Non vi nascondo che avere l’occasione per parlare di We Love Katamari, o We <3 Katamari, o qualsiasi sia il simbolo ASCII per indicare il cuore, è qualcosa che mi riempie l’animo di gioia. Scrivere una recensione di We Love Katamari Reroll + Royal Reverie significa ritornare con la mente ad una delle esperienze videoludiche più bizzarre, pure e curiose che io abbia mai avuto in vita mia.
Perché si, come probabilmente sapete già se avete più di quindici anni, il termine Katamari è associato ad un brand di bizzarri videogiochi action dall’animo quasi arcade in cui il giocatore, nei panni del principe delle stelle, deve assorbire qualsiasi cosa trovi all’interno di vasti livelli per creare nuovamente gli astri celesti con cui popolare la volta celeste.
Però Katamari, anche in questa sua nuova versione, è anche altro. È la storia di Keita Takahashi, un game designer che ha alternato videogiochi a parchi giochi pratici per bambini; è la storia di un’epoca videoludica ormai dissolta tra le spire del capitalismo e degli azionisti, dei progetti indiependenti che riescono a trasformarsi in hit di successo soltanto grazie all’intuzione di un qualche illuminato producer, senza passare per Steam o per i kickstarter.
We Love Katamari Reroll + Royal Reverie, d’ora in poi accorciato sempre in qualche maniera per renderlo più leggibile e per evitare di rubare parole a ciò che conta davvero, è un altro ottimo modo per entrare all’interno dell’universo ludico di Takahashi e nel corso di questa recensione cercheremo di capire perché, come siamo arrivati a questo punto e anche cosa si poteva migliorare.
Keita Takahashi prima di lavorare per Namco (ancor prima della fusione con Bandai) nasce scultore con la collaterale passione per i videogiochi; questi ultimi, però, erano però troppo adulti per i suoi gusti ed erano privi di quell’energia quasi bambinesca che invece aveva caratterizzato i decenni precedenti.
Il primo capitolo di Katamari nasce come reazione a un ambiente videoludico troppo serioso e adulto: una ribellione vera e propria contro un trend che raggiungerà il suo apice alla generazione successiva, portando sul panorama videoludico internazionale una creatura dolce, stralunata, bizzarra, che non ha paura di non assomigliare a niente e a nessuno.
Secondo quanto raccontato da Toru Iwatani, developer storico di Namco e papà di Pac-Man, l’idea di Katamari Damacy nasce all’interno del Namco Digital Hollywood Game Laboratory, una specie di corso scolastico patrocinato da Namco (non distante dal Digipen di Nintendo) proprio per mano di Takahashi. Forte di un team di 10 persone Takahashi compreso, Namco con un milioncino di dollari in budget, riuscì a piazzare un titolo da mezzo milione di copie all’interno del solo mercato giapponese: abbastanza per far qualificare il gioco come sleeper hit.
I punti cardine dell’opera Takashiana si possono riassumere in 4 concetti: facilità di comprensione del gameplay, originalità, giovialità e senso dell’umorismo.
Iwatani stesso, una volta alle prese con uno dei prototipi, non esitò a paragonare il titolo al suo noto figliolo Pac-Man con cui, a sua detta, condivideva le fondamenta. Electronic Arts, infatti, dopo aver preso coscienza del successo del primo capitolo (relegato al mercato nipponico, seppur con una semplice traduzione in inglese) si propose come publisher per We Love Katamari (seguito del primissimo capitolo della saga, da noi arrivato soltanto in versione rimasterizzata con la sua Reroll) e Me & My Katamari per Playstation Portable.
All’annuncio della versione reroll di We Love Katamari c’è stato davvero solo di che essere felici. Il gioco originale è disponibile soltanto su una console e non ha visto alcun tipo di porting ad un prodotto ancora oggi accessibile; ciò è chiaramente un gran peccato perché parliamo di un titolo le cui fondamenta tecnico ludiche sono estremamente solide. We Love Katamari, quindi, forte di queste basi vede nella sua versione rimasterizzata una maniera intelligente per ritornare all’interno di un mercato plausibilmente più ricettivo che in passato, più abituato alle produzioni indipendenti ealle bislaccherie tipicamente nipponiche del gameplay.
A differenza di quanto accaduto con la rimasterizzazione del primo capitolo della saga, We Love Katamari Reroll + Royal Reverie aggiunge anche qualche contenuto in più al nuovo comparto grafico. Esattamente come abbiamo visto fare per Super Mario 3D Land + Bowser’s Fury (ma non con lo stesso livello di qualità, ahimé), Bandai Namco con questa riedizione ha aggiunto tutta una serie di sfide e di elementi che nell’originale non c’erano per pepare la situazione.
Queste sfide, tra le altre cose, permettono per la prima volta al giocatore di giocare nei panni del re di tutto il cosmo, rivivendo eventi del suo passato altrimenti narrato unicamente all’interno delle cutscene che separano i vari capitoli. Il gameplay è lo stesso del gioco base, le mappe sono variazioni di quelle presenti nel gioco base, anche le musiche sono quelle! A cambiare sono giusto gli obbiettivi e qualche dettaglio dei livelli, così da aumentare il livello di difficoltà per i giocatori più esperti.
L’aggiunta della Royal Reverie è un po’ misera: 5 nuovi livelli sono pochi per un videogioco che comunque si completa sommariamente in un paio di orette ben gestite; è tutto il contorno a dare al gioco comunque un valore finale soddisfacente anche per l’utente più smaliziato.
Parliamoci chiaro: chi ha amato We Love Katamari base adorerà questa versione Reroll. Bandai Namco e la software house Monkeycraft che ha lavorato al porting (oltre che alle versioni rimasterizzate di Klonoa che abbiamo toccato in questa recensione) hanno ritoccato l’interfaccia utente in maniera più intelligente, smussando alcuni degli angoli che peggio sarebbero invecchiati in un porting 1:1 del gioco.
Qualche esempio? I livelli sono comodamente selezionabili anche da un’apposito menù e non è più obbligatorio correre le maratone per le varie schermate del menù principale per capire dove andare; non è nemmeno più necessario doversi ascoltare tutto il dialogo con l’NPC di turno per cambiare le musiche, ne dover premere il tasto d’azione principale come forsennati per proseguire rapidamente nel dialogo. Ci sono tasti per skippare, opzioni per modificare le canzoni, creare playlist da ascoltare durante il corso del playthrough e altro ancora.
Altro esempio di modifica: le cornici e le fotografie! Tra i regali il nostro principe avrà fin da subito a disposizione una macchina fotografica. Questa avrà sì una funzione estetica come il resto dei regali, ma sarà anche utilizzabile con una particolare modalità foto. Scattando foto all’interno di ogni livello sarà possibile sbloccare tutta una serie di cornici esclusive per la stessa modalità, in una simpaticissima spirale che alimenterà ulteriormente il fuoco dei completisti (che in questo gioco avranno di che divertirsi).
Il sistema di controllo è rimasto pressoché immutato rispetto all’originale: ogni stick analogico corrisponde ad una delle braccia del principe ed in generale. Spostando entrambi gli stick avanti muoveremo la nostra palla magica appiccicosa detta anche Katamari in avanti, spostandoli indietro faremo retrocedere la palla e alternando le posizioni degli stick potremo tanto curvare a destra/sinistra quanto effettuare uno scatto incredibile.
L’unica aggiunta è data dalla presenza di un segnalatore per quando ci sono le transizioni tra le varie parti dei livelli in seguito all’aumento di dimensioni del Katamari. Nella parte centrale alta dello schermo, una volta raggiunte le milestone richieste dal gioco, comparirà una freccia che ci direzionerà verso la successiva zona della mappa dove trovare oggetti da inglobare adatti alle nostre dimensioni.
Si poteva fare di più dal punto di vista dell’interfaccia? Plausibilmente si: è sempre difficile capire il livello di qualità del Katamari presentato alla fine di ogni livello; in alcuni livelli c’è un indicatore, mentre in altri è necessario dare sfogo alla nostra fantasia.
Questa cosa sicuramente darà fastidio ad alcune tipologie di giocatori ma noi crediamo sia stata fatta seguendo proprio lo spirito non competitivo del gioco. We Love Katamari Reroll + Royal Reverie è un viaggio all’interno del bizzarro e del bellissimo, è un gioco per ritornare bambini e per trovare il bambino dentro di noi: non altro, non un parco giochi per adulti un po’ troppo appassionati di videogiochi.
Tutte queste parole e ancora non siamo riusciti a parlarvi in maniera sincera ed onesta del gameplay. We Love Katamari resta una specie di snowball simulator. Il giocatore ha il compito di creare un Katamari soddisfando determinate richieste entro un limite di tempo e per farlo deve andare in giro ed inglobare oggetti più piccoli del Katamari.
In base al compito da soddisfare le dimensioni di partenza ed il luogo di partenza del Katamari variano; esistono almeno una mezza dozzina di livelli che poi si concatenano tra loro in base alle dimensioni che si raggiungono. La piccola cameretta di una casa da cui si parte viene prima abbandonata in favore del quartiere e poi inglobata dal Katamari stesso una volta raggiunte dimensioni di diversi metri, mentre quest’ultimo rotola verso i palazzoni che prima intuivamo soltanto presenti sullo sfondo.
Il Katamari è un oggetto magico e non deve stare tanto a rispettare le leggi della fisica; il nostro principe è in grado di muovere con agilità palle di qualsiasi dimensioni e troverà difficoltà soltanto quando assorbirà oggetti dalle forme particolari, che modificheranno in maniera importante l’outline della nostra sfera. Questo costringerà il giocatore ad adattare leggermente il suo stile di guida alla forma del Katamari ma senza snaturare l’esperienza di gioco; di fatto giocare a Katamari Damacy è come fare una sessione di decluttering a casa.
Questo perché ci si ritrova a vuotare, di rotazione in rotazione, i livelli bellissimi in cui il gioco è ambientato, rimuovendo sempre più elementi e aggiungendoli alla propria sfera. Tanto più il Katamari sarà grande tanto più sarà difficile muoverlo, almeno finché non si raggiungono determinate dimensioni per cui la mappa di gioco viene opportunamente cambiata (come segnalato dal mai troppo impiccione re) con un altro segmento di mondo, anche questo tutto da esplorare.
Rispetto al suo predecessore We Love Katamari ha due tipologie di aggiunte: un sistema di collisioni più permissivo, che non fa perdere al giocatore pezzi della sua palla magica ad ogni impatto con l’ambiente circostante ma che bensì punisce il giocatore soltanto quando si reitera diverse volte una manovra sbagliata; l’altra aggiunta, invece, è rappresentata dalla tipologia di sfide, più variegate e originali rispetto al capitolo originale che tendeva ad assestarsi sul “raggiungi X dimensioni del Katamari in Y minuti”.
Quest’ultimo punto è un pelo controverso perché non tutti i livelli sono usciti con lo stesso livello di qualità. La mappa in cui è necessario raccogliere fondi per evitare l’estinzione del panda rosso, ad esempio, è estremamente divertente perché presenta la formula di gameplay originale con un twist che stimola il giocatore a esplorare e assorbire tutto ciò che vede; il discorso diventa radicalmente opposto nei livelli in cui il giocatore trova sul suo percorso ostacoli che interrompono bruscamente la partita, ponendo fine al divertimento senza andare ad alzare in maniera giustificabile la difficoltà. In media il risultato è buono ma alcuni livelli ti fanno dire “ma questo non potevano modificarlo nella versione rimasterizzata?”.
La modifica più importante tra quelle apportate al gioco è invece senza dubbio il comparto grafico. Quest’ultimo riprende in maniera diretta il lavoro che è stato fatto sempre da Monkeycraft sul primo Katamari Damacy Reroll, aggiungendo degli shader cartooneschi alla grafica originale per renderla più apprezzabile ai giorni nostri. Il risultato finale non è un cel shading marcato come quelle, ad esempio, di Beautiful Katamari o Katamari Forever per Playstation 3 ma uno stile ibrido.
La grafica originale del gioco, complice anche la sua pubblicazione durante i primi periodi di vita della console, non poteva vantare una grande conta poligonale e combinava un modeling stilizzato a delle texture molto dettagliate e colorate, nel tentativo di portare avanti un potentissimo discorso estetico fatto di ricchezza di semplici elementi a schermo.
In We Love Katamari Reroll + Royal Reverie la situazione è sostanzialmente quella con però tutto a schermo che è semplicemente più bello di quanto lo fosse all’epoca, proprio grazie allo shader cartoony che sottolinea la bizzarria di ciò che si vede a schermo. La versione da noi provata su Nintendo Switch sia in modalità Handheld che in modalità docked non ha mostrato alcun tipo di segno di cedimento, girando sempre a 60 frames granitici a prescindere dal quantitativo di elementi a schermo.
Ancora sostanzialmente immortale la colonna sonora: un mixtape impazzito tra j-pop, musica classica, shibuya kei, disco music, beatbox, swing e chi più ne ha più ne metta. Ancora oggi la colonna sonora di We Love Katamari, che in parte è la stessa di Katamari Damacy, è uno degli esempi più divertenti di come i videogiochi siano in grado di essere strumenti generativi per veri e propri tornadi sonori. L’aggiunta del sistema per creare una propria playlist con i preferiti è un’aggiunta che non cambia la vita ma che risulta comunque interessante per i giocatori più smaliziati.
We Love Katamari ReRoll + Royal Reverie è una remaster apprezzata di un videogioco che ancora oggi si difende egregiamente. Graficamente parliamo di un videogioco con un art style ancora fortissimo, ludicamente parliamo di un titolo con un gameplay loop ancora fortissimo e musicalmente di un videogioco la cui colonna sonora ancora oggi memorabile. I contenuti nuovi che hanno aggiunto potevano essere di più, più interessanti e più originali, esattamente come si poteva dare una botta di lima alle missioni meno divertenti e peggio bilanciate ma poco male. Imbracciare il pad per spingere il Katamari verso nuove e incredibili vette è una soddisfazione difficile da spiegare a parole: è un’investimento da fare per il proprio benessere.
This post was published on 7 Giugno 2023 18:30
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