Molti anni occorrono per edificare una città, basta un’ora per distruggerla; in un attimo diventa cenere quello che a lungo fu bosco.
Questa frase, del mio amato Lucio Anneo Seneca dalle Naturales Quaestiones, funge come gancio perfetto per parlare di rapporto tra uomo e natura. Nonostante, leggendo oggi una sentenza del genere, il sentimento che potrebbe pervaderci sia indifferenza o addirittura noia data da una percepita banalità, vista la consapevolezza che il mondo e gli esseri umani hanno acquisito negli anni, va considerato quale fosse lo scopo di Seneca con quell’opera, così tanto dissonante dalle altre sue composizioni letterarie.
Le Naturales Quaestiones cercavano di indagare sul rapporto uomo natura, cercando di incedere con fare più analitico possibile, con lo scopo di divulgare il giusto approccio alla natura che l’uomo avrebbe dovuto seguire.
Parlare di natura è sempre complicato e, con gli anni, acquisendo consapevolezza, è forse diventato ancora più ostico. E ci risulta più complicato, soprattutto perché siamo, inconsapevolmente vittime di una visione ben precisa della questione: il pensiero europeo, mutuato dall’esperienza greca nello studio della φυσικη, si basa su un principio di separazione che vede da una parte la natura e dall’altra l’uomo.
Partendo da questo assunto, lo scrittore e antropologo francese Philippe Descola, che da sempre si occupa di studio naturalistico ed etnografico, ha elaborato diversi saggi che affrontano il problema della concezione della natura al cambiare della cultura presa in esame.
In Oltre Natura e Cultura, Descola propone un esperimento antropologico: immagina che un cacciatore, trovandosi di fronte un branco di scimmie, spari per ucciderle. Uccidendo la metà, diciamo 4 su 8, porterà via i cadaveri, incurante delle sorti delle altre scimmie ferite.
Descola immagina a questo punto, la reazione di un Achuar, un individuo appartenente alla tribù cileno-ecuadoregna Jivaro.
Immagina l’Achuar inorridito davanti al fatto, non tanto perché il cacciatore non dovrebbe uccidere per cibarsi, ma perché ha ucciso più del necessario per il suo sostentamento e non si è curato delle scimmie ferite. Il punto a cui mira Descola, è far percepire come il grado di immersione dell’uomo nella natura, ne sia esso estraneo o totalmente inglobato, dipende tanto dalla cultura del luogo in cui si vive.
Per un Achuar infatti, non c’è distinzione tra esseri umani e non umani, tutti hanno stessa dignità e tutti sottostanno alla giusta catena alimentare, non macchiata dall’avidità. Non va quindi analizzato il rapporto uomo natura come un rapporto dicotomico secondo Descola, in quanto l’uomo è parte integrante della natura.
L’uomo è quindi natura, cosa che spesso si dimentica se si è in buona fede, si omette se si è in mala fede. Ma per un dialogo sano, è giusto ricordare che la natura risiede nell’uomo, che la natura crea l’uomo. Quando si critica il sistema umano che porta all’edificazione di palazzi, alle scoperte in campo scientifico e tecnologico, all’inevitabile inquinamento, si pensa mai che faccia tutto parte di un naturalismo che trascende l’uomo?
In altre parole, se l’uomo agisce, ma l’uomo nient’altro è che estrinsecazione della natura, si potrebbe dire che la natura tende a sabotare se stessa?
Parlando di After Us, il nuovo titolo di Piccolo Studios, entriamo in un universo narrativo surreale, esagerato, un vero e proprio trip, nell’accezione più psicotropa del termine. Un titolo che cerca di convogliare tante tematiche, forse troppe, da quel rapporto uomo-natura che mi permetto di mettere in dubbio, ai cambiamenti generazionali che portano tante incomprensioni tra chi popola la terra oggi e chi la popolerà domani.
After Us è un titolo indie, sviluppato dallo studio spagnolo Piccolo. Eviterò la facile ironia.
Il titolo si propone come un platform 3D, con qualche sparuto enigma ambientale, ma di gameplay ne parliamo tra un po’.
Partendo da un’analisi della trama, possiamo tranquillamente dirvi che non si può parlare di una vera e propria storia, quanto di un incipit che serve solo da trampolino di lancio, per gettarsi in quella che è una narrazione che procede molto per suggestioni e simbolismo.
Interpreteremo Gaia, uno spiritello della natura o forse la rappresentazione di Madre Natura, una personificazione della natura. Non viene spiegato, sto un po’ improvvisando. Nei panni di questo spiritello, ci ritroveremo a dover fronteggiare una vera e propria catastrofe ambientale.
La nostra avventura inizierà all’interno di un bosco, chiamato l’Arca, popolato da animali d’ogni sorta liberi di scorrazzare in giro. Ad un tratto però, gli animali inizieranno a scomparire davanti ai nostri increduli occhi. Il panico e la tensione invaderanno il cuore della nostra protagonista.
Una voce ci parlerà dall’alto.
Che sia Dio? O chissà che entità?
Ancora una volta, non viene chiarito, ma viste le spiccate simbologie culturali giudaiche (giardino dell’Eden, Arca), forse chiamare quella voce “Dio” non sarebbe così sbagliato.
Dio, o chi per lui, ci edurrà su quella che è la situazione nel “Creato”: l’Arca sta morendo, per colpa degli Edaci, esseri che hanno totalmente consumato, ridotto in miseria tutto ciò che è stato creato, per via di un’avidità senza fondo. Il nostro compito sarà trovare i corpi degli animali, defunti durante la distruzione dell’Arca, estrarre da loro la forza vitale conservata e ripopolare l’Arca.
Già spiegata così, si può notare quanto sia una trama che si muove molto più sulla sensazione, sul percepito, sulla trascendenza, in cui la chiave giusta è effettivamente “meta-fisica”, intendendo il termine alla greca, col significato di “cose che riguardano la natura/al di sopra della natura“. Manca però, in maniera fin troppo palese, la praticità e la materialità nel racconto, lasciando tutto fin troppo sospeso.
Perché, volendo guardare il gioco non come un’esperienza in cui immedesimarsi ma come l’opera di un team di persone, con idee e opinioni sociali e politiche, ci si rende subito conto di come il titolo tenda ad una morale ecologista.
Tuttavia, affrontare un tema del genere, che ha una sua rilevanza specifica a prescindere dall’interessarsi o meno di tutto ciò che riguarda l’ecologia, in una maniera così eterea, senza riuscire a trasmettere la materialità del problema, rende l’esperienza decisamente vuota.
Ma il peggio, a mio modo di vedere, arriva dopo.
Il titolo, come detto, affronta non solo il tema ecologico e ambientalista, ma mette un accento decisamente marcato su quello che è il modo di affrontare tali problemi al cambiare delle generazioni di persone che si interessano al problema.
C’è una certa retorica che al sottoscritto ha sempre dato un fastidio abbastanza pruriginoso: lo scontro generazionale, secondo cui chi ha più anni di te deve necessariamente convincere che prima era meglio, che prima si stava bene, che oggi non ci sono più valori.
Senza aprire una maglia larga e inutilmente prolissa sulla “perdita di valori”, concetto giusnaturalistico che prima viene debellato e meglio è, voglio concentrarmi su una parte del gioco che mi ha veramente fatto venire l’orticaria.
Per parlare di tutto ciò però, dobbiamo fare una piccola digressione su quelli che sono la cosa più vicina a dei nemici nel gioco: gli Edaci.
Gli Edaci, come detto, sono esseri che ci troveremo ad affrontare nel corso del gioco.
Se in un primo momento potrebbe non essere chiaro di cosa si tratti, quando ce ne troveremo uno davanti saremo in gradi di capire immediatamente quale sia la metafora che gli sviluppatori hanno cercato di edificare.
Il termine “Edace”, il cui sinonimo potrebbe essere vorace, è un termine decisamente desueto, utilizzato perlopiù in poesia ma, anche in quel caso, viene considerato un termine decisamente aulico che fatica a trovare un utilizzo che non scada nel catastrofismo o nell’ironia.
Questo perché, Edace non indica la semplice voracità, ma l’eleva, dandole un’accezione totalmente negativa. L’Edace è colui che ingurgita senza ritegno, che con protervia pensa alla sua mercé tutto ciò che gli si pari dinnanzi.
L’Edace non è un semplice divoratore, ma un consumatore.
Per citare le parole del fisico Roberto Cingolani:
[…] un parassita perché consuma energia senza produrre nulla
Andando quindi alla radice del termine Edace, associandola a ciò che ci troveremo a fronteggiare, sarà chiaro che gli Edaci che hanno distrutto l’Arca, siano gli uomini, che tronfi di cupidigia hanno attinto a ogni tipo di fonte d’energia, fino a vedere perire, in quello che il gioco descrive come uno scenario post apocalittico, il mondo intorno a loro.
Un grosso problema secondo me, arriva dalla rappresentazione grafica degli Edaci nel gioco.
Si tratta di figure che vorranno solo rimanere inermi o attaccarci senza un vero e proprio senso, ricoperte di una sostanza che richiama il petrolio e, spesso, “abbracciati” da televisioni, schermi o più in generale, pezzi di elettrodomestici.
Tenete a mente questo dettaglio, perché va a confluire nel grande discorso che sta alla base della mia voglia di disinstallare il titolo.
Poi è chiaro che la metafora che si cerca di trasmettere è che se gli uomini, davanti alle cose del mondo, agiscono solo con indifferenza o rabbia cieca, finiranno per consumarsi. Ma sto già sbadigliando solo a scrivere certe banalità. Andiamo avanti.
In After Us, avremo modo di combattere gli Edaci, non uccidendoli chiaramente ma purificandoli. Alcuni di questi, una volta purificati, potrebbero darci dei “ricordi”, delle immagini che dovrebbero aiutarci a ricostruire sprazzi di vita di quello che era il mondo prima della catastrofe, prima di quella morte dell’Arca.
I vari ricordi compongono delle storie, piccoli esperienze personali che permettono però, a un occhio attento, di avere una visione del mondo precedente e della sua evoluzione.
Quel che mi ha fatto veramente irritare, da giocatore di 26 anni, nato quindi nel pieno del periodo fatto di nuove tecnologie, centrali elettriche, cellulari e televisioni, è stato sentirmi giudicato.
Il primo ricordo che andremo a comporre infatti, ci mostrerà la vita di un ragazzo. Da ciò che viene rappresentato negli sfondi, la storia pare essere ambientata tra il 1950 e il 1960. Il ragazzo, trasferitosi dalla campagna alla città, inizia a vedere le prime differenze, storcendo il naso certo, ma cercando di abituarsi al meglio a quell’ambiente nuovo.
Le persone attorno a lui sono tutte sorridenti, l’ambiente è vivace.
Lui riesce a fare della sua passione, ovvero coltivare fiori, un lavoro.
Mentre lavora, conosce una ragazza, insieme vivono l’idillio d’amore che porterà alla nascita di una bambina. La cresceranno, con amore, trasmettendole quell’affezione per i fiori, per la natura.
Intanto, alle loro spalle, palazzi sempre più alti vengono tirati su. Il cemento invade il verde potremmo dire. L’aiuola dove il ragazzo era solito coltivare i fiori, adesso è un marciapiede. La bimba intanto cresce, matura e si trova un ragazzo.
E gli anziani genitori sono costretti ad assistere addirittura alla scena della figlia che lascia la casupola, edificata probabilmente quando l’abusivismo edilizio regnava sovrano, per andare via col suo fidanzato a bordo di un’automobile! E i genitori la guardano delusi! E pensano ai fiori!
Ma che davvero?
Ricollegate adesso la concezione degli Edaci come uomini adornati di televisori, schermi ed elettrodomestici, ricoperti di petrolio.
Quanti problemi ci sono in questa breve sequenza?
Il messaggio che passa è che, prima, quando c’erano i fiori la vita era bella, tutti nelle vignette appaiono sorridenti, bisogna preoccuparsi giusto della crostata di mele che sta raffreddando sul davanzale.
Poi arrivano le automobili, i grattacieli, la tecnologia brutta e cattiva e tutti diventano tristi, censori, inorridendo davanti alla ragazza che decide di abbandonare la casa per cercare un futuro migliore, in un mondo che funziona ormai con regole diverse.
Questo non è scontro generazionale, è un normale pranzo della domenica a casa di nonno e nonna. Perché con un gioco, devo sentirmi giudicato, per il semplice fatto di vivere la vita che sto vivendo, in un mondo che mi richiede di vivere come sto vivendo?
Si cerca di veicolare un messaggio ecologista, ma ciò che ne esce fuori è una retorica banale e poco efficace se si cerca di considerare in toto la vita attuale. Sarebbe bastato un “Quando c’era lui” e mi sarei sentito direttamente al circolo del paese in un qualsiasi martedì pomeriggio.
E tutto questo, mentre fruiamo di un gioco su una PlayStation 5, collegata alla corrente, trasmessa su uno schermo.
Solo io vedo l’ipocrisia?
Archiviato il capitolo storia e morale, in maniera non proprio felicissima, passiamo a parlare del gameplay di After Us.
Perché, se è vero che aspettavo tanto il titolo per capire come fosse stato trattato il tema ambientalismo, aspettavo anche di capire quanto il titolo potesse intrattenere a livello ludico.
Dai primi trailer infatti, la paura era che, quello che veniva proposto come platform 3D fosse poco più che un walking simulator con abilità dimovimento mutuate dal platform. Grazie alle quasi 8 ore trascorse sul titolo, posso affermare che After Us sia abbastanza distante dal walking simulator. L’essenza del gioco sta nel platforming e nella risoluzione di enigmi ambientali
Per quanto riguarda l’aspetto platform, possiamo dire che After Us propone un sistema di movimento molto semplice e intuitivo che, tramite l’utilizzo di poche sequenze di tasti, di permetterà di aver accesso a tutta la gamma di salti, doppi salti e dash che ci permetteranno di proseguire tra le varie ambientazioni.
Per quanto riguarda la precisione di quei salti, doppi salti e dash, si poteva decisamente fare meglio. Capiterà spesso infatti, che la prospettiva dei salti non permetta di capire benissimo fino a che distanza si stia arrivando, facendoci cadere di sotto.
Per aiutare il giocatore, ai piedi di Gaia si aprirà un piccolo cerchio bianco che indicherà il punto in cui stiamo per poggiare, così da rendere più agevole l’individuazione del punto d’atterraggio dopo il salto. Tuttavia, il colore del cerchio e la sua prospettiva, renderanno ostico soprattutto all’inizio, rendersi conto di ciò che viene indicato, non permettendoci sequenze di platforming troppo agevoli.
A scanso di equivoci: le sequenze di platforming, anche le più avanzate ed elaborate, non sono difficili. Il gioco è perfettamente approcciabile da chiunque, che si sia esperti del genere o meno. Tuttavia, pare mancare di alcuni dettagli e rifiniture che avrebbero reso l’esperienza più gradevole, meno incerta e più dinamica.
Oltre al platforming, altre meccaniche contribuiranno ad arricchire il gameplay del titolo.
Arricchirlo, non renderlo più divertente.
Ma vediamole insieme.
Dio o chi per lui, all’inizio della nostra avventura, ci fornirà il suo Cuore. Si tratta di una sfera di luce che custodiremo dentro di noi, dalle molteplici capacità. Tramite questa infatti, potremo purificare sia luoghi che Edaci.
Potremo generare delle esplosioni che, toccando parti dell’ambiente circostante, le puliranno, ripristinando di tanto in tanto, parti di vegetazione e alberi. Contro gli edaci invece, non dovremo esplodere ma dovremo usare il cuore come un’arma, sparando colpi di luce nella loro direzione, puliremo la sporcizia che risiede su di loro, permettendo alle loro anime di ascendere… o almeno credo, l’animazione è dubbia e nessuno spiega nulla.
Tramite il Cuore, sarà possibile risolvere i puzzle ambientali di cui parlavamo sopra. Si tratta perlopiù di teletrasporti, che concatenandosi a quei salti, doppi salti e dash, ci permetteranno di arricchire l’esperienza di platforming, che a conti fatti è un po’ il fulcro del gameplay.
Per quanto riguarda invece la lotta contro gli Edaci, non posso che dirmi deluso. Tutto si ridurrà semplicemente a correre via, evitando di farci prendere, spammando il tasto d’attacco. In pochi secondi ne avremo abbattuti a decine.
Tra un attacco e l’altro non vi è un vero e proprio cool down, dovremo semplicemente lanciare il Cuore e aspettare che ritorni, azione che richiede una frazione di secondo, un po’ sullo stile del lancio dell’ascia nei nuovi God Of War, ma più veloce.
La vera sfida a livello di gameplay, è riuscire a trovare qualcosa che soddisfi la propria voglia di giocare, qualcosa che invogli ad andare avanti.
A livello artistico, la cosa più interessante è la contrapposizione tra la nostra protagonista che dai piedi fa nascere fiori e il grigiore piatto e statico del mondo degli uomini.
Non vi sono grossi guizzi artistici.
Gli animali sono rappresentati in maniera anatomicamente accurata mentre le figure umanoidi appaiono totalmente deformate, molto spesso con corpi quasi informi, per simboleggiare al meglio la voracità dell’umanità.
La nostra protagonista apparirà invece chiara, quasi brillante di luce, dai lunghi capelli bianchi, in totale contrapposizione con qualunque altro oggetto o scenario troveremo nel gioco, quasi a rappresentare una palette cromatica a sé da giudicare separatamente rispetto al resto del titolo.
La colonna sonora sarà costruita da suoni ambientali, che come quasi ogni altro elemento del gioco, creeranno più suggestioni che una colonna sonora unitaria. Tra l’altro, per chiunque utilizzi il sintetizzatore virtuale Vital, cercate il preset Floathing Chord e avrete trovato il suono principale della colonna sonora di After Us.
Non so se hanno usato esattamente quello, ma la somiglianza è inequivocabile.
E mi pareva una roba carina da dire dai.
A livello di prestazioni, speravamo sicuramente in qualcosa di più.
Abbiamo provato il titolo su PlayStation 5 in modalità prestazioni (risoluzione in 2k e 60 FPS) e abbiamo avuto molti più problemi di quanto potessimo immaginare.
Stuttering prepotente, specialmente quando partiva il salvataggio automatico durante sessioni di esplorazione più veloci; totali blocchi del gioco, in sezioni con combattimenti più concitati, in cui gli Edaci a schermo diventavano più numerosi obbligandoci a inondarli di sfere di luce a ripetizione.
In generale, After Us non ci ha trasmesso la solidità costruttiva che ci aspettavamo, vista anche la dimensione ridotta del gioco e il suo gameplay che non conta chissà quante meccaniche diverse, che possono sinergizzare creando conflitti che il software deve trovarsi a risolvere. Si tratta di un sistema di gioco molto semplice e non riusciamo a spiegarci problemi così marcati.
After Us, il titolo di Piccolo Studio in cui si cerca di parlare di ecologia e ricambio generazionale, presenta una retorica che mal si sposa alla causa che vorrebbe portare avanti, impedendo la nascita di un dialogo costruttivo sul tema. Il gameplay non è sicuramente un incentivo che potrebbe spingere a giocare il titolo. Inoltre, la retorica generazionale moralista, affloscia anche le ultime speranze di godere del titolo in maniera quanto meno spensierata. Un titolo che riesce molto poco in qualunque fosse la sua idea iniziale. La lotta ideologica è giusta, la retorica vuota ne è però la morte.
This post was published on 8 Giugno 2023 18:30
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