Dall’alba dei tempi, i cantastorie hanno incantato il pubblico con le loro parole, ma c’è un dono ancora più straordinario: ci sono persone che, se leggono ad alta voce, riescono a portare alla vita i personaggi fuori dai libri, nel mondo reale
Da questa citazione dal romanzo Cuore d’Inchiostro, di Cornelia Funke, si potrebbe iniziare a discutere dell’importanza che ha, per lo spirito umano, sentirsi raccontare una storia. Una storia può avere molti significati che, spesso dipendono da chi ascolta ma, alle volte possono essere ritrovati in chi quella storia la enuncia.
L’escapismo a cui un racconto può esporci, può funzionare sia che ci si trovi “davanti o dietro” al medium di diffusione, a seconda che ne siamo spettatori più o meno passivi, o elargitori. E non esiste racconto dove non esiste fantasia.
Da sempre, la fantasia è una delle armi più potenti che la mente umana riesca a concepire. E anche qui, della fantasia si può far ciò che si desidera: la si può tenere per sé, creando una cornice sicura, che ci tenga lontani dai patemi del mondo; la si può far trasbordare, rendendola tangibile motore immobile di creazione o, come direbbe Albert Einstein:
L’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata, l’immaginazione abbraccia il mondo, stimolando il progresso, facendo nascere l’evoluzione
O ancora, la fantasia può rivelarsi semplice esercizio immaginifico, inapplicabile nella realtà in quanto troppo più potente e complesso della realtà stessa. Ed è per motivi del genere che nascono le fiabe, uno dei primi mezzi con una forma definita, utili a diffondere il fantastico di un racconto mai avvenuto e che mai avverrà.
Già Platone, nella Repubblica prima e nel Fedro poi, affronterà il problema umano delle idee e dell’immaginazione, parlando dell’ὑπερουράνιος (iperuranio, il mondo delle idee) e di come tramite vari processi, gli uomini abbiano la forza di vedere oltre la propria vista, ponendosi contestualmente la domanda su cosa sia reale e cosa no.
E la domanda è effettivamente interessante: cosa può essere considerato reale?
Ad una domanda apparentemente così provocatoria in realtà, è parecchio difficile dare una risposta univoca ma, quella che sono riuscito a darmi io, è che la realtà è un mezzo discrezionale per fruire il mondo.
Per una persona senza difetti oftalmici, un colore non sarà percepito ugualmente a come lo percepisce un daltonico. Significa che il daltonico ha una percezione alterata della realtà o che la sua realtà è effettivamente quella giusta o che, ancora, non esista una realtà che possa rispondere ai criteri di giusto e sbagliato?
Un interessante spunto a riguardo, lo si può ritrovare nell’analisi che il filosofo Francis Bacon fa dei cosiddetti “idola”, quelli che oggi forse chiameremmo bias cognitivi. Si tratta di concezioni sociali che stanno forse più nella nostra testa che fuori. Dei 4 idola discussi da Bacon, quello che più può avere pertinenza con la percezione di cosa sia reale e cosa no, arriva dai cosiddetti Idola Specus.
Gli Idola Specus, mutuando la “spelonca” o caverna che dir si voglia, dal platoniano mito della caverna che altera la percezione della realtà, rendendo il mondo assimilabile solo tramite ombre di cose ignote, affronta il problema dei pregiudizi dell’uomo, attribuendoli alla vita che l’uomo ha in una società.
In altre parole, la percezione delle cose che l’uomo ha del mondo, dipende secondo Bacon, dai pregiudizi che un determinato gruppo sociale inocula in lui. E dunque, potremmo dire che per molti, realtà è ciò che il gruppo sociale a noi più prossimo (famiglia, amici, gruppo religioso ecc) ci impone come tale.
Ma se così fosse, cosa ci limiterebbe dal dire che quelle idee immaginifiche, che abbiamo imparato a conoscere tramite il medium fiabesco, non siano la realtà o, perlomeno, una realtà?
Certo, tesi del genere sono state contestate da pensatori di livello, come ad esempio Kant, che vedeva la realtà in un continuo rapporto causa-effetto (per sintetizzare in maniera incredibile). Tuttavia, non è una domanda che ha necessariamente bisogno di risposte.
Forse proprio per la natura così eterea della domanda, solo un cervello libero da “idola” riesce a darsi una risposta che, almeno nella sua percezione, sia al di fuori di ogni dubbio. E un cervello libero da idola può essere solo di qualcuno che non ha ancora avuto modo di essere “corrotto” dalla sua spelonca d’appartenenza.
Un bambino magari.
Bambini e immaginazione vanno a braccetto, senza nemmeno aver bisogno di sforzarsi troppo. E da quell’immaginazione così pura, da quel modo unico di sfruttare la fantasia, prende piede il racconto di cui parleremo oggi.
Mettetevi comodi, perché il gioco di cui parleremo è Ravenlok, action-adventure rpg, sviluppato dalla software house canadese Cococucumber.
Ravenlok è, appunto, un gioco d’avventura dalle dinamiche action, con elementi di personalizzazione, che va a chiudere quella che i Cococucumber hanno definito “Voxel Trilogy“, una trilogia di cui fanno parte anche Echo Generation e Riverbond.
Sebbene a mio modo di vedere, il culmine creativo della trilogia, si sia raggiunto in Echo Generation, Ravenlok riesce ad offrire un’intrigante rivisitazione di quanto fatto in precedenza, in maniera forse un po’ troppo condensata ma decisamente godibile.
Il gioco si racconta come una fiaba moderna che sfocia nel classico.
Nelle prime battute di gioco, interpreteremo una ragazzina a cui potremo dare il nome che preferiamo (piccolo appunto, la mia si chiamava MarconeScalogno. Ma andiamo avanti) che insieme ai genitori, sarà immersa in un trasloco.
Lei sin da subito, si mostrerà restia alla nuova situazione abitativa, che a quanto viene detto, vede l’allegra famigliola spostarsi dalla città alla campagna, per ritrovare un certo contatto con la natura, abbandonando la frenesia del mondo. Tutti ragionamenti che, se dal punto di vista di un genitore possono sembrare assolutamente validi, in una ragazzina assumono quasi il piglio di una punizione.
«Non ho amici qui» dirà la nostra piccola protagonista al padre
«Non temere, te ne farai di nuovi» risponderà l’uomo, troppo immerso nelle sue faccende per notare il chiaro richiamo d’aiuto della figlia.
Tutta la prima fase di gioco, si svolgerà dunque in giro per la fattoria, completando piccoli compiti come aiutare la mamma a preparare la tavola, raccogliere fiori, prendere gli attrezzi di papà. Il gioco riuscirà perfettamente a farci percepire la noia della protagonista, caricandoci in maniera silente di quella voglia di cose nuove, così difficile da decifrare.
Quando finalmente otterremo la chiave del fienile, riusciremo a trovare uno specchio. Da quel punto in poi, verremo catapultati nella vera avventura: un mondo magico, pieno di creature strampalate, in cui il nostro nome umano non varrà più nulla e saremo conosciuti solo come Ravenlok.
L’ambientazione sembrerà estremamente debitrice al mondo narrativo di Lewis Carroll, sembrando in certi frangenti una riproposizione 1-1 dei racconti di Alice e di quel Paese meraviglioso, che qui diventa un regno in rovina, sotto l’egemonia della Regina Bruco.
Tanti saranno gli elementi che ci faranno percepire le atmosfere carrolliane: conigli parlanti, cappellai-sarti non proprio sanissimi, gente che cerca di organizzare una tazza di té con gli amici, specchi e orologi come se piovesse. Anche il design della Regina Bruco, pare ricalcare quello della Regina di Cuori, rappresentata nel film di Tim Burton “Alice In Wonderland”, interpretata da Helena Bonham Carter.
Le fasi del racconto inoltre, seguiranno pedissequamente, lo schema della fiaba elaborato dal filologo e antropologo russo Vladimir Propp:
Si nota dunque una certa propensione a proporre un racconto molto classico, così da essere facilmente abbordabile da bambini e ragazzini di ogni età. Non vi saranno temi spinosi, anzi, apparirà tutto molto sospeso, appunto fiabesco.
E considerando il tipo di gameplay (di cui parleremo a breve) e la sua breve durata, il gioco si candida ad essere un ottimo punto di partenza per giovani e giovanissimi, al mondo del videogioco e della narrazione. Nonostante infatti, il comparto narrativo, sia palesemente indirizzato ad un pubblico molto giovane, riserverà decisamente qualche sorpresa anche per i più grandicelli, in grado di solleticare quel “fanciullino” di pascoliana memoria.
Veniamo alla parte succulenta: il gameplay.
Sin dal suo annuncio, diversi utenti, tramite video e contenuti d’altro tipo, hanno cercato subito un termine di paragone per Ravenlok, così da avere un nome più grosso a cui associarlo in termini di gameplay.
Come spesso accade, sono stati tirati in ballo i SoulsBorneRing.
Come spesso accade, sono stati tirati in ballo totalmente a caso, giusto perché se un gioco ha dei combattimenti all’arma bianca, citare i lavori di From è ormai obbligatorio per legge in 46 Stati.
Quindi sveliamo il primo piccolo segreto: Ravenlok non è un Souls-like.
Qualche elemento potrebbe esserci, ma si tratta di elementi molti generici, che non cercano nemmeno lontamente di ricalcare quelli tipici di From. C’è la gestione della stamina, che però si attiva soltanto se pariamo con lo scudo; c’è il combattimento con la spada, che ricalca molto più le dinamiche di un hack ‘n’ slash.
La personalizzazione si limita al cambio dei cappelli, che non sono nemmeno tantissimi e che non aggiungono veramente nulla all’esperienza. Ci si fa sicuramente due risate, ma finisce lì. Inoltre, non c’è possibilità di cambiare armi: per tutto il gioco, avremo a disposizione soltanto una spada lunga e uno scudo.
Piccola nota, giusto per sottolineare ancora quanto l titolo sia legato alla fiaba medievale (che Propp si è limitato a definire): la spada, la otterremo estraendola da una roccia, da cui nessuno era mai riuscita ad estrarla. Chiara è la citazione al ciclo arturiano o bretone che dir si voglia, ciclo di racconti medievali in cui si narra che Artù diventa Re di Britannia, proprio dopo aver estratto una spada da una roccia.
Ma tornando al gameplay.
Il combattimento, nonostante non sia molto elaborato nelle dinamiche, riesce ad essere molto fluido e soprattutto soddisfacente. Non aspettatevi sicuramente di sentire il peso dell’arma che affonda le carni del nemico. Se proprio dovessi associarlo ad un CS noto, lo paragonerei ad Hades. Avremo infatti la possibilità di effettuare dei dash (infiniti, visto che non consumano stamina), tirando spadate (infinite, perché non consumano stamina).
A questo, per variare ogni tanto, si aggiungeranno 4 abilità che sbloccheremo nel corso dell’intera avventura, in grado di congelare, infiammare, stordire o banalmente danneggiare i nemici. Alcune saranno riservate soltanto a colpire singoli nemici, altre saranno indicate per i gruppi più numerosi.
L’ultimo metodo con cui sarà possibile danneggiare i nemici, saranno le bombe.
Ve ne saranno di tre tipi: bombe di fuoco, bombe di ghiaccio e bombe velenose. Per gli effetti, direi che è decisamente tautologico. Tuttavia, l’utilizzo delle bombe è forse il fattore che in combat sono riuscito ad apprezzare meno.
Per usare una bomba, si dovrà mettere in pausa il gioco. Si accederà quindi ad un menù da cui potremo selezionare la bomba, il puntatore si piazzerà automaticamente sopra un nemico a nostra scelta e senza dover nemmeno mirare, la bomba partirà dalla nostra tasca, senza nemmeno interrompere animazioni in atto.
Per certi versi, come concetto è simile al CS di Final Fantasy VII Remake, ma molto più lento e molto meno appagante.
Il sistema di progressione dei livelli e l’ottenimento di risorse, sono abbastanza lineari, con qualche “ma”.
Per salire di livello, molto banalmente, ci servirà ottenere esperienza dalle quest (di queste ne parliamo a breve, c’è da dire) ma il livello non sarà automatico: dovremo recarci da un npc, “cedere” la nostra esperienza e tramite quella salire di livello. Livellare, ci aiuterà ad ottenere dei bonus in vita, potenza d’attacco, difesa ecc.
Nulla di nuovo fin qui.
Per ottenere risorse invece, vi saranno diversi modi.
Uno è ovviamente il completamento delle quest, che per la maggior parte però ci daranno oggetti unici e non consumabili. Per i consumabili, avremo due modi perlopiù: comprarli o scambiare le “figurine”.
Una cosa alla volta.
Quanto al comprarle, ci basterà recarci da uno dei due NPC che vendono pozioni o bombe e acquistarne in quantità. Le pozioni di salute si distinguono tra pozioni grandi, medie e piccole. Farne incetta non sarà complicato, dato che gli acquisti si effettueranno con la moneta che si ottiene in game. E ottenere queste monete è la cosa più semplice e veloce di questo mondo.
Il mondo è cosparso di vasi e oggetti distruttibile, che OGNI SINGOLA VOLTA, dropperanno una discreta quantità di monete. Aggiungiamoci che ci basterà allontanarci dall’area per far respawnare tutto, dai nemici ai vasi per ottenere monete su monete in pochissimo tempo. Per tutto il gioco infatti, mai ho avuto la necessità di farmare per ottenre monete: bastava fare un semplice giro esplorativo per ritrovarmi in tasca un bel gruzzolo.
Ma se comprare per voi è troppo convenzionale, è possibile ottenere i consumabili in un altro modo. Si tratta di un modo molto più limitato, di cui non si può abusare per ovvie ragioni: dovremo parlare con un npc e consegnare a lui delle “figurine”, ovvero delle piccole statuette a forma di coniglio che troveremo in giro per la mappa di tanto in tanto e che dovremo sbloccare… ballando.
L’ho già detto che è per utenti molto giovani, no?
Consegnare queste figurine ci darà accesso a dei bundle di oggetti, riservando alcune sorprese che vi lasciamo scoprire.
Il sistema di quest, rappresenta il vero fiore all’occhiello del titolo di Cococucumber.
Queste saranno infatti oltre che interessanti e, paradossalmente, mai scontate nella risoluzione, estremamente varie ed estremamente intrecciate tra loro.
Una missione principale ci potrebbe portare a parlare con un npc, che a suo volta ci chiederà di fare qualcosa per lui e quel qualcosa si collegherà a un’altra quest presa molto prima che, una volta risolta, ci darà un tassello importante per procedere nella quest principale.
Finisce col crearsi un dedalo di quest tutte intrecciate tra di loro, che mai però rappresentano dei muri ma che, anzi, risultano estremamente ben concepite permettendo di avere in continuazione una sensazione di progressione.
A questo risultato, si è potuti giungere sicuramente grazie ad alcuni fattori come ad esempio la conformazione della mappa. Il titolo, questa volta veramente sulla scia di Dark Souls, potrebbe definirsi un open map, in cui ogni mappa ha un suo stile artistico, una sua storia e richiede alcuni requisiti per accedervi.
Altro fattore determinante, è la durata limitata del titolo: io, giocando totalmente in blind e facendo tanto backtracking per essere sicuro di non lasciare nulla indietro, ho impiegato poco meno di 5 ore per completarlo al 100%.
Considerando quindi una struttura di gioco così breve e ristretta, un tale sistema di quest tende a risaltare, apparendo come il vero fiore all’occhiello del titolo, in grado di non far percepire mai, nemmeno per un secondo, noia o frustrazione. Ogni cosa che faremo, risulterà utile per qualcosa che verrà.
Vediamo adesso alle note dolenti, riguardo al gameplay ovvero parti stealth e gli enigmi.
Partendo dai secondi, c’è da dire che non sono poi così pessimi. Gli enigmi di Ravenlok hanno il problema di essere estremamente altalenanti, nelle modalità in cui vengono proposti. Si passa da belle idee, intuitive quantomeno nelle modalità di risoluzione, ad enigmi che una volta risolti ti afnno dire “ma dai, ma veramente così era?”
Di certo, gli enigmi non rappresentano la parte preponderante del gameplay, che è molto più incentrato sul combattimento nudo e crudo, avanzando di area in area uccidendo boss più o meno carismatici. Ma nel momento in cui si inserisce una meccanica come quella degli enigmi, è veramente un dispiacere vedere quanto spreco di potenzialità ci sia.
E se gli enigmi, diciamo che comunque tengono botta, le parti stealth sono totalmente da cestinare e rivedere da zero. Per fortuna non sono tantissime, forse giusto un paio e forse per questa penuria, gli sviluppatori non hanno sentito il bisogno di rifinirle in maniera consona alla totalità del titolo.
Nonostante vi siano delle sezioni di gameplay denominate proprio “stealth mode”, nomenclatura che fa sperare in una modalità dedicata a questo stile di gioco, non è vi è nessun elemento che permette di praticare lo stealth in maniera efficace o soddisfacente. Non vi sarà alcun prompt per nascondersi, nessuna abilità che ci renda meno visibili di prima, non sarà nemmeno possibile abbassarsi.
Lo stealth, per come inteso nel gioco, è solo aspettare che il nemico si giri, andargli alle spalle secondo una routine che lo porterà ad effettuare sempre lo stesso giro, senza mai rispondere veramente a stimoli visivi o uditivi.
I nemici infatti, saranno decisamente permissivi.
Più volte mi è capitato di passare praticamente sotto il loro naso, mentre in teoria avevano gli occhi puntati su di me, senza che vi fosse alcune ripercussione. D’altronde, nel gioco non esiste veramente una vera e propria morte.
Si può arrivare a finire gli HP, ma ciò non implicherà granché: si ripartirà dal checkpoint, senza aver perso monete o esperienza, ripetendo la fight che ci ha ucciso poco prima. E non è necessariamente un fattore negativo, è giusto per far capire che il livello della sfida non è settato chissà quanto in alto.
Nonostante non sia possibile settare il livello di difficoltà di gioco, mai si sentirà il bisogno di farlo. In tutto il giocato, mai siamo arrivati a morire, anche grazie alla facilità nel reperire le cure. L’unica morte è stata volontaria, per capire effettivamente come si comportava il titolo.
Se quindi siete giocatori esperti, il titolo non fa decisamente per voi, a meno che non vi lasciate trasportare dalla storia. Se è il gampley hardcore che cercate, state giocando al titolo sbagliato. Se però volete avvicinarvi ad un tipo di combat system, basato sui riflessi, sull’estrema resposnsività dei comandi e sui tempismi attacco/schivata/parata, Ravenlok potrebbe essere il perfetto entry level.
Artisticamente, Ravenlok è veramente accattivante.
Ogni area del mondo di gioco, vista la natura open map, è estremamente definita nel design, affidando a palette di colori diverse, l’annosa quaestio dell’immediatezza visiva.
I colori sono estremamente saturi, in grado di rendere l’impatto visivo decisamente appagante, in grado di regalare stupendi panorami, dettagli estremamente definiti e gradevoli alla vista, che rendono il mondo visivamente omogeneo nella sua biodiversità.
Gli npc, ancora una volta però, sono altalenanti nella loro rappresentazione.
Si passa da design molto carini, teneri o inquietanti, a design anonimi e facilmente dimenticabili. Stesso discorso vale per i boss: pochi sono quelli che riescono a lasciare un ricordo, sia come design che come combattimento in generale.
Alcune arene però, sono molto curate, riuscendo a restituire la claustrofobia di alcuni scontri. E non mancano alcuni picchi, in fatto di design, soprattutto per due nemici, che rappresentano la parte meccanica e quella magica del mondo di Ravenlok.
Ma non vogliamo rivelarvi troppo.
Paradossalmente, Ravenlok stessa, è forse uno dei design meno riusciti del titolo.
La nostra protagonista è infatti decismente anonima e, nonostante possa indossare dei cappelli, non regala un colpo d’occhio appagante. Un occhio di riguardo su Ravenlok, avrebbe sicuramente permesso un’assimilazione diversa del titolo, riuscendo a rendere iconica la figura protagonista delle vicende. Un po’ una manovra alla Aloy, ecco.
Il discorso sulla telecamera, ho deciso di inserirlo nel paragrafo in cui si parla d’arte in Ravenlok e il motivo è molto semplice in realtà.
La scelta di bloccare solo parzialmente la telecamera, non permettendole mai di girare a 360° attorno alla protagonista ma potendosi muovere al massimo di circa 45° a destra e sinistra, è estremamente curiosa ma efficace.
Rende il titolo una sorta di 2.5D, che sfrutta le 3 dimensioni ma un po’ per volta. Da un lato è quindi qualcosa che regala unicità al titolo, riuscendo a rendere determinate sequenze, claustrofobiche e asfissianti, col pollice che tenterà invano di mettere la telecamera alle spalle di Ravenlok così da regalarle una comoda fuga.
Da un altro punto di vista, un uso tale della telecamera, durante i combattimenti, non permette di avere una buona visione d’insieme, arrivando spesso a rischiare di venir esposti ad attacchi da “fuori schermo”, senza poter fare nulla per evitarli. Situazione che peggiora, quando dovremo affrontare bossfight con più di un nemico od orde di minion.
La scelta dunque è interessante, speriamo solo che lavorino per renderla anche funzionale nei prossimi titoli.
Ravenlok è un titolo pensato per tutti ma non per tutti. La sua natura di “per tutti” arriva dall’estrema accessibilità, che lo rende perfetto come primo approccio ad un pensiero di combat system diverso dal solito, basato sun minimo di tempismo e strategia; “non per tutti”, in quanto, per via di quella estrema semplicità,potrebbe non prestarsi ai gusti di chi ricerca una sfida appassionante. In ogni caso, il titolo dura 5 ore al massimo, dunque anche solo dargli una possibilità è d’obbligo. A livello narrativo, il gioco è delicato, indirizzato ad un pubblico di giovanissimi, che magari non ci vedranno ciò che ho descritto all’inizio ma che, una volta immersi nel racconto fiabesco, come ben diceva Cornelia Funke, riusciranno a portare quei personaggi per sempre con loro, dentro di loro, nel mondo reale.
This post was published on 3 Maggio 2023 17:00
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