletti potremo usare la torcia come un’arma in grado di rallentare la presenza.
Nel secondo capitolo, invece, come nell’originale ci sono delle sezioni di inseguimento e fuga da una bestia. Queste, è un vero peccato, potevano senza dubbio essere fatte meglio: erano deboli nell’originale e rimangono tali nella versione moderna. Il problema principale risiede nella poca responsività del comando per aprire certi tipi di porte che richiedono di essere trascinate. Questo crea frustrazione e non sensazione di pericolo. LoF2, in generale, presenta più gameplay del primo capitolo, ma alcune di queste fasi (come il labirinto ipnotico) risultano anticlimatiche.
Insomma, quando c’è del gameplay vero, il gioco inizia a scricchiolare.
Parliamoci chiaro, il vero motivo per cui è stata sviluppata questa nuova versione è per “flexare” l’UE5, il motore grafico che sta facendo tanto scalpore e promette di ridefinire il concetto di realismo nei videogiochi. Non bisogna, tuttavia, pensare che qualsiasi titolo in UE5 debba essere fotorealistico come Unrecord, l’FPS che taluni ritenevano falso, o il video della metropolitana di etchu-daimon in Giappone.
Ogni videogioco ha il suo stile e necessita di un’estetica propria per funzionare ed essere coerente con il contesto che vuole raccontare. LoF in UE5 è bello da vedere, ma senza rappresentare un benchmark su come debba essere utilizzato l’engine nel futuro. Ciò che rende il gioco tecnicamente e graficamente diverso dalla versione originale è la tecnologia Lumen Global Illumination che migliora in modo evidente le fonti di luci, in uno scenario avvolto dalle tenebre il 90% delle volte.
Consigliamo, se si vuole notare davvero questa differenza, di attivare l’HDR, infatti attivandolo il gioco diventerà più buio permettendo al Lumen di mostrare meglio le sue potenzialità, mentre disattivandolo l’illuminazione sarà distribuita in modo più uniforme, ma anche meno realistica.
I Layers of Fear sono giochi affascinanti, soprattutto il primo, e questa versione definitiva con contenuti inediti che creano una forte continuità tra le varie parti è senza dubbio il miglior modo per recuperare l’horror di Bloober. Se invece avete già giocato entrambi i capitoli e il DLC Inheritance, potreste non avere tutta questa ansia di volerli rigiocare, visto che i due titoli, a parte la componente tecnica che si avvale dell’UE5, sono rimasti quasi del tutto invariati, se non per una meccanica legata alla torcia interessante. La storia della scrittrice, però, potrebbe comunque convincervi a fare una nuova passeggiata negli orrori della mente di questi artisti maledetti, in modo da avere un punto di vista diverso di come si sono evoluti i fatti. Le parti più deboli risiedono, come negli originali, soprattutto nel secondo capitolo, innanzitutto nelle sezioni di fuga dalla bestia.
This post was published on 15 Giugno 2023 18:00
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