Zelda Breath of the Wild è un gioco vuoto. Una bozza. Uno scheletro che prova a concentrare la formula della saga di Zelda in un’avventura narrata sottovoce, dove la tanto osannata esplorazione è solo una breve passeggiata tra le montagne. No, non sono impazzito, è solo che dopo aver giocato a Tears of the Kingdom è questo quel che rimane del suo illustre predecessore, un esperimento in cui guardare sconfitti il cielo senza la possibilità di poterlo raggiungere. Non vi fidate? E allora lasciate che vi porti tra le nuvole in questa recensione di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom.
Tears of the Kingdom ci riporta nella stessa Hyrule di BOTW dove è stato fatto un lavoro di world building narrativo palpabile sin dalle prime ore. Si, c’è un intero mondo da esplorare nascosto tra le nuvole, misterioso e affascinante che ricorda una versione frammentata di Laputa, il castello nel cielo di Miyazaki, ma non è così vasto come la terra di Hyrule che anche stavolta rimane il centro nevralgico della narrazione e del gameplay. Non si tratta però proprio della stessa Hyrule, ma di una terra cresciuta, cambiata, dove gli avvenimenti del primo titolo si fanno sentire, dove le relazioni tra i vari popoli che la abitano sono cambiate e dove il tempo è trascorso modificando i confini topografici della mappa quanto le persone. È una Hyrule diversa e allo stesso tempo familiare, dove il giocatore è spinto a ritrovare i luoghi che ricorda anche solo per vedere come sono cambiati. È una Hyrule molto più viva, ricca di missioni, minisfide, collezionabili (preparatevi a raccogliere i Poo), segreti, lore, così tante cose che la fanno apparire diversa anche agli occhi dei giocatori che conoscevano a menadito la vecchia Hyrule. A cambiarla però non è stato solo il tempo ma anche gli eventi che aprono il gioco, che portano Zelda e Link ad indagare sul misterioso e nocivo Miasma che fuoriesce dalle profondità del castello di Hyrule. Eventi disastrosi che porteranno alla scoperta di un regno nel cielo, che si sgretola e cade lentamente sulla terra continuando a modificare Hyrule nel corso del gioco.
Ovviamente non è tutto nuovo e quanto era stato fatto rimane: ritroveremo infatti gli Stallaggi per riposare e registrare i cavalli, le Torri Topografiche che sostituiscono le Torri Sheikah e che servono sempre a sbloccare la mappa delle varie regioni terrestri (e aeree), le fonti delle Fate Radiose, i Sacrari e i Villaggi, ma ognuna di queste cose è stata potenziata e resa più appetibile. La visita agli Stallaggi è stata arricchita con una Tessera che spinge il giocatore a visitarli tutti e utilizzarli spesso per ottenere punti e ritirare succosi premi. I Sacrari, che in BOTW erano un po’ il centro dell’avventura, sono qui solo una delle tante cose da fare in un mondo che si amplia passo dopo passo, che cresce, che nasconde segreti in ogni grotta, che premia l’esplorazione molto di più di quanto faceva in passato. E anche quando si pensa di aver dominato ormai ogni angolo della mappa arriva qualcosa che vi sentire immensamente piccoli in confronto a quello che c’è ancora da fare.
Peccato solo che l’immensità di questo mondo sia leggermente frenata dall’hardware di Switch che ormai comincia ad essere abbastanza datato. Se lato costruzione personaggi e strutture la console delle meraviglie fa miracoli, non si può dire lo stesso del resto. I fenomeni di pop-up sono evidenti e la vegetazione esce spesso dal nulla. Inoltre l’intero continente di Hyrule non brilla della stessa bellezza grafica dei personaggi e nelle zone più luminose o durante il cambio di meteo, il modello poligonale di link cozza un pochino con le texture più spente e ruvide dell’ambientazione. Giocando su un 55 pollici 4K queste problematiche sono evidenti, ma in modalità portatile il tutto passa in secondo piano. Al netto di queste piccole difficoltà, Switch riesce comunque a fare un ottimo lavoro tecnico, il gioco corre via fluido e senza problemi di sorta, fatta eccezione per qualche leggero rallentamento durante le fasi di discesa dal cielo.
L’immensità di Tears of the Kingdom spaventa, tanto che più di una volta ci siamo sentiti schiacciati dalla miriade di cose da fare che ci sono nel gioco, soprattutto lato gameplay. I poteri della tavoletta, che torna anche in questo secondo capitolo, sono diversi da quelli a cui eravamo abituati e già nel tutorial iniziale c’è modo di testare la profondità del nuovo gameplay. Il primo potere ad essere sbloccato è l’Ultramano, una sorta di telecinesi con cui spostare gli oggetti, ruotarli e incollarli tra loro per creare qualsiasi tipo di costruzione. Non tutti gli oggetti possono essere spostati con questo potere, chiaramente, ma sono davvero tanto quelli interattivi e spesso potremo usare il potere anche contro i nemici per disarmarli, rubargli componenti utili ai loro attacchi oppure sfilargli piattaforma su cui si trovano da sotto i piedi. Ruotare gli oggetti però risulta abbastanza scomodo, proprio a livello di ergonomia dei controlli. Bisogno premere più tasti e spesso è difficile riuscire a mettere un oggetto subito nella posizione desiderata.
Le possibilità di creazione offerte dall’Ultramano sono davvero infinite e grazie ai congegni Zonau, che possono essere trovati praticamente ovunque, ottenuti dai Creacongengi Zonau e trasportati nell’inventario dentro capsule apposite, è possibile iniziare a creare in qualsiasi momento. Una barca, una macchina volante, una jeep, un carro a propulsione alato che galleggia e illumina l’oscurità armato di lanciafiamme, non c’è davvero nessun limite alla creazione se non quello imposto dalla batteria. Questa, che potrà essere potenziata nel corso del gioco raccogliendo abbastanza Zonanio, imposta la durata massima di un congegno Zonau prima della ricarica, ma ci sono anche minibatterie che possono essere collegate ai vostri macchinari per farli durare di più. Ventole, razzi, lanciafiamme, ruote, laser, luci, skateboard, batterie aggiuntive, mongolfiere, pentoloni con fuoco da campo, sono solo alcuni dei numerosi congegni che Link potrà portare nell’inventario e vi assicuro che potrete esplorare tutta Hyrule senza bisogno di dover potenziare il Vigore (anche se tornerà parecchio utile più avanti).
Altro interessante potere è Ascensus, mostrato ampiamente anche nei trailer del gioco. Ascensus espande l’esplorazione in modo da non essere subito castrati dal basso vigore come avveniva in BOTW. Posizionandosi sotto alcune superficie infatti sarà possibile tuffarsi nel soffitto e attraversarlo come fosse acqua sbucando poi oltre esso. La cosa davvero divertente però è che potremmo farlo anche per salire sopra alcune tipologie di nemici dove ci viene in aiuto anche un altro potere, forse il più bello di questo secondo capitolo: il Compositor.
Il potere Compositor permette di fondere un congegno Zonau oppure un materiale, come potrebbe essere ad esempio un masso, con la propria arma o il proprio scudo. In questo modo l’arma otterrà un upgrade di forza, ma anche nuove abilità. Immaginate ad esempio di fondere uno spadone con una grossa roccia, questo spadone diventerà un martello non più capace di tagliare ma perfettamente in grado di frantumare le rocce. Usando un razzo con lo scudo e mettendovi in posizione di difesa potrete compiere un balzo dal suolo e come un vero supereroe volare nel cielo fino alla fine della batteria. Mettendo un congegno igneo sullo scudo invece in difesa potrete sparare fiamme mentre collegandoci una turbina potrete spazzare via i nemici con la forza del vento.
La parola chiave con il Compositor è dunque sperimentazione perché potrete fondere di tutto, anche un braccio vivente di Stalfos con lo scudo o la spada, ma non solo! Potrete usare il compositor anche su alcuni nemici privandoli di una delle loro parti per aggiungerla al vostro arsenale e se ve lo state chiedendo potrete farlo durante il combattimento, ovvero mentre i nemici sono ancora in vita. Altri nemici invece, come il Sassorock, rilasceranno materiali unici da fondere con le armi una volta sconfitti.
Reverto è invece un potere legato al tempo che serve “semplicemente” a mandare indietro le cose. Dico semplicemente perché, rispetto agli altri, è qualcosa di già visto nel panorama videoludico e serve, ad esempio, a rimandare indietro delle piattaforme o anche dei nemici. All’interno di TOTK però questo potere trova connotazioni differenti e più profonde, specie se dovete superare gli enigmi dei Sacrari.
Io amo i giochi sussurrati, alla Control per intenderci, dove la trama, quella bella e profonda, viene raccontata dai collezionabili o dal mondo che circonda il giocatore piuttosto che dalla storia principale. BOTW era così: le carcasse dei Guardiani sparse in ogni dove a simboleggiare un passato mai davvero dimenticato, tecnologie perdute di colossi che pian piano tornavano in funzione, magia che si fondeva alla scienza, ogni elemento di gameplay sussurrava qualcosa, ma forse lo faceva troppo piano. Nonostante la possibilità di raccogliere dei Ricordi per ampliare il passato di Link, in BOTW non c’era abbastanza trama da giustificare al giocatore la traversata verso il finale. In TOTK invece, c’è giù più trama nelle prime ore che in tutto il primo capitolo.
Dal primo minuto infatti il giocatore si trova già coinvolto in una vicenda che cambia le carte in tavola, che rimette in gioco tutto e che lo porterà alla ricerca di Ricordi, anche conosciuti come Lacrime di Drago, stavolta davvero interessanti e pregni di significato. Ognuno di questi però non sarà “la narrazione” come accadeva in BOTW ma sarà parte della narrazione raccontando, insieme alla trama principale e alla lore una delle storie più belle della saga di Zelda. Un racconto doloroso, a tratti oscuro, fatto di sacrificio e attesa che potremmo quasi considerare come la summa di tutte le storie di Zelda e Link. Non voglio dirvi altro sulla trama, non sarebbe giusto, ma è bello ritrovarsi di fronte ad una storia tanto maestosa che finalmente raggiunge una maturità completa.
Abbiamo giocato diverse ore a Tears of the Kingdom, non siamo giunti alla fine perché come tutti i giochi belli stiamo procrastinando quel momento il più possibile. Abbiamo però esplorato parecchio, abbiamo messo alla prova il gameplay, abbiamo affrontato tantissimi nemici, ci siamo stupiti, divertiti, emozionati e abbiamo anche pianto. Avremmo voluto dirvi tanto altro, ma ci sono cose che non vale la pena recensire, anzi è giusto che le scopriate da soli perché The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom è qualcosa di unico. Un po’ Elden Ring, un po’ Minecraft, un po’ Sekiro. Un gioco che lascia il segno e di cui ci ricorderemo negli anni a venire, guardando in alto tra le nuvole di Hyrule e chiedendoci “cosa c’è dopo il cielo?”
This post was published on 11 Maggio 2023 14:00
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