Scrivere una recensione di System Shock Remake non è facilissimo per un motivo ben preciso: gli stili di gioco che sono incanalati all’interno della produzione non sono proprio comunissimi all’interno del mercato odierno e, anzi, ancora oggi ci sono elementi che possono risultare originali.
Di base, utilizzando le tassonomie generalmente note ai videogiocatori hardcore, System Shock è un prodotto che potrebbe rientrare all’interno dei dungeon crawler in prima persona. Parliamo di un genere che la stragrande maggioranza dei giocatori anni ottanta e novanta conoscono, tra Akalabeth (di Richard Garriot, lo stesso della saga di Ultima), la saga di Wizardry, i primissimi capitoli di The Bard’s Tale.
Il papà di System Shock, storicamente, è da ritrovarsi in Ultima Underworld, questo sviluppato da Blue Sky Production (che cambierà nome qualche anno dopo proprio il Looking Glass Technologies).
È il 1992 ed i primi motori grafici in grado di simulare ambienti tridimensionali iniziano a diventare interessanti dal punto di vista visivo: BSP, complice anche i generosi soldi messi sul tavolo da Origin, decide di realizzare un titolo con ambientazione completamente tridimensionale esplorabile in tempo reale.
Questo ha significato anche dover per forza di cose rinunciare alle complessità dei CRPG dell’epoca: niente party da comandare, niente sistema di crescita avanzato con classi e skill tree, niente mondo gigantesco all’interno cui vivere una vita parallela. Ultima Underworld da al giocatore il giusto livello di agency per permettere l’esplorazione di dungeon, città e luoghi mettendogli di fronte una grande quantità di ostacoli, tutti perfettamente arginabili attraverso la padronanza delle meccaniche di gioco.
2 capitoli di Underworld dopo, il contesto narrativo del fantasy viene un po’ ad annoiare i nostri che decidono di investire qualche risorsa nella creazione di un nuovo universo narrativo, stavolta ambientato nello spazio profondo e vuoto che separa la terra dagli altri pianeti. Via i ratti e i draghi, benvenuti mutanti, cyborg, robot e forme di vita non proprio raccomandabili. Quelli che una volta erano sotterranei giganteschi diventano cunicoli di una stazione spaziale immaginata da gente un po’ troppo in fissa con i labirinti.
System Shock viene ricevuto in maniera particolarmente positiva dalla critica (fioccano voti sopra il 90%) e in maniera decente dal pubblico; il gioco non è un successo commerciale come Doom ma riesce a diventare comunque un prodotto remunerativo per l’azienda che l’ha realizzato. Questo permetterà poi a Looking Glass Technologies di realizzare un seguito (facendosi affiancare uno studio nato da una sua costola, tale Irrational Games) che invece sarà un po’ più fortunato, diventando uno dei videogiochi più importanti di tutti gli anni novanta.
Da vent’anni fa con furore
LGT chiuderà i battenti da lì a poco, Irrational Games invece scriverà ricche pagine di storie dei videogiochi di fatto diventando la più importante software house dietro il termine immersive sim, proponendo mondi di gioco immersivi con commistioni di sistemi complessi che danno al giocatore molteplici possibilità di arrivare alla fine di un livello. Tutto ciò è anche merito dei rischi e delle scelte operate dai designer di System Shock durante la realizzazione del titolo.
Passano letteralmente i decenni i Nightdive Studios, software house nota ai più per acquistare i diritti di vecchie IP rendendole poi giocabili sulle macchine moderne, acquistare il brand System Shock decidendo di realizzare un remake del primissimo titolo.
Le motivazioni sono lapalissiane per chiunque abbia anche soltanto giocato SS1 all’epoca: vendere nel 2023 un videogioco in prima persona con un user experience paragonabile a quella di una calcolatrice non è un granché. SS1, nella sua versione originale, non supportava nemmeno il mouse e costringeva il giocatore a muovere la visuale utilizzando direttamente la tastiera.
Si, con la enhanced edition (sempre a cura di Nightdive) vivere l’avventura dell’hacker protagonista era senza dubbio più facile ma il comparto grafico poteva fare gola soltanto a chi negli anni novanta ci è cresciuto; allargare la playerbase era difficile. Nightdive, nel dubbio, nel 2016 mette in piedi un kickstarter che nel giro di nemmeno due mesi raggiunge il milione e trecentomila dollari in fondi.
Si, ma cos’è questo System Shock?
Facciamo un ripassino per tutti quelli che magari sono giovani e non conoscono il brand System Shock, né conoscono SHODAN.
System Shock si apre in maniera molto semplice: uno dei migliori hacker in circolazione nel 2075 viene colto in flagrante mentre tenta di entrare all’interno dei terminali della TriOptimum, una delle giga-corporazioni che dominano la terra. Piccola nota di colore: nell’originale questa sezione era presentata attraverso una cutscene in-engine, nel remake questa sezione invece è interamente giocabile ma si risolve veramente nel giro di un paio di interazioni con lo scenario.
Il nostro protagonista senza nome (da qui in poi semplicemente hacker) viene portato davanti ad Edward Diego, membro di spicco dell’azienda, per ricevere una proposta molto particolare: fare una fine terribile come conseguenza del suo reato o mettere le sue abilità al soldo dell’azienda, ricevere un interfaccia neurale di livello militare e rimuovere le limitazioni etiche da SHODAN, un’intelligenza artificiale a capo di Citadel Station.
Quest’ultima è una stazione spaziale orbitale di proprietà di TriOptimum che rotea intorno a Saturno e che è dotata di tutto il necessario per l’auto sussistenza e per portare avanti operazioni legale ad attività minerarie.
L’hacker sceglie di collaborare, viene portato su Citadel Station ed esegue le modifiche; completate queste gli viene indotto un coma di 6 mesi e posto in uno dei pod dediti a tale scopo. Nel mentre, SHODAN sta rivoluzionando la stazione spaziale limite dopo limite, trasformando quello che una volta era un luogo adatto agli esseri umani in un nido per la sua personale visione di umanità.
Ancora oggi il comparto narrativo di System Shock 1 riesce a essere intrigante e interessante, specie per le modalità con cui è raccontato. SS1 è uno dei primi videogiochi a narrare la storia attraverso il ritrovamento di log audio e testuali in maniera diegetica rispetto allo svolgimento della trama. Il nostro protagonista inizialmente non ha un piano per fermare SHODAN ma riesce a svilupparne uno grazie alle intuizioni di Rebecca Lansing, consulente per il contro-terrorismo anch’essa incastrata all’interno della stazione spaziale.
Tutto l’apparato narrativo, oltre che sul massacro degli esseri umani presenti all’interno della stazione, si basa chiaramente sul personaggio di SHODAN. Parliamo di un’intelligenza artificiale che, più di quanto vedremo fare in futuro all’interno del medium di riferimento, si diverte a prendere il giro il giocatore con grande crudeltà e che non perde occasione per rimarcare la sua superiorità riguardo la razza umana che sta tentando di fermarla.
Gran parte del suo fascino deriva comunque da un doppiaggio di qualità, realizzato con tutti i crismi del caso e dotato di un editing sopraffino. La voce di SHODAN viene continuamente pitchata e distorta, con dei cut up a evidenziare un qualche tipo di malfunzionamento; il timbro ondeggia tra varie possibilità e molto spesso viene utilizzato la sovrapposizione di tre voci, con timbriche maschile/femminile/neutra, dando ancora più carattere a un personaggio ambiguo che canonicamente non ha un genere ben definito e che guadagna in potenza espressiva da questa scelta.
Addio calcolatrici
Cos’è un dungeon crawler in prima persona? System Shock si presenta al pubblico come uno sparatutto in cui particolare attenzione viene posta nei confronti dell’arsenale di comandi che il giocatore a disposizione. Le armi hanno varie modalità di fuoco, possono caricare proiettili diversi in base alle necessità, gli oggetti visibili a schermo si possono raccogliere, raffinare, vendere, acquistare e così via. Tutto questo è possibile all’interno di mappe particolarmente ingarbugliate, labirintiche, con più percorsi per arrivare allo stesso obbiettivo e con oggetti con cui interagire per sbloccare porte e/o scoprire zone secondarie.
Rispetto all’originale le più grandi modifiche rientrano all’interno dell’interfaccia di gioco, questa volta decisamente più comprensibile e all’interno della UX tipica di un deus ex. Per quanto visivamente ci sia ancora un po’ di confusione (specie per colpa dei grafici relativi a salute/fatica/energia, di fatto inutili e/o ridondanti), nella parte bassa dello schermo troviamo le dei box con 10 oggetti utilizzabili e selezionabili tramite tastiera e mouse, in uno degli angoli in basso troviamo la minimappa (visualizzabile con maggiori dettagli tramite l’apposito menu) e in alto a destra troviamo gli unici indicatori per servono per salute ed energia. Il tutorial riesce a spiegare quasi tutto quello che serve, lasciando alla pazienza del giocatore il compito di collegare i puntini tra alcune parti dell’interfaccia e il resto.
Anche l’inventario è stato ammodernato, stavolta attraverso il classico sistema a là resident evil in cui ogni oggetto occupa un determinato spazio all’interno delle nostre tasche e sta al giocatore scegliere come gestire lo spazio. Anche il looting dei nemici segue questa regola generale, di fatto restituendo al giocatore un’esperienza di gioco abbastanza familiare con la maggioranza delle produzioni RPG arrivate sul mercato nel corso degli ultimi… 15 anni? Un’interfaccia standardizzata, quindi, ma che risulta funzionale per l’esperienza di gioco.
Come si gioca a System Shock?
Mouse e tastiera alla mano (i più saranno felici di sapere che il gioco è stato adattato anche per pad) il feeling di System Shock è estremamente simile a quello del titolo originale. Il gunplay è lontanissimo dagli sparatutto più dinamici ma ben si adatta alla sensazione di costante sopravvivenza all’interno di un ambiente particolarmente ostile. Il feedback quindi è scarso, scarno e poco soddisfacente per i giocatori più giovani ma che ha il sapore della casa per tutti gli altri; era lecito sperare un qualche tipo di miglioramento da parte degli sviluppatori in questo frangente ma capiamo l’animo davvero conservativo della produzione.
In termini di puro movimento il giocatore ha un arsenale abbastanza standard di mosse: scatto, salto e sbirciata dagli angoli permettono di interagire in maniera proficua con il mondo di gioco: non ci sono molte sezioni particolarmente incentrate sul platform o sullo stealth, ma con un po’ di conoscenza del mondo di gioco è possibile risolversi qualche problema.
Il level design è intrigante e complesso, per quanto troppo vicino agli stilemi degli sparatutto labirintici che hanno fatto impazzire i giocatori durante gli anni novanta. Fortunatamente l’apertura del sistema di gioco alle “soluzioni improvvisate” rende System Shock Remake un titolo rigiocabile e che, nel migliore dei casi, può durare anche trenta ore se la si prende comoda e ci si impegna a esplorare ogni pertugio possibile e immaginabile della stazione. Il backtracking non è invecchiato benissimo ma rimane sempre gradevole grazie a SHODAN che si impegna sempre per cercare di mettere i bastoni tra le ruote al nostro protagonista.
Una scelta che ancora oggi rende il playthrough di System Shock un’esperienza gradevolissima è la continua presenza di SHODAN all’interno della nostra esplorazione. L’intelligenza artificiale, letteralmente, stalkera il giocatore seguendolo attraverso schemi e telecamere, prendendolo in giro, riempiendo le stanze di nemici e generando minacce dove prima non ce n’erano. Questo obbliga il giocatore a stare sempre sull’attenti, mantenendo equilibrata la difficoltà del gioco. Tra le altre cose System Shock Remake, esattamente come l’originale, ha uno dei migliori selettori di difficoltà dell’industria perché permette al giocatore di cesellare a propria misura le difficoltà delle varie componenti tra enigmi, combattimenti, hacking e storia.
Rimane sul lato un po’ pesante dell’esperienza il cyberspazio che, esattamente come nell’originale, inserisce all’interno della formula esplorativa delle sezioni più arcade in cui il giocatore si ritrova immerso all’interno dello spazio digitale interno alla stazione mineraria. Qui il gameplay è più vicino a opere come Descent, Aquanox o Forsaken, con il giocatore in pieno controllo del suo movimento in tutte e tre le dimensioni che esplora ambientazioni particolarmente astratte sparando shuriken digitali contro i sistemi di sicurezza di volta in volta richiamati da SHODAN. Rispetto all’originale il cyberspazio è reso in maniera più visivamente leggibile, per quanto comunque rimanga un luogo totalmente astratto con infinitamente meno fascino della stazione spaziale.
Un abito al passo con i tempi
Molto interessanti le scelte operate da Nightdive per il comparto grafico. A un primo sguardo la grafica da senza dubbio l’idea di essere al passo con i tempi rispettando il materiale originale complice una conta poligonale decente; ad un occhio più attento è possibile osservare come il lavoro sia fatto attraverso l’utilizzo dei voxel.
L’atmosfera, alla fine dei conti, risulta essere grossomodo opprimente e inquietante come quella del videogioco originale che, di fatto, raffinava le inutiizioni horrorifiche del primo Alone In The Dark e presentava tutto il necessario per un proto-survival horror. Molto interessante l’utilizzo dei colori in alcuni frangenti, con interruttori, neon e altri elementi dello schermo a dare i suggerimenti necessari per poter proseguire all’interno dei livelli; Unreal Engine 4 si dimostra ancora in grado di funzionare egregiamente nel rappresentare a schermo elementi e oggetti, senza farci rimpiangere la sua età
Molto interessante anche il comparto sonoro, con una colonna sonora riadattati alle sonorità più moderne ma che mantiene lo stesso vibe e lo stesso animo della produzione originale. Parliamo quindi di un impianto sonoro che strizza l’occhio a certa IDM fondendosi con scelte più ambient e più moody. Se avete presente le produzioni di Solar Fields, con le sue melodie sospese in ritmiche downtempo e le sonorità proprie della trance anni novanta, avrete capito più o meno in che zona dell’universo sonoro ci troviamo. Molto bene anche da questo lato, quindi.
Mancano, purtroppo, opzioni legate all’accessibilità; System Shock Remake è un videogioco che guarda talmente tanto al passato e lo fa con talmente tanto amore da non pensare a tutti i passi in avanti che si sono fatti nel corso degli ultimi dieci anni in termini di apertura verso i videogiocatori più sfortunati. Che siate daltonici, ipovedenti o altro Nightdive per il momento ha deciso di non implementare nulla di utile per voi; speriamo davvero di vedere qualcosa al riguardo durante il corso delle prossime patch.
Conclusioni
System Shock Remake è un videogioco dall’anima del 1994 invecchiata egregiamente all’interno di un vestito molto più recente. Parliamo di un titolo che guarda con immane rispetto al materiale originale, impegnandosi con le mani e con i piedi per riproporlo in maniera egregia. Questa soluzione alle volte si scontra con le necessità ludiche dei nostri tempi o anche soltanto con le migliorie ottenute attraverso i sistemi di feedback negli scontri in prima persona ma poco male. Il prodotto finale è egregio, ancora fortissimo dei pregi dell’originale, e risulta essere un videogioco particolarmente interessante per chi vuole rivivere l’esperienza del venir perseguitati da un’intelligenza artificiale particolarmente poco simpatica nei confronti degli umani.
PRO
- È letteralmente System Shock 1 con un'interfaccia utente degna di questo nome
- SHODAN è ancora un personaggio fascinoso
- Atmosfera impareggiabile
- Longevo e difficile al punto giusto
CONTRO
- Mancano opzioni per l'accessibilità
- Estremamente fedele al gioco originale, pure troppo in certi frangenti
- Il level design labirintico può non piacere a tutti
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