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Recensioni

Beyond Contact | Sopravvivere allo scorrere del tempo | Recensione (PC)

Sporgendoci all’indietro, osservando tutta la strada che il videogioco ha fatto come medium, potrebbe essere possibile riconoscere dei macro blocchi tematici che hanno caratterizzato le varie “ere” videoludiche.

Tra le più recenti potremmo ricordare ad esempio le battle royale, mischioni di gente che non voleva far altro se non buttarsi in una mappa aperta, imbracciare l’arma più potente e massacrare gli avversari fino far uscire un vincitore assoluto. Ecco, il fenomeno battle royale ha rappresentato un periodo abbastanza lungo e importante per l’industria videoludica.

Praticamente qualunque software house, per cavalcare il successo di Fortnite, aveva cercato di copiare o reinventare lo stilema della battle royal, cercando di offrire sempre nuovi spunti. Nonostante ciò però, pochi sono i titoli usciti indenni da quel periodo: per molti, il boom delle battle royale ha rappresentato poco più che una flebile fiamma di speranza, per poi diventare solo uno dei tanti giochi anonimi a prendere polvere digitale nella libreria di Steam.

Ma per chi ha qualche anno in più, sarà impossibile non ricordare che prima dell’avvento delle battle royal, i videogiocatori di tutto il mondo, erano appassionati di un’attività e una soltanto: sopravvivere.

I survival game, tra il 2010 e il 2015/16 hanno rappresentato ciò a cui i giocatori di tutto il mondo guardavano, quando riflettevano sul significato di “divertimento”. In quel periodo, la gente voleva solo sopravvivere, irrilevante che si dovesse affrontare un’apocalisse zombi o un assalto di un altro giocatore.

E si torna su Minecraft

A pensarci, anche per i survival game si può trovare un colpevole, un gioco che ha ispirato anni e anni di sviluppo videoludico, plagiando irrimediabilmente i gusti dei giocatori: Minecraft. Con la sua semplicità e con quel fascino dato da tutto quel “non detto”, Minecraft divenne un fenomeno mondiale. La possibilità di poter fabbricare abitazioni ed utensili, dopo lunghe sessioni di raccolta di materiali, facendo attenzione alla propria salute e alla fame, fece innamorare tutti gli avventori.

Minecraft non è stato certamente il primo survival game, ma è stato quello che ha elevato il genere, rendendolo un’assuefazione per chiunque ricercasse quel tipo di brivido.

E da quel 2011, di tempo ne è passato. I gusti si sono evoluti, le passioni sono cambiate. Molti adesso, non hanno più il tempo di impegnarsi a sopravvivere in un videogioco, con tutto ciò che questo comporta. Il genere survival non è certamente la potenza che era qualche tempo fa.

Eppure, esistono ancora degli sviluppatori che cercano di restituire quel brivido, cercando di far sentire il giocatore disperso in un mondo sconosciuto, alla ricerca del giusto metodo per sopravvivere e infine, fuggire dall’inospitale loculo d’universo in cui si è stati gettati.

L’esempio che tratteremo oggi è Beyond Contact.
Si tratta di un titolo sviluppato dallo studio australiano Playcorp: una software house fondata nel 2012 che ha decido di provare ad inserirsi all’interno di un mercato già piuttosto saturo come quello dei survival games.

Avranno fatto un buon lavoro? Scopriamolo insieme!

“Non sento lo spazio, Renè”

Dottoressa Hicks

Come già detto, Beyond Contact è un survival game.

L’ambientazione è stata forse ciò che ha suscitato più interesse, in chi ha seguito il progetto sin dagli albori. Tutta l’azione infatti, si svolge nello spazio, su un pianeta alieno e inospitale chiamato Ketern. La storia che ci viene presentata, anche in maniera abbastanza accattivante, ci vedrà interpretare una scienziata,Quinn Hicks, facente parte dei Corpi Spaziali del Congresso dei Mondi Uniti.

Nonostante il nostro ruolo di donne di scienza, non ci richieda di norma la presenza su pianeti inospitali e in conflitto, un’emergenza ci esige su Ketern. Una volta giunti in prossimità del pianeta, una catena di eventi, con nomi uber fantascientifici, ci farà precipitare sul pianeta, facendoci perdere il controllo della navicella.

Ci risveglieremo accanto ad una navicella d’emergenza distrutta, da soli, lontani dai nostri compagni e dalla nave madre, l’Aurelius. L’unico compagno al nostro fianco, sarà C.A.R.L. un’intelligenza artificiale semovente che fungerà da guida alla sopravvivenza. Seguirà quindi un breve e condensato tutorial di nozioni che, se siete appassionati del genere, troverete sicuramente familiari.

Potrà quindi partire la nostra esplorazione, alla ricerca dei compagni sperduti e dell’Aurelius.
Nonostante quindi, l’incipit paia prendere a piene mani dai più classici topoi dialogici, come l’angoscia e la solitudine che già Seneca aveva raccontato nel suo De Brevitate Vitae e che altri hanno tramutato in narrazione, come Melville col suo capolavoro Moby Dick, la sensazioni di abbandono, il sentirsi dispersi, non riesce mai a diventare un motore emotivo sufficiente.

Man mano che progredivo nel gameplay, cercavo di darmi una spiegazione a questa mancanza, per cercare di capire in cosa il gioco non stesse facendo bene.
Forse, uno dei motivi, per quanto possa sembrare stupido, è la telecamera in isometrica.

La visuale finto-isometrica (dato che comunque la tridimensionalità è presente, permettendoci di definirla una semplice “visuale dall’alto”) è una tecnica che è stata molto sfruttata in videogiochi di parecchie generazioni di console fa.

Storicamente però, in qualunque racconto sullo Spazio, a restituire la sensazione d’angoscia è proprio il contrario: la sconfinatezza, la “perdita d’occhio” dei cieli stellati, delle lune e dei soli che circondano l’inospitale pianeta di turno.

In Beyond Contact invece, con una visuale fissa dall’alto che potremo al massimo avvicinare o allontanare dal personaggio, non riusciremo mai ad avere una visione d’insieme di ciò che ci appropinqueremo ad esplorare né dell’immensità occludente, tipica di ogni space opera che si rispetti, da 2001: Odissea nello Spazio di Kubrick fino a Planetes di Yukimura.

Ma pensiamo a sopravvivere

Sarebbe proprio un peccato se te la distruggessero di notte… vero?

Il cuore del gioco tuttavia, non è sicuramente la storia, sebbene venga presentata in maniera abbastanza estesa.

Per quanto riguardo il lato survival del gioco, la vera anima del titolo, ci sono delle cose che sicuramente vale la pena approfondire.

Partendo da un basilare quanto essenziale aspetto, c’è da chiedersi se Beyond Contact sia effettivamente divertente. La risposta a questa domanda però, è sicuramente complessa e non può esplicarsi in un monosillabo.

Beyond Contact è quanto di più normale, classico e standard ci possa essere, quando si parla di survival game. I parametri di cui ci dovremo preoccupare saranno tre: salute, fame e ossigeno. Per evitare di finire senza punti salute, morti di fame o soffocati, potremo sia procacciarci le risorse che, ad un punto più avanzato del gioco, fabbricarcele da noi.

Distruggere rocce e piante in giro per la mappa ci permetterà di ottenere materiali, utili per la costruzione di una vasta gamma di oggetti che vanno da quelli per la sopravvivenza a quelli per la lotta o la caccia. La lista è lunga: si parla di zaini, armature, maschere per perdere meno ossigeno, armi, utensili per la raccolta come il piccone, trappole e quant’altro.

Potremo inoltre costruirci un accampamento vero e proprio, adornarlo di tavoli da lavoro e qualunque altra cosa posso tornarci utile, per velocizzare il processo di crafting di oggetti.

Potremo infine salire di livello, sbloccando delle abilità passive come ad esempio aumentare la quantità di materiali raccolti da un singolo elemento della mappa distrutto o la capacità di costruire oggetti particolari come ad esempio delle torrette, utili a difenderci dagli assalti di mostri e animali feroci.

Beyond Contact pare sin da subito dunque, una sorta di introduzione al genere survival. Un survival-for-dummies che, se affrontato da giocatori inesperti del genere, tende anche ad offrire qualcosa in termini di esperienza, soprattutto se si è quel tipo di giocatori che amano immergersi in un mondo riempiendosi le tasche di qualunque schifezza intergalattica.

Se invece, si approccia Beyond Contact da giocatori navigati nel mondo dei giochi di sopravvivenza, la situazione cambia: il titolo, nonostante si noti un impegno nella costruzione degli ambienti e nel bilanciamento generale dell’esperienza (anche se ne parleremo dopo per bene), ha ben poco da offrire a occhi e cuore di un appassionato survivalista di razza.

Certo, le meccaniche di farming risultano assuefacenti, impossibile negarlo. Tuttavia, tolto quell’aspetto che, a lungo andare, rischia di diventare una semplice scusa per tenere le mani occupate mentre ci si diverte con l’ennesimo rewatch di How I Met Your Mother in sottofondo (scusate per l’autobiografismo), poco riesce a solleticare l’interesse.

Difficile, opprimente ma piatto

Anche meno dai…

Dopo le prime ore di gioco, inizia a nascere il dubbio su cosa non stia funzionando nell’esperienza.
Tra i tanti elementi che si collocano in zone d’ombra qualitativa, la difficoltà è uno i quelli che più di altri tende a farsi notare.

Beyond Contact è uno di quei titoli difficili, con la volontà di essere tali. Purtroppo però, come spesso accade quando degli sviluppatori scelgono di imboccare la strada della “difficoltà ad ogni costo”, i problemi di bilanciamento non tardano a presentarsi, andando ad influire sull’esperienza generale.

La disamina dei problemi di difficoltà, può iniziare dagli aspetti più basilari e classici dell’aspetto survival. Prendiamo ad esempio il cibo: come detto, la fame è uno dei parametri da tenere in continua considerazione nella lotta per la sopravvivenza. Trovare cibo però, non sempre risulterà immediato, potendo affidarci soprattutto nelle prime fasi, a poche specie di piante.

Andando avanti potremmo ottenere cibo da animali uccisi, anche se non tutti gli animali lasceranno cadere pezzi da mangiare e, in ogni caso, diversi animali non saranno commestibili. Mangiando parti del loro corpo, la fame non si muoverà chissà di quanto e la salute ne risentirà.

I nutrienti comunque, non riusciranno praticamente mai a sopperire all’intero fabbisogno per la sopravvivenza, obbligando i giocatori a correre in continuazione avanti e indietro per la mappa, alla ricerca di cibo. A tutto ciò, si unirà la mancanza d’ossigeno, la cui situazione è già meno grave ma che, in combo col livello basso di fame, renderà le partite una continua corsa alle risorse.

Altro lato frustrante è quello del combattimento.
Gli sviluppatori non volevano decisamente creare un action, dunque sarebbe anche sbagliato e pretenzioso aspettarsi un combat system complesso e ramificato. Il combattimento si riduce a scontri con armi meelee, a corto raggio. Ci si può aiutare al massimo con qualche trappola o qualche torretta, ma nulla che renda effettivamente il CS intrattenente.

Ansia

Ciò che crea un certo fastidio dunque, non è la povertà del combat system, quanto il suo squilibrio. Le tempistiche d’attacco, con qualsiasi arma, sono sempre più o meno simili mentre i nemici che ci troveremo ad affrontare ed abbattere, hanno moveset differenziati, soprattutto nella velocità d’esecuzione.

Con la maggior parte dei nemici quindi, il combattimento diventerà un perenne “hit n’ run”, cercando disperatamente di evitare i colpi. La potenza di certi nemici, unitamente alla loro velocità, tende a diventare motivo di frustrazione che ci obbligherà, fin troppo spesso, a darci alla fuga, senza possibilità di lottare ad armi pari.

Quando finalmente si riesce a costruire una base, dopo tanti sforzi e ore di raccolta, la situazione diventerà psicologicamente ancora più pesante. I nemici tenderanno ad assalirci, rendendo le notti complicate, con continue sollecitazioni che ci sproneranno a difendere la base dalla distruzione.

In tutto ciò va considerato che la mappa, al netto di vari miglioramenti apportati durante gli anni in cui il gioco è stato in accesso anticipato, tende a risultare confusionaria e, sicuramente, la visuale dall’alto non aiuta ad avere coscienza di dove si stia andando. Più volte è capitato di ritrovarci in biomi tossici, che creando una miscellanea coi problemi già elencati, facevano terminare prematuramente la nostra partita.

Quest ritmi di gioco così elevati, uniti alle criticità di fame e ossigeno, al combat system inadatto al tipo di nemici e ad eventi casuali come tempeste che rischiano di danneggiare sia noi che la base, appiattiscono il divertimento generale, non permettendo mai realmente di arrivare al punto in cui ci si gode un risultato ottenuto dopo ore di raccolta.

Quanto può essere banale lo Spazio?

Eh, così si vede

Chi scrive è un appassionato di spazio e fantascienza. Ho macinato nella vita, decine di opere di qualunque medium possibile, che avessero ambientazione spaziale, realistica o meno. Da Moonlight Mile a Dune, da Star Wars a La Fenice, ho sempre notato come la ricchezza delle ambientazioni riuscisse a coinvolgermi spesso, più che la storia in sé.

Proprio per questo motivo, Beyond Contact è stato forse una delusione più cocente di quanto potessi aspettarmi.

Graficamente il titolo è anche interessante, molto cartoon con transizioni che utilizzano la tecnica del motion comics, offrendo un impatto visivo abbastanza soddisfacente specialmente nello sfruttamento dei colori e dei continui contrasti di palette cromatiche diverse, in base al bioma esplorato.

Il problema vero è che, con la possibilità di creare un mondo alieno pieno di qualunque cosa, si nota una costante latitanza di fantasia creativa.

Mai in Beyond Contact si riesce vedere un dettaglio, un panorama, una creatura, un’arma, un oggetto qualsiasi che a livello di design risulti originale o quantomeno accattivante. A livello puramente artistico, i creativi di Playcorp sembrano essersi adagiati, prendendo sotto gamba un aspetto che potrebbe rappresentare una concreta spinta all’acquisto.

Un titolo ambientato nel 2766 e il massimo della fantasia a cui si arriva è il più classico dei picconi?

Potrà sembrare una critica che ha poco a che fare col cuore del gioco ma, i videogiochi sono un medium che bisogna vendere prima di tutto agli occhi e solo dopo alle mani. Delle idee artistiche e visive accattivanti, potrebbero essere in grado di catturare l’attenzione, considerato il marasma entro cui un gioco indie si getta negli ultimi anni.

Perseverando in quest’anonimato, a lungo andare, si rischia di diventare solo un altro nome che viene fuori dopo la terza birra al bar con gli amici, al suono corale di “Beyond Contact? Mamma Mia, cosa mi hai ricordato”.

Anche il pad vuole la sua parte

Un po’ troppo vicino

Beyond Contact supporta sia il gamepad che mouse e tastiera.
Anche per i controlli, sono presenti alcuni piccoli problemi.
Prima di tutto, girare la visuale diventa un’azione abbastanza meccanica, che potrebbe obbligarci a fermarci, girare e poi ripartire.

Giocando con gamepad, girare la visuale diventa un po’ un terno al lotto.
L’analogico destro, designato a girare la camera, è lo stesso che si utilizza per zoomare in avanti o indietro. Ci siamo ritrovati molto spesso a cercare di cambiare inquadratura, restando bloccati in un processo di zoom e de-zoom, tanto ilare quanto fastidioso.

Sia che si giochi con M&K che con pad, la raccolta dei materiali potrebbe dare problemi. In generale, il movimento di qualunque materiale da un punto all’altro (da inventario a inventario rapido ad esempio), risulta impreciso.

Per quanto riguarda invece la longevità. beh, dipende molto da voi.

Beyond Contact è un gioco a cui potrete dedicare 10 ore come 150, tutto sta nel divertimento che proverete ad esplorare Ketern, sopravvivendo nonostante i mille bastoni tra le ruote che il pianeta vi apporrà.

Bisognerà anche vedere quanto gli sviluppatori saranno abili nell’ascoltare le criticità espresse dalla community, rimediando ai loro errori e proponendo sempre nuove sfide che non si limitino a “vai da punto A a punto B”.

Conclusioni

Beyond Contact è dunque, un titolo aggressivamente nella media, che può passare dall’intrattenere al frustrare in una frazione di secondo. Non è sicuramente un titolo che innova, ma non si propone certamente come tale. Il fine di Beyond Contact e dei ragazzi di Playcorp, pare dunque voler offrire agli appassionati del genere, un posto sicuro, in cui ritrovare tutti gli stilemi classici dei survival game, nonché del naufragio in salsa spaziale. Una moderna Odissea, molto più noiosa e prevedibile.

This post was published on 14 Aprile 2023 17:30

Pietro Falzone

Redattore Appassionato di videogiochi sin dal sempre più lontano 2002, quando per festeggiare i 5 anni ricevette una copia di Crash Bandicoot per la prima PlayStation. Il richiamo dell'avventura digitale lo fece innamorare di un mondo fatto di pixel, più o meno definiti. E l'amore non si è mai fermato. Inizia così a tastare tutti gli aspetti del mondo videoludico. Tra le sue più grandi passioni, si piazzano in ordine gli MMORPG (con sempre meno per giocarli, purtroppo), gli sparatutto in prima persona e, doprattutto, giochi di ruolo single player. Così si spiegano le più di mille ore, spalmate sui vari titoli From Software, da Demon's Souls in poi. Dalla fine delle medie, scopre una nuova passione: la scrittura. E come se non bastasse, scopre che nel mondo c'è chi scrive riguardo ai videogiochi, come se fosse un lavoro vero. Cosa fare di due passioni del genere dunque? Inizia così la ricerca disperata del giusto vascello, che riuscisse a convogliare voglia di fare, idee e tempo. Dopo un periodo passato a peregrinare, tra siti e sitarelli, approda su Player.it dove trova una casa in cui convogliare idee e spunti, al fianco di un team solido e costruttivo.

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