Prima di raccontarvi com’è il gioco ed esprimere la mia analisi e pareri su di esso, vorrei raccontarvi la storia di Desktop Dungeons.
Desktop Dungeons è un gioco originariamente sviluppato e auto pubblicato nel 2013 da QCF Design a seguito di una lunga fase di beta (all’epoca il concetto di Early Access non era ancora presente). L’originale Desktop Dungeons aveva una grafica molto amatoriale, un UI di difficile lettura ma un gameplay ottimo e innovativo (L’originale lo potete trovare su Steam qui) tanto da vincere diversi premi.
Fast forward fino ai tempi moderni e il 18 Aprile 2023, dopo 10 anni dall’uscita dell’originale, la Sudafricana QCF Design torna e pubblica Desktop Dungeons: Rewind, con l’aiuto di ben due editori: Prismatika e Indienova.
Desktop Dungeons: Rewind (o DD:R in breve) è quindi un remake a tutti gli effetti; è una seconda occasione per diffondere il gioco a un pubblico più mainstream senza tradire il gameplay originale.
Giocare DD:R è quindi anche vivere la storia di un gioco indie che ce l’ha fatta.
Ma a conti fatti, questo Desktop Dungeons: Rewind com’é?
Nel mondo fantastico di Desktop Dungeons: Rewind, noi non siamo che l’avventuriero primo, cioè colui che prende l’iniziativa per costruire un bastione di civiltà e ripulire il mondo, o perlomeno le terre circostanti, da mostri e non morti di ogni genere. DD:R manca di una narrativa in senso lato del termine, ma al suo posto dona dei dialoghi e dei testi divertenti e auto ironici. Questa leggerezza e assenza di trama è perfettamente funzionale al gioco e non ne intacca la qualità.
In un batter d’occhio, quindi, DD:R ci scaraventa in dungeon che dovremo navigare con intelligenza e pianificazione per uscirne vivi.
Il gameplay loop di Desktop Dungeons: Rewind è infatti molto semplice: in un misto tra un rogue-like e un dungeon crawler, alterneremo run nei vari dungeon a fasi di preparazione o costruzione di edifici spendendo le stesse risorse che abbiamo guadagnato nelle run (in questo, è molto simile a Darkest Dungeon).
Ogni run in un dungeon prevede la creazione dell’avventuriero protagonista che è formato da una combinazione tra una delle sette razze disponibili nel gioco, una delle (almeno) sedici classi e un equipaggiamento di partenza. Tutti e tre questi elementi vengono chiaramente sbloccati con l’avanzare del gioco a partire dalla prima e unica scelta: Il sempliciotto umano guerriero.
Chiaramente ogni razza e ogni classe offrono poteri differenti, le cui combinazioni possono creare coppie più forti di altre.
Una volta creato l’avventuriero potremo iniziare ad esplorare il dungeon: al suo interno, l’avventuriero è definito da dei punti vita, dei punti mana, delle monete, il valore d’attacco ed eventuali oggetti e poteri. Inoltre l’avventuriero sarà definito da un livello, che parte dall’1 e raggiunge il 10. Maggiore il livello maggiori saranno punti vita, punti mana e attacco.
Come accennato sopra, l’esplorazione del dungeon richiede una certa pianificazione e strategia: infatti i dungeon saranno formati da caselle inizialmente coperte da una nebbia di guerra. Ognuna di esse può essere occupata dal protagonista, da un oggetto (o altre cose interagibili) oppure può essere uno spazio vuoto o un muro invalicabile. Il nostro obiettivo sarà navigare i corridoi e trovare e abbattere il boss del dungeon; per fare questo sarà necessario salire di livello utilizzando i punti esperienza ottenuti attraverso l’uccisione dei mostri.
Se si abbatte un mostro di livello superiore al proprio si guadagna un bonus di punti esperienza oltre all’ammontare standard; questo premia l’utilizzo delle risorse e più volte sarà necessario alla buona riuscita della run. Nemici di livello troppo alto però ci uccideranno in pochi colpi, ed è molto raro poter sfidare mostri di 2 livelli sopra al proprio. Ergo per vincere una run dovremo scegliere l’ordine dei nemici che affrontiamo in maniera intelligente.
A ciò si aggiunge una esplorazione del dungeon a turni in cui i nemici non si muovono. Infatti costoro ci attaccheranno solo se noi attaccheremo loro e l’interfaccia grafica ci indicherà precisamente quanti danni infliggeremo al nemico e quanti infliggerà lui a noi.
Non c’è nessuna casualità: in una filosofia simile a quella di Divinity Original Sin 2, il determinismo e la prevedibilità dei risultati sposta l’intero focus del gameplay sulle scelte e i piani piuttosto che sul rischio, risultando molto più soddisfacente e poco frustrante.
Insomma se perdiamo è perché il nostro piano era sbagliato, non perché siamo stati sfortunati.
Ogni qual volta l’avventuriero esplora nuove caselle rigenera parte della vita e del mana. Questo crea un loop simile alla canzone del fiore, in cui sconfiggere i mostri richiede risorse, e recuperare risorse richiede esplorazione, ma l’esplorazione richiede sconfiggere i mostri per liberare le vie. E comunque del milione di percorsi possibili io faccio sempre l’unico che mi fa perdere con il boss finale a 2 punti vita rimanenti.
Per aiutarsi all’esplorazione, l’eroe protagonista della run potrà raccogliere, o comprare con le monete trovate in apposite caselle, equipaggiamento e glifi. Mentre il primo potenzia passivamente l’eroe, i secondi sono veri e propri incantesimi che consumano mana per produrre degli effetti, dalla palla di fuoco ad un aumento della resistenza momentaneo.
Giusto per non farsi mancare nulla, DD:R ha anche modificatori speciali alle run, come la presenza di altari di divinità con cui potremo formare dei patti per alterare il resto dell’avventura, boss opzionali e tanto altro.
La presenza di tutte queste variabili e la natura deterministica delle azioni del giocatore premia una pianificazione attenta e strategica, facendo risultare DD:R, mouse e tastiera alla mano, quasi più uno strategico che un roguelike.
Qualora dovessimo sopravvivere alla run nel dungeon, torneremo a casa più ricchi di diverse centinaia di monete.
Tali monete possono essere usati per compare o potenziare degli edifici, i quali doneranno dei powerup. La maggior parte dei power up dati dagli edifici si riassumono per la maggior parte in quattro categorie:
Più si completano i dungeon, e più edifici vengono costruiti o potenziati, maggiore sarà il numero di dungeon sbloccati e le quest annesse. Infatti le quest in DD:R non sono altro che sfide, cioè una combinazione di condizioni con cui battere un dungeon, le quali doneranno una ricompensa in monete aggiuntiva e sbloccheranno nuovo contenuto. Le quest sono tanto semplici quanto funzionali, e contribuiscono a rendere più lineare e guidata una esperienza che sarebbe stata fin troppo dispersiva altrimenti. La longevità del gioco è immensa per un indie: dopo poco più di 15 ore di gioco avrò forse sbloccato il 20% del contenuto del gioco.
E per i più pazzi o più hardcore tra i giocatori, DD:R dona anche sfide, sfide del mese e una leadearboard. Il sogno di un amante del genere.
Per concludere, il gameplay di Desktop Dungeons: Rewind offre agli amanti dei dungeon crawler strategici un parco giochi impressionante e divertente, nonché estremamente longevo. Infatti DD:R ha una difficoltà che non farà mai rilassare il giocatore durante una run e che premia il duro lavoro e la sinergia.
Il comparto artistico di questo remake, nonostante sia anni luce avanti all’originale, arranca e fatica a fare il suo lavoro e non raggiunge l’altezza del gameplay.
Da un lato ci sono i modelli 3D, tra le tile e i modelli dei mostri, ove DD:R dona un vasto catalogo di creaturine e pupazzetti che si trasformerebbero facilmente in dei plushie da scrivania. Oltre questo non c’è molto altro da dire riguardo i modelli. Per gli sfortunati che si ricordano Zombie Tsunami, sembrano quasi appartenere allo stesso gioco.
Dove il comparto grafico di DD:R realmente delude è l’UI. È scomoda, posiziona le informazioni male e nelle posizioni sbagliate, è difficile da leggere e non aiuta in nessun modo il giocatore durante le run. Ho avuto il sentimento che se il gioco avesse avuto un UI migliore avrei fatto di più nelle ore di gioco che ho fatto. Per fare un esempio, alzare ogni volta gli occhi agli angoli dello schermo per vedere quanti danni fa un attacco e quanti ne si riceve in risposta rallenta di parecchio il flusso della giocata ed è alla lunga estenuante.
I disegni 2D e le animazioni invece sono belle e divertenti, abbastanza da avermi fatto desiderare per più cutscene.
P.S: Il Font tondeggiante, quasi alla comic sans mi ha fatto sanguinare gli occhi.
Il comparto sonoro di DD:R prevede una soundtrack anonima ma che svolge il suo lavoro nel creare un finto contesto di fantasy epico, ma che si prende molto poco sul serio; non mancheranno i classici ottoni fantasy™. In nessun momento comunque la soundtrack diventerà mai protagonista del momento o ci aiuterà a rendere un momento più memorabile.
Al contrario invece, gli effetti sonori, dai tagli onomatopeici ai suoni dei level up o degli acquisti sono molto belli e memorabili fino a tormentare le ore di riposo tra una giocata e l’altra.
Ultima nota importante: Il gioco non contiene la lingua Italiana, ma il testo non è eccessivamente complicato.
Desktop Dungeons: Rewind è stata una piacevole sorpresa; uno di quei rari esempi in cui un gioco indie riesce a sfoggiare una maturità e una profondità di gameplay sorprendente che combinata con la sua longevità creano un magnifico esperimento da giocare per ore e ore a venire. A trascinarlo verso il basso come un peso ci sono ancora il comparto artistico e sonoro ancora non al livello necessario per rendere virale o famoso quello che altrimenti sarebbe un classico del suo genere.
This post was published on 11 Maggio 2023 21:30
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